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Carbone

Senza miniere l’Occidente rischia carenza di metalli e minerali

Secondo John Dizard sul Financial Times un esempio è il cobalto: entro il 2022, secondo Bernstein Research, le aziende cinesi controlleranno circa tre quarti della nuova fornitura mineraria di cobalto e poco meno della metà della produzione totale mondiale

Occorre ripensare il ruolo delle imprese minerarie e dei finanziatori collegati se vogliamo prendere seriamente in considerazione un’economia basata sull’energia pulita. È l’opinione espressa da John Dizard sul Financial Times. La disamina dell’opinionista di FT parte dalla considerazione che alcuni materiali sono necessari alle tecnologie del futuro ma per estrarli occorre fare i conti con una serie di veti e problemi ambientali. “Ad esempio, è noto da tempo in Europa, America e Giappone, che il cobalto sarà un materiale necessario per le batterie ad alte prestazioni almeno per il prossimo decennio. Eppure, quasi tutti i finanziamenti disponibili per la nuova produzione di cobalto provengono da investitori e finanziatori cinesi. Non dovrebbe quindi sorprendere che entro il 2022, secondo Bernstein Research, le aziende cinesi controlleranno circa tre quarti della nuova fornitura mineraria di cobalto e poco meno della metà della produzione totale mondiale. L’offerta rimanente sarà costituita principalmente da sottoprodotti delle miniere di nichel e rame sparse in tutto il mondo”.

MENTRE EUROPA E AMERICA DIBATTEVANO SULL’ENERGIA PULITA, I CINESI ACQUISTAVANO MINIERE IN AFRICA

CinaInsomma, ammette Dizard, “mentre Europa e America dibattevano sull’energia pulita, i cinesi acquistavano miniere in Africa”. E si “può essere certi che la strategia industriale cinese andrà oltre la vendita di minerale di cobalto per la vendita di batterie elettriche e veicoli al resto del mondo. Forse si potrebbe immaginare una serie di tecnologie miracolose che riducono il requisito di cobalto per i veicoli elettrici e dispositivi mobili. In tal caso, i cinesi si ritroverebbero con una notevole eccedenza di cobalto nella Repubblica democratica del Congo”. Ma, prosegue l’opinionista di FT “anche in questo mondo fantastico, avremo bisogno di molto più rame, vanadio, litio e altri minerali per innalzare il tenore di vita mondiale. Gli agricoltori poveri in India con lampade a cherosene vorranno case elettrificate. Gli africani avranno bisogno di generatori elettrici e linee di trasmissione per realizzare un’economia industriale. Naturalmente i lavoratori e i contadini di Greenwich e Palo Alto avranno a loro volta bisogno di automobili e di diversi dispositivi mobili”.

TUTTA COLPA DELLA CRISI FINANZIARIA

Dizard ricorda che negli ultimi anni le aziende cinesi sponsorizzate dallo Stato sono riuscite a lavorare e a spingere in alto il loro business. A differenza di quanta accaduto per le multinazionali occidentali e nonostante i prezzi dei metalli relativamente favorevoli. “Ciò è in parte dovuto al contesto normativo molto più restrittivo per il finanziamento dei progetti – osserva l’opinionista di FT –. Dopo la crisi finanziaria globale, tutti i finanziamenti bancari sono diventati più burocratici e più avversi al rischio. Ma c’è l’impressione che il project financing per le infrastrutture e, sì, per il settore minerario, possa essere strutturato in modo da rassicurare le autorità di regolamentazione e i comitati di rischio. Ciò ha aperto la strada a nuovi operatori meno capitalizzati”. Invece il giro di vite effettuato dal Comitato di Basilea con il sostegno americano ha effettuato “un notevole restringimento della finestra ai nuovi operatori del settore, che possono promuovere investimenti solidi ma non hanno accesso ai mercati delle azioni pubbliche o delle obbligazioni societarie – conclude Dizard –. Ciò include anche le società minerarie più piccole. Mentre l’estrazione mineraria può non sembrare politicamente attraente come le infrastrutture, non si arriva a costruirle senza metalli e minerali. Qualcuno deve scavare. Se ai nuovi operatori non viene offerto un percorso finanziario ben ponderato, i materiali saranno prodotti da oligopoli e imprese statali”.

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