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Petrolio

Prezzo greggio ai massimi. Pesa il calo delle scorte Usa (ma anche l’Iran)

Negli Stati Uniti il Texas si candida a diventare a partire dal prossimo anno, il terzo maggior produttore di petrolio mondiale mentre il Fondo sovrano norvegese deciderà in queste ore se ritirare le sue partecipazioni nel settore petrolifero

Il prezzo del petrolio ha raggiunto i massimi delle ultime due settimane con il Brent che ha toccato i 74 dollari al barile sulla scia della notizia di un calo delle scorte di greggio Usa e delle sanzioni americane nei confronti dell’Iran. Ciò nonostante il Texas abbia raggiunto per la prima volta l’incredibile obiettivo di esportare più greggio di quanto ne importi e si attenda la decisione del Fondo sovrano norvegese sulla possibilità che disinvesta completamente nei settori di petrolio e gas.

QUOTAZIONI PETROLIO A 74 DOLLARI. CALANO LE SCORTE USA IN ATTESA DEGLI EFFETTI DELLE SANZIONI CONTRO L’IRAN

L’American Petroleum Institute ha riferito che le scorte di greggio degli Stati Uniti sono scese la scorsa settimana di 5,2 milioni di barili, più di tre volte il calo previsto dagli analisti. Anche se si attendono ancora i dati ufficiali del governo, l’annuncio ha dato una spinta ai prezzi. Il Brent è salito di 1,52 dollari a 74,19 dollari al barile, il livello più alto dall’8 agosto mentre il Wti ha guadagnato 1,38 dollari attestandosi a 67,22 dollari. In questo senso il petrolio ha trovato il sostegno di un dollaro debole, scivolato questa settimana in risposta a un commento del presidente degli Stati Uniti Donald Trump dettosi “non entusiasta” degli aumenti dei tassi di interesse della Federal Reserve. A sostenere il mercato è intervenuta poi anche la prospettiva di un calo delle esportazioni di petrolio dall’Iran, terzo produttore dell’Opec, in risposta alle nuove sanzioni statunitensi. Le compagnie petrolifere europee hanno iniziato, infatti, a ridurre gli acquisti iraniani, anche se gli acquirenti cinesi stanno spostando i loro carichi su navi di proprietà iraniana per mantenere gli approvvigionamenti. A seguito dell’accordo con la Russia e con altri alleati concluso in giugno, l’Opec ha iniziato, tuttavia, ad aumentare le forniture, anche se finora i produttori sono stati cauti. L’Arabia Saudita, per esempio, ha annunciato di aver tagliato l’offerta a luglio, piuttosto che aumentare la produzione come previsto. I segnali di una maggiore rigidità da lato dell’offerta sono stati comunque controbilanciati dalle preoccupazioni di un rallentamento della domanda di petrolio derivante in parte anche dalla disputa commerciale tra Stati Uniti e Cina, sulle quali Trump ha già detto di non aspettarsi progressi reali.

PER LA PRIMA VOLTA NELLA SUA STORIA IL TEXAS ESPORTA PIÙ PETROLIO DI QUELLO CHE IMPORTA. POTREBBE DIVENTARE IL TERZO MAGGIOR ESPORTATORE MONDIALE NEL 2019

Nel frattempo l’Energy Information Administration (Eia) ha reso noto sulla base dei dati di aprile che i terminali statunitensi del Texas hanno esportato all’estero più greggio di quanto non ne abbiano importato. Nel corso del mese di maggio, il vantaggio delle esportazioni rispetto alle importazioni dovrebbe essere ulteriormente accentuato, raggiungendo ben 470 mila barili al giorno. La quota di produzione della zona di Houston-Galveston dovrebbe aver raggiunto il 70% della produzione nazionale, rispetto a una media del 50% nel 2017. La maggior parte delle esportazioni di greggio dall’area di Houston-Galveston è andata a Cina, Canada, Italia e Regno Unito, con una media di 300 mila barili al giorno a giugno e luglio. Questo mese, tuttavia, non è stato caricato alcun carico di greggio per la Cina, secondo quanto riportato dai media, in un contesto di crescenti tensioni commerciali tra Washington e Pechino. In ogni caso il Texas è sulla buona strada per diventare il più grande produttore di petrolio dopo Russia e Arabia Saudita, secondo le stime di produzione di HSBC, citate dalla CNN. Se le stime si riveleranno corrette, lo Stato della stella solitaria sarà in grado di pompare quasi 6 milioni di barili al giorno nel 2019.

NorvegiaSI AVVICINA IL GIORNO DELLE SCELTE PER IL FONDO NORVEGESE

È prevista per venerdì prossimo la decisione da parte del governo norvegese sui 40 miliardi di dollari in partecipazioni petrolifere che il fondo sovrano del paese dovrà decidere se mantenere o no. Decisivo risulterà il rapporto del comitato di esperti che sarà alla base della presa di posizione dell’esecutivo che poi dovrà presentare una raccomandazione al Parlamento entro l’anno. La decisione non si preannuncia semplice visto che lo scorso anno il fondo sconvolse i mercati internazionali annunciando la proposta di tagliare le sue partecipazioni nel settore di gas e petrolio. Da allora, c’è stato un intenso dibattito in Norvegia, con l’opposizione in Parlamento che ha segnalato il sostegno al piano, e il governo di minoranza guidato dai conservatori che non ha dato, al contrario, un segnale chiaro. I sostenitori della vendita delle partecipazioni petrolifere hanno ricevuto un promemoria sui rischi connessi a tale mossa. Nonostante le crescenti turbolenze del commercio mondiale, nel secondo trimestre dell’anno, il fondo è riuscito, infatti, a ottenere un rendimento modesto ma ciò soprattutto per merito delle partecipazioni nel settore di petrolio e gas. Nella sua proposta di novembre, il fondo sosteneva che la Norvegia nel suo insieme era troppo sovraesposta alla volatilità dei prezzi petroliferi a causa del suo ruolo di grande produttore di petrolio e di investitore nel settore. La separazione degli stock di petrolio e gas avrebbe reso, in sostanza, il paese meno vulnerabile a un “calo permanente” dei prezzi del petrolio. Al comitato di esperti che esprimerà il suo parere venerdì è stato chiesto, quindi, di esaminare gli investimenti nelle riserve energetiche dal punto di vista della ricchezza e della correlazione tra le riserve energetiche e il prezzo del petrolio. Sebbene la relazione degli esperti sia importante, in passato il governo ha ignorato le raccomandazioni di commissioni analoghe, sostenendo un approccio più conservatore.

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