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Nucleare

Francia, nucleare: difficile raggiungere target 2025

La Francia dovrebbe tagliare il 50% di produzione nucleare entro il 2025, ma l’obiettivo diventa di difficile attuazione. Difficile dire addio anche a centrali a carbone 

 

 

Proprio nei giorni in cui si sono aperti i lavori della conferenza sul clima a Bonn, in Germania, la Francia scopre che senza nucleare non riuscirà a rispettare i target previsti per le emissioni di Co2. Il bilancio previsionale presentato dal gestore di rete transalpino Rte ha evidenziato, di fatto, l’impossibilità di tagliare la quota di energia nucleare dal mix elettrico passando dal 75 al 50% entro il 2025, rispettando al contempo l’obiettivo di riduzione delle emissioni di anidride carbonica richiesta dagli impegni assunti dalla Francia in materia di clima e sicurezza dell’approvvigionamento. È quanto riporta il quotidiano La Tribune, che evidenzia come Rte, nella sua relazione, abbia sottolineato la necessità di gestire in modo diverso la transizione energetica.

Il ministro Hulot: Ridurre il nucleare nel 2025 è irrealistico

“Se vogliamo mantenere ferma la data del 2025 per ridurre l’energia nucleare al 50% nel mix energetico, sarà a spese dei nostri obiettivi climatici e della chiusura delle centrali a carbone”, ha confermato il ministro della Transizione ecologica e della solidarietà Nicolas Hulot al termine del Consiglio dei ministri del 7 novembre. “L’obiettivo di ridurre la quota di energia nucleare nel 2025 mi sembra irrealistico”, ha continuato, ammettendo: “Ci prenderemo del tempo per decidere una data realistica il più presto possibile”.

Entro breve la scelta tra carbone e nucleare

Secondo il direttore generale di Rte François Brotte, per raggiungere l’obiettivo del 50% di generazione di elettricità dal nucleare entro il 2025, sarebbe necessario fermare 24 dei 58 reattori francesi che compongono il parco dei reattori transalpini. Se è vero che l’impresa non è impossibile, è vero anche che il lavoro da fare è tanto:  anche in un contesto di consumo di elettricità stabile o addirittura in leggero calo e considerando uno sviluppo accelerato delle energie rinnovabili, secondo l’operatore di rete, la Francia dovrebbe raddoppiare la capacità di produzione del gas. Comunque, considerate le difficoltà incontrate nella chiusura della centrale di Fessenheim (di cui Nicolas Hulot ha assicurato lo stop “durante il quinquennio”) e la mancanza di anticipazioni sui piani di riconversione, il termine del 2025 sembra essere ancora più irrealistico.

A breve termine, non sarà probabilmente nemmeno possibile chiudere le quattro centrali a carbone ancora in funzione in Francia entro il 2022, come previsto dal piano climatico presentato a luglio sempre da Nicolas Hulot, e i quattro reattori nucleari che a quell’epoca compiranno 40 anni.

Stop da 9 a 52 reattori nel 2035

Dal 2030 in poi, invece, l’obiettivo di chiusura dei reattori francesi – annunciato per la prima volta da François Hollande nel novembre 2012 prima di essere incluso da Ségolène Royal nella legge di transizione energetica del 2015 e diventare una promessa durante la campagna elettorale di Emmanuel Macron nella primavera 2017 – diventa più realizzabile. Come dimostrano i vari scenari elaborati da Rte con orizzonte 2035, ciò sarà possibile però solo a determinate condizioni, che richiedono orientamenti precisi da parte delle autorità pubbliche. Rte ha elaborato quattro scenari che portano a mix energetici, costi economici (da 8 a 15 miliardi di euro all’anno) e impatti climatici molto diversi. Chiamati Ampère, Hertz, Volt e Watt, corrispondono a una chiusura compresa tra i 9 e i 52 reattori. Supponendo che la proroga oltre i 40 anni venga rifiutata a tutte le centrali, le emissioni di CO2 finirebbero per calare del 60% o, al contrario, del 45%, con una quota dell’energia nucleare nel mix elettrico che oscillerebbe tra l’11% e il 56%. In questi casi si è tenuto conto anche delle diverse ipotesi relative ai prezzi del CO2, alle capacità di interconnessione e alle esportazioni. Per esempio, nello scenario Volt, un raddoppio delle interconnessioni permetterà ad un nucleare ancora elevato (56% del mix) di trovare sbocchi per l’esportazione. Gli scenari si basano, inoltre, su una serie di ipotesi comuni: consumi stabili o in calo nonostante il forte sviluppo dei veicoli elettrici (fino a 15 milioni di veicoli nel 2035) e grazie ai progressi nell’efficienza energetica; un aumento dell’autoconsumo; diversificazione del mix elettrico e un impiego accelerato di energie rinnovabili, la chiusura delle centrali francesi a carbone e di alcuni reattori nucleari.

Uno scenario prevede il 50% di nucleare al 2030

Molto attento a non indicare gerarchie o preferenze tra i diversi scenari e a ricordare che le previsioni fanno parte della missione affidatagli dal Codice dell’Energia, il gestore di sistema transalpino ha comunque sviluppato un’ipotesi che sembra conciliare più di altri gli obiettivi attualmente fissati. Lo scenario Ampère, prevede raggiungere una quota nucleare del 50% entro il 2030 – solo cinque anni dopo rispetto a quanto previsto dalla legge sulla transizione energetica – e di dimezzare le emissioni di CO2 evitando l’aggiunta di capacità di produzione termica, che scenderebbe a solo il 4% del mix elettrico. Sarebbe necessario però triplicare il ritmo di installazione di energia rinnovabile e sviluppare in modo significativo i meccanismi di flessibilità: efficienza energetica, stoccaggio, e così via. Per quanto riguarda le rinnovabili, l’obiettivo può sembrare ambizioso in quanto riguarda solo l’energia solare ed eolica: questo perché le capacità di sviluppo dell’energia idroelettrica (che oggi rappresenta la maggior parte della flotta francese di energia rinnovabile) sono limitate. Ma è un ritmo che corrisponde all’estremo limite della programmazione energetica pluriennale e alla velocità di alcuni paesi europei. Inoltre, questo scenario ipotizza un tasso di crescita annuale del 2%, che consente di finanziare lo sviluppo delle rinnovabili e l’efficienza energetica, in particolare negli edifici.

In conclusione, Rte insiste nel rapporto sulla necessità di seguire da vicino l’evoluzione del parco nucleare, indipendentemente dalle scelte. Il gestore del sistema sottolinea anche l’impatto potenziale che potrebbero avere gli stop agli impianti per la quarta manutenzione decennale. Limitata a sei mesi, come nel caso dei precedenti stop, non interferirebbe con il picco invernale e quindi non porrebbe particolari problemi. Se la durata però dovesse prolungarsi per dodici mesi, ci si troverebbe di fronte il problema dei mesi invernali, rischiando di compromettere l’equilibrio del sistema elettrico. “La portata e la durata dei lavori sono elementi di incertezza”, ha sottolineato RTE nella sua relazione. Le analisi rafforzano quindi il messaggio di vigilanza sul periodo 2018-2022 e la necessità di compiere scelte coerenti per mantenere il livello di sicurezza degli approvvigionamenti, in parallelo con le azioni che saranno intraprese sull’evoluzione del parco di generazione elettrica.

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