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Energia, Big Oil sempre più attente all’ambiente

Investono sempre di più in rinnovabili, stoccaggio di energia, tecnologie digitali e mobilità avanzata. Ma secondo il ministro dell’Energia dell’Arabia Saudita Khalid al-Falih crescita demografica e innalzamento del tenore di vita in vedrà aumentare la domanda di energia del 45% entro il 2050 con petrolio, gas e carbone che continueranno a rappresentare circa il 75% delle forniture di energia

 

L’inquinamento? Colpa delle grandi compagnie petrolifere. Un facile luogo comune nella testa di molti. Eppure, le più grandi major del mondo stanno chiudendo una quantità incredibile di affari nel settore delle energie pulite come valvola per diversificare le loro attività e crescere la presenza tra le tecnologie verdi. Secondo una ricerca pubblicata di recente da Bloomberg New Energy Finance le major petrolifere hanno più che raddoppiato il numero di acquisizioni, investimenti in progetti e partecipazioni in venture capital, a 44 nel 2016 dai 21 dell’anno precedente.

energiaIn 15 anni 6,2 miliardi di dollari spesi in partecipazioni in società di energia pulita

Negli ultimi 15 anni, hanno completato 428 operazioni e speso 6,2 miliardi di dollari in partecipazioni in società di energia pulita. In sostanza, le energie verdi sono finanziate in gran parte dalle industrie petrolifere. “Un modo per testare nuove idee e nuovi business”, ha sottolineato Richard Chatterton uno degli analisti londinesi autore del rapporto.

Le compagnie petrolifere internazionali stanno di fatto individuando opportunità e costruendo competenze, per poi investire su larga scala al momento opportuno. Per ora le risorse stanziate in favore delle rinnovabili rappresentano una frazione di quanto investito per il petrolio che rimane pur sempre il core business. La Royal Dutch Shell Plc, ad esempio, ha stanziato quest’ anno 25 miliardi di dollari per le spese in conto capitale. Tuttavia, secondo Bloomberg New Energy Finance, nonostante alcuni degli investimenti delle major petrolifere in progetti e startup non siano stati resi noti, si stima che l’industria dell’energia pulita abbia attirato quasi 290 miliardi di dollari nel 2016.

Il solare al primo posto, poi l’eolico offshore

L’energia solare è quella che ha visto produrre il maggior numero di progetti sostenuti dalle compagnie petrolifere. Al secondo posto l’eolico che ha creato il più alto volume di affari, con gli investimenti nell’offshore che cominciano a recuperare il ritardo rispetto a quelli onshore. Le compagnie petrolifere, tra l’altro, cercano anche di sfruttare il loro know-how nell’estrazione di combustibili fossili dai fondali marini per installare turbine in zone altrettanto selvagge. I progetti eolici offshore tendono ad essere più grandi e rischiosi tra quelli comunemente realizzati nell’ambito dell’industria delle energie rinnovabili, con una conseguente maggiore redditività.

Shell, Eni e Total impegnate in molti progetti

Shell, ad esempio, ha una partecipazione nei progetti eolici Borssele III e IV nel Mare del Nord olandese e Statoil ASA ha sviluppato il primo parco eolico galleggiante al largo delle coste della Scozia settentrionale. Guardando in casa Eni ha avviato il “Progetto Italia”, che prevede la realizzazione di impianti, prevalentemente fotovoltaico, in aree industriali di proprietà, disponibili all’uso e di scarso interesse per altre attività economiche. Il cane a sei zampe ha identificato 14 progetti per una capacita complessiva di circa 220 MW che saranno installati entro il 2022. All’estero sono stati individuati progetti da sviluppare in Paesi di interesse strategico nei quali Eni già opera (in particolare Africa e Asia), con l’obiettivo di incrementare la nostra efficienza energetica, la sostenibilità dei nostri consumi, nonché di migliorare l’accesso all’energia delle popolazioni locali attraverso un più sostenibile mix energetico.

Sono stati inoltre finalizzati una serie di accordi di collaborazione con il Ghana, l’Algeria e la Tunisia, volti a rafforzare la storica presenza Eni in quei territori e ad ampliare la sfera di attività della società. Total ha concluso il maggior numero di acquisizioni e joint venture con società operanti nel settore dell’ energia pulita, sostenute dall’ acquisizione di una partecipazione di maggioranza in SunPower Corp. nel 2011 e dal produttore di batterie Saft Groupe SA lo scorso anno. Anche il secondo produttore europeo di petrolio e gas è attivo nel settore del capitale di rischio, con particolare attenzione alle imprese statunitensi.

Le operazioni di capitale di rischio delle major petrolifere si stanno spostando verso lo stoccaggio di energia e le tecnologie digitali. Anche la mobilità avanzata è uno dei settori di interesse con le aziende cercano di “evolversi” man mano che il trasporto tende ad approcciarsi all’elettricità. Shell, tanto per fare un esempio, ha recentemente acquistato NewMotion, una rete di punti di ricarica per veicoli elettrici. In calo, invece, l’interesse per i biocarburanti. Dopo aver raggiunto il picco durante l’impennata dei prezzi del petrolio, alimentando la motivazione a trovare alternative, il crollo iniziato a metà del 2014, ha determinato un’uscita degli investimenti dal settore. Nel 2017 il conteggio è pari a zero, secondo Bloomberg New Energy Finance.

Per Carbon Disclosure Project Statoil, Eni e Total le più attive in fonti pulite e taglio emissioni

La rinnovata attenzione per l’ambiente da parte delle Big Oil è certificata anche dall’indagine redatta da Carbon Disclosure Project (CDP), un’organizzazione britannica che si occupa di valutare l’impatto ambientale di aziende, città e stati per tradurle in informazioni da spendere nei mercati finanziari.

Lo studio è stato condotto lo scorso anno sulle undici più grandi compagnie petrolifere e del gas del mondo ed evidenzia che le compagnie petrolifere e del gas europee investono più delle competitor americane in fonti di energia pulita e sono più attente sul tema delle emissioni di gas serra. L’indagine di CDP posiziona la norvegese Statoil, l’italiana Eni e la francese Total nelle prime posizioni. Di contro, le americane ExxonMobil e Chevron, insieme alla canadese Suncor sono risultate le peggiori in termini di sostenibilità. Non classificate la Saudi Aramco, la Rosneft russa e la PetroChina che si sono rifiutate di mettere a disposizione dei ricercatori i loro dati.

Il ministro dell’Energia saudita e presidente di Saudi Aramco Khalid al-Falih scommette invece sugli idrocarburi

Eppure c’è chi il petrolio lo produce che continua a scommettere pesantemente sugli idrocarburi. È il  ministro dell’Energia dell’Arabia Saudita Khalid al-Falih secondo il quale la crescita demografica e l’innalzamento del tenore di vita in gran parte dei paesi in via di sviluppo vedrebbe aumentare la domanda di energia nei prossimi decenni di circa il 45% entro il 2050. “Una quantità enorme di energia che deve essere fornita”, ha dichiarato alla Future Investment Initiative di Riad, aggiungendo che nonostante le nuove energie continueranno a guadagnare terreno, saranno le stesse fonti che hanno dominato il passato a rappresentare la parte del leone degli approvvigionamenti nel prossimo futuro.

“Entro il 2050 – sorprendentemente per molti di noi – le rinnovabili rappresenteranno solo circa il 10 per cento della domanda di energia primaria, e questo nonostante un tasso di crescita molto rapido – ha aggiunto al-Falih, che è anche presidente di Saudi Aramco -. Petrolio, gas naturale e carbone continueranno a rappresentare circa il 75% delle forniture di energia entro il 2050”.

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