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L’energia elettrica costa cara alle Pmi italiane, per colpa del Fisco. Si salva il gas

La ragione dell’alto costo dell’energia elettrica va ricercata nel minor costo della materia prima, il cui mercato è sempre meno legato ai contratti di lungo periodo

 

L’energia elettrica costa cara alle piccole imprese italiane. In media il 29% in più rispetto al resto d’Europa. A fare i conti è stata Confartigianato che indica per il terzo trimestre 2017 un aumento di 383 euro, in grado di portare a 11.478 euro la media annuale dei costi per le pmi. E da questo discorso non sono esenti le famiglie. Sul banco degli imputati finiscono soprattutto le tasse, gli oneri fiscali e parafiscali che pesano per il 39,7% sull’importo finale in bolletta. In sostanza, rispetto ai propri concorrenti, le pmi sopportano mediamente spese annuali pari a 2.572 euro in più rispetto al resto d’Europa. Come il costo mensile di un operaio. Mediamente un’impresa paga per l’elettricità 1125 euro per addetto, secondo i calcoli di Confartigianato. Francia, Germania e Spagna solamente 422 euro. Inoltre, i costi non sono divisi equamente: sulle piccole e medie imprese pesano il 27% di tutti i consumi energetici e pagano il 45% dell’energia elettrica totale, mentre le grandi aziende assorbono il 14% dell’elettricità e ne pagano solo l’8%.

energia elettricaIl trend è costante come dimostra anche un precedente rapporto della Cgia di Mestre secondo i cui calcoli l’energia elettrica costa, nel nostro Paese per ogni 1.000 Kwh consumati (Iva esclusa), 155,6 euro. Meglio, invece, il risultato che emerge dall’analisi del prezzo del gas: sempre tra i paesi dell’area euro, le Pmi italiane sono al terzo posto (dopo Paesi Bassi e Portogallo) per esborsi. Se la nostra tariffa ogni 1.000 Kwh (Iva esclusa) consumati è pari a 55,5 euro, scontiamo un differenziale di prezzo rispetto alla media dei paesi presi in esame del +13,7%. Anche qui, tuttavia, il divario di costo è a vantaggio delle imprese di grande dimensione. Stesso discorso se si prende in esame uno studio pubblicato dall’Enea – l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo sostenibile – sui consumi del 2016 confrontati con quanto accaduto nelle ultime stagioni a cominciare dal 2012, l’ultimo anno di maggior spesa in assoluto per le imprese che da lì in poi ha cominciato una costante discesa. La ragione, spiegano da Enea, va ricercata nel minor costo della materia prima, in particolare del gas, il cui mercato è sempre meno legato ai contratti di lungo periodo.

Ma se si considera il periodo 2008-2016, si scopre ancora una volta che i maggiori costi non sono stati uguali per tutte le categorie di imprese, con le Pmi che sono state più colpite dal caro-bolletta. L’Enea ha calcolato che il prezzo al kilowattora pagato dalle piccole imprese nel 2016 rispetto al 2008 è maggiore del 14 per cento, mentre per le medie imprese si aggira attorno all’8,8 per cento, fino a scendere al 4,5 per cento per le grandi. Si conferma dunque la tendenza attuale a testimonianza che la liberalizzazione dei servizi energetici è stato un vantaggio soprattutto per chi può ricorrere al mercato all’ingrosso. Analizzando il periodo, Enea evidenzia tuttavia come lo scostamento tra il prezzo medio annuo pagato dalle imprese italiane e quello pagato dalle imprese dei principali paesi Ue sia migliorato dal 2013, grazie soprattutto agli influssi positivi del mercato del gas. “Nel 2012, la differenza di prezzo tra Italia e media Ue nelle tre fasce di consumo oscillava tra 5,6 e 5,8 centesimi di euro al kilowattora. Mentre nel 2016 si è registrata una differenza di prezzo tra 3,7 e 3,8 centesimi”, scrive Enea che rimarca tuttavia il peso eccessivo delle tasse e imposte di sistema aumentate a partire dal 2011.

gas naturaleUn problema denunciato anche dagli analisti di Confindustria qualche settimana fa: l’escalation degli oneri di sistema è responsabile del 25,6% degli aumenti avvenuti negli ultimi 10 anni. Rispetto al 2005, nel 2015 l’impatto sul Pil è stato tre volte superiore. Tanto che il costo per gli oneri ormai ha raggiunto quello della materia prima energia attorno al 38%. L’Autorità per l’Energia dal suo canto si è detta consapevole della crescita smisurata della componente fiscale e parafiscale negli ultimi dieci anni. E ha assicurato che la riforma che dovrebbe essere approvata entro la fine dell’anno – in cui si distingueranno gli oneri per le energie rinnovabili dagli altri e si stabilirà una struttura a tre, con quote distinte per punto, potenza ed elettricità prelevata – potrebbe essere addirittura un vantaggio per le piccole imprese visto che il fattore discriminante non sarà la dimensione dell’azienda, ma la potenza richiesta: “L’industria che ha una potenza ben calibrata rispetto ai propri consumi di energia potrà avere addirittura degli sgravi”, hanno assicurato dall’Aeegsi. Il Presidente Guido Bortoni, nella relazione annuale presentata a giugno al Parlamento, ha inoltre invitato il legislatore a scaricare una parte degli oneri sul bilancio dello Stato, ricordando che la competenza per affrontare la riforma complessiva della ridistribuzione degli oneri generali di sistema, “è del decisore politico” che deve prendere in considerazione “il trasferimento, anche parziale, del fabbisogno annuale su voci di fiscalità generale, a garanzia della maggiore sostenibilità economica della bolletta elettrica”.

 

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