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Rinnovabili

Perché l’energia verde minaccia azionisti e aziende petrolifere

La pressione di consumatori e governi verso una transizione energetica “pulita” rischia di aumentare le spese delle major e di erodere i rendimenti. Per J.P. Morgan ridurre l’impronta di Co2 richiederà investimenti maggiori e più velocemente di quanto si pensa

Secondo gli analisti di J.P. Morgan, le compagnie petrolifere si troveranno molto presto strette in una difficile morsa, malgrado l’aumento dei prezzi del petrolio. La pressione di consumatori e governi che chiedono una transizione energetica verso nuove e più pulite fonti di energia, sta costringendo già ora, ma lo farà ancora di più in futuro, le grandi compagnie petrolifere a reinventarsi. Naturalmente i maggiori investimenti nelle fonti verdi comporterà un aumento di spesa colpendo i rendimenti degli azionisti e l’attrattività di questo tipo di società per gli investitori.

PER J.P. MORGAN COMPAGNIE PETROLIFERE DI FRONTE A UN TRILEMMA

In una ricerca pubblicata questa settimana, J.P. Morgan ha descritto la situazione in cui si trovano le compagnie petrolifere come un “trilemma” basato su: la tradizionale crescita dei ricavi del petrolio e del gas, la transizione energetica per ridurre l’impronta di carbonio, e la restituzione del surplus di cassa agli azionisti. Intraprendere un percorso più verde, adattandosi a quello che la banca ha definito un “nuovo ordine dell’energia”, non è più qualcosa da affrontare in un lontano futuro: il momento per questo genere di investimenti è adesso, ammette J.P. Morgan. Il modello proprietario di J.P. Morgan in materia ambientale, sociale e di governance (ESG) suggerisce che la riduzione dell’impronta di carbonio richiederà “molti più investimenti, effettuati più velocemente di quanto si pensi”. “L’industria è arrivata a un punto in cui non ci si può più accontentare solo delle parole ma bisogna spendere dollari per diversificare – ha detto Christyan Malek, capo della ricerca EMEA sul petrolio e sul gas della J.P. Morgan al programma della CNBC “Squawk Box Europe” -. Ma lo si deve fare restituendo denaro agli azionisti, oltre che sostenendo il proprio business. Fare tutte e tre le cose è molto difficile, ed è per questo che pensiamo che il rendimento del settore sia, nel migliore dei casi, una sfida”.

DISINVESTIRE NEI COMBUSTIBILI FOSSILI COSTA 6.000 MILIARDI DI DOLLARI

Il disinvestimento nel settore dei combustibili fossili ha un costo molto alto che ammonta a circa 6.000 miliardi di dollari, con quasi 1.000 investitori istituzionali che si sono impegnati a dismettere carbone, petrolio e gas sotto la pressione di gruppi ambientalisti, governi e consumatori. Questo secondo un rapporto recentemente pubblicato da Arabella Advisors, che ha rivelato un aumento del costo delle dismissioni rispetto alla cifra stimata nel 2016 a 5.200 miliardi di dollari. Il movimento è in crescita ed è guidato dal settore assicurativo, ma seguito anche dalle università di 37 paesi, da fondi sovrani, istituzioni mediche, città come New York e l’Irlanda. La Chiesa d’Inghilterra il mese scorso ha votato a favore della dismissione dai combustibili fossili se entro il 2023 non verranno mostrati ampi progressi nel rispettare i parametri dell’Accordo di Parigi sul clima per limitare il riscaldamento globale. Ma grandi compagnie petrolifere come la Shell hanno pubblicamente etichettato la cessione come un rischio concreto. Espandersi al di là dei combustibili fossili è quindi inevitabile, ma richiede, e continuerà a richiedere, una maggiore spesa insieme agli investimenti in progetti tradizionali nel settore del petrolio e del gas. E aggiungere la spesa per le nuove energie significa aumentare di circa il 10-15 per cento il budget totale di un’azienda, ha calcolato J.P. Morgan.

IL CICLO ECONOMICO È FAVOREVOLE ALLE MAJOR. MA LA PRESSIONE “GREEN” AUMENTA

Naturalmente, rileva la banca d’affari Usa, è facile trascurare sfide simili in un momento in cui i prezzi del petrolio e del gas sono elevati e garantiscono un flusso di cassa costante per le grandi compagnie. Ma ciò non toglie che “rimarrà un fattore importante nelle decisioni di investimento degli azionisti”, ha detto Malek. Attualmente, in quello che l’analista ha descritto come un “periodo d’oro per il free cash flow”, l’attenzione delle aziende è focalizzata sulla riduzione delle spese e su un prezzo del petrolio più alto. Quello che non viene considerato è che questo ciclo “è un periodo senza precedenti in termini di transizione per tali modelli di business”. In ogni caso la pressione degli investitori ha già fatto la differenza. BP sta puntando su una crescita netta pari a zero delle sue emissioni operative e ha investito 220 milioni di euro in una delle maggiori aziende solari europee. Shell si è impegnata a ridurre le proprie emissioni di carbonio del 20% entro il 2035 e del 50% entro il 2050. Nel complesso queste compagnie ma anche Exxon, hanno investito in progetti riguardanti il gas naturale come mezzo per fornire energia e produrre meno emissioni di carbonio. Tuttavia, l’industria nel suo complesso non si sta muovendo abbastanza rapidamente per ridurre le emissioni e diminuire la dipendenza dagli idrocarburi, dicono i critici, in parte grazie proprio agli interessanti profitti attualmente derivanti dai prezzi più elevati del petrolio. Il punto di forza di queste aziende, tuttavia, è la restituzione di liquidità agli azionisti, ha detto Malek: “Se non c’è crescita, non c’è valore. Devono difendere il motivo per cui gli investitori istituzionali sono e saranno coinvolti”.

PER J.P. MORGAN ENI SOTTOVALUTATA TRA LE AZIENDI PIÙ RESISTENTI ALLA TRASFORMAZIONE

Le aziende meglio attrezzate per resistere a questa trasformazione e allo stesso tempo offrire rendimenti? Shell, BP e Repsol, ha detto J.P. Morgan, le cui azioni rimangono sopravvalutate mentre aziende come Total ed Eni sono sottovalutate. La chiave per una prospettiva positiva, secondo la banca, “sono le aziende che offrono qualità del portafoglio a lungo termine, una posizione differenziata a valle, minori emissioni di energia e un rendimento totale competitivo per gli azionisti”.

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