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Perché con la nave Eni bloccata dalla Turchia si rischia una crisi diplomatica su Saipem 12000

A cosa mira la Turchia e qual è la posizione dell’Europa nei confronti del piano di Ankara di diventare il nuovo hub del gas del Mediterraneo

La mossa della marina turca di bloccare la nave Saipem 12000 dell’Eni diretta nelle acque offshore di Cipro per supportare le attività di trivellazione del Cane a sei zampe nell’area, rischia di innescare una vera e propria crisi diplomatica nel Mediterraneo Orientale dalle conseguenze imprevedibili. Solo qualche giorno fa la stessa Eni aveva annunciato di avere scoperto un giacimento di gas nel Blocco 6, nelle acque cipriote, attraverso il pozzo Calypso 1 in collaborazione con Total. Un giacimento promettente su cui non esistono stime precise ma che secondo indiscrezioni circolate sui media ciprioti potrebbe garantire potenzialmente tra i 170 e i 230 miliardi di metri cubi di gas, al di sopra dei 128 miliardi di metri cubi delle riserve di Afrodite, l’altro grande giacimento scoperto nelle acque di Cipro nel 2011.

TurchiaEsercitazioni navali turche almeno fino al 22 febbraio

Come ha spiegato Eni, la Saipem 12000, che “ha in programma attività di perforazione nel blocco 3 nelle acque della Zona Economica Esclusiva della Repubblica di Cipro”, “ha dovuto interrompere il viaggio verso una nuova location da perforare in quanto bloccata da alcune navi militari turche con l’intimazione a non proseguire perché sarebbero in corso attività militari nell’area di destinazione” almeno fino al 22 febbraio, come ha chiarito la Marina turca. L’equipaggio Eni ha “prudentemente eseguito gli ordini e rimarrà in posizione in attesa di un’evoluzione della situazione”, fanno sapere dal Cane a sei zampe mentre è atteso per oggi l’arrivo a Nicosia di un alto dirigente dell’azienda italiana, responsabile dell’area del Sud Europa, per colloqui con il ministro dell’Energia cipriota, Giorgos Lakkotrypis nel tentativo di sbloccare la situazione.

Descalzi: Non ci aspettavamo potesse accadere. Tusk: No a minacce. Alfano in Kuwait potrebbe incontrare Mevlut Cavusoglu

“Non ci aspettavamo che ciò accadesse perché siamo dentro l’Economic zone di Cipro, dove abbiamo già perforato dei pozzi in analoghe condizioni e non ci è successo assolutamente niente”, ha ammesso l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, parlando dal Cairo a Rainews24. Secondo Descalzi “probabilmente la tensione è salita per altri motivi e quindi la nave è stata bloccata. Stiamo aspettando, so che è un discorso che ci riguarda ma non direttamente con gli interventi, perché è un discorso fra Paesi: fra Cipro, la Turchia, la comunità europea, l’Italia. Penso che stiano discutendo a quel livello. Noi aspettiamo. Chiaramente non possiamo aspettare per sempre”. Anche il governo britannico ha ribadito di “riconoscere i diritti sovrani della Repubblica di Cipro sulla sua Zona Economica Esclusiva (Zee) e sullo sfruttamento delle sue risorse naturali”. È quanto ha riferito un portavoce del Foreign Office rispondendo a una richiesta dell’agenzia di stampa cipriota Cna. Il portavoce ha poi esortato “tutte le parti ad evitare azioni che rischino di provocare una escalation della tensione nella regione o possano avere un impatto negativo sulle prospettive per una soluzione”. Un invito ad abbassare i toni è arrivato anche dal presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk che ha chiesto ad Ankara via Twitter di evitare “minacce o azioni contro qualsiasi membro dell’Ue e a impegnarsi invece per relazioni di buon vicinato, risoluzioni pacifiche delle controversie e rispetto della sovranità territoriale”. Lo stesso Tusk ha poi aggiunto di avere avuto un colloquio con il presidente cipriota, Nicos Anastasiades. Anche il ministro degli Esteri Angelino Alfano, a Kuwait city per partecipare alla riunione ministeriale della coalizione internazionale anti-Daesh, potrebbe incontrare oggi uno dei presenti alla riunione, il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu, con il quale è possibile che affronti la questione della nave Saipem 12000.

Erdogan aveva avvertito l’Italia durante la visita a Roma

In realtà, che potesse accadere qualcosa di simile a quanto successo alla nave del Cane a sei zampe, non era imprevedibile. Proprio durante la recente visita del presidente turco Recep Tayyp Erdogan nel nostro paese e gli incontri con il presidente Sergio Mattarella e il premier Paolo Gentiloni, il leader turco aveva espresso preoccupazioni per le iniziative di Eni nella zona, bollando le attività di esplorazione come “una minaccia contro Cipro nord e la Turchia”. La Farnesina ha comunicato, comunque, di essere impegnata per risolvere diplomaticamente la vicenda mentre il presidente Anastasiades, in una dichiarazione pubblica, ha gettato acqua sul fuoco sottolineando di voler evitare qualsiasi escalation.erdogan turchia

Per il Professor Sapelli l’equilibrio nell’area può raggiungersi solo se russi e americani decidono di lavorare insieme

Tutto tornerebbe in equilibrio se americani e russi decidessero di lavorare insieme. Potrebbero convincere i turchi ad abbassare i toni. Mentre lo sfruttamento dei giacimenti potrebbe essere fatto in modo congiunto facendo intervenire non solo compagnie già esistenti – Eni, Total e russi – ma anche coinvolgendo interessi israeliani, turchi e libanesi. Le soluzioni sono quelle che ci insegna la grande contrattualistica del petrolio e del gas: quando non si trova un accordo a somma zero occorre trovare un accordo a somma multipla in cui lavorando insieme tutti guadagnano qualcosa”, ha commentato il professor Giulio Sapelli, storico ed economista italiano, ricercatore emerito presso la Fondazione Eni Enrico Mattei, in una conversazione con Start Magazine sulle questioni geopolitiche aperte tra Turchia, Israele, Libano e Cipro (qui l’intervista completa: http://www.startmag.it/energia/evitare-un-conflitto-sul-gas-nel-mediterraneo-orientale/). “Quello che invece suona terribile è il silenzio dell’Europa”, ammette Sapelli.

 

Diversificazione degli approvvigionamenti e hub: questo il piano di Ankara

Per soddisfare i suoi bisogni energetici Ankara fa affidamento, infatti, sulle importazioni per quasi i tre quarti del consumo interno di energia, che si traducono in gran parte nell’approvvigionamento di gas russo. Per questo il Presidente Erdogan ha manifestato più volte l’intenzione di diversificare le forniture attingendo a nuove fonti di gas nel Mediterraneo orientale e nell’Iraq settentrionale. Per ridurre tale dipendenza e soddisfare le crescenti esigenze del mercato, il governo turco ha sviluppato una strategia nazionale basata su tre pilastri: localizzazione, sicurezza dell’approvvigionamento e prevedibilità delle condizioni di mercato, con particolare attenzione ai progetti infrastrutturali regionali. Se parte della strategia riguarda la capacità di stoccaggio salita a 4 miliardi di metri cubi con l’introduzione dell’impianto sotterraneo di Lake Tuz, ma in espansione entro il 2023, fino a 11 miliardi di metri cubi anche grazie anche al supporto di unità galleggianti di rigassificazione, Ankara è anche attiva nell’aumentare l’integrazione con i mercati energetici dell’Ue “attraverso la costruzione di più interconnessioni e la promozione di progetti per la diversificazione regionale e la sicurezza dell’approvvigionamento come il Trans Anatolian Pipeline Project (Tanap) e l’oleodotto Baku-Tblisi-Ceyhan”, ha spiegato Albayrak aggiungendo: “Abbiamo iniziato a concentrarci sugli studi di prospezione petrolifera e del gas. Sono già in corso esami approfonditi per effettuare indagini sismiche nel Mediterraneo e intendiamo fare lo stesso per la regione del Mar Nero nel prossimo periodo. Queste operazioni seguiranno ulteriori attività di esplorazione e perforazione, che riveleranno il potenziale di entrambi i mari e contribuiranno alla sicurezza dell’approvvigionamento in Turchia e nella nostra regione”, ha concluso Albayrak.

Con questo piano di diversificazione degli approvvigionamenti, la Turchia mira non solo ad aumentare la sicurezza energetica come detto ma anche ad ottenere il potere di determinare i prezzi e a trarre profitto dalla trasformazione del paese in un hub commerciale dell’intera regione. Senza dimenticare il fatto che la maggior parte del deficit commerciale turco è rappresentato proprio dalla voce energetica e per questo “ha bisogno di abbassare i prezzi del gas”, ha chiarito al Financial Times Matthew Bryza, un ex diplomatico statunitense, direttore della Turcas, una società turca attiva nel settore energetico.

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