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Perché Ankara indugia con Gazprom sul Turkish Stream

La Turchia frustrata dalle scoperte di gas dei vicini rischia di provocare tensioni nell’area. Il blocco della Saipem 12000 prolungato fino al 10 marzo. Tutte le ultime novità da Ankara nell’approfondimento di Sebastiano Torrini per Energia Oltre

La Turchia sta indugiando di fronte alla richiesta della russa Gazprom di rilasciare i permessi per consentire l’inizio dei lavori nella parte onshore del gasdotto Turkish Stream. Alcune fonti lo hanno riferito a Reuters, alimentando – di fatto – i timori di possibili ritardi del progetto. Una volta completata, l’infrastruttura da 7 miliardi di euro, consentirà alla Russia di ridurre la sua dipendenza dall’Ucraina quale via di transito per le forniture di gas verso l’Europa.

PROBLEMI RUSSIA-TURCHIA PER LO SCONTO NELLE FORNITURE DI GAS?

Ankara ha già autorizzato il colosso russo ad avviare la costruzione delle due sezioni sottomarine del progetto, ma la mancanza del nullaosta per la parte terrestre rischia di alimentare tensioni. “La Turchia ostacola i colloqui sulla seconda linea verso l’Europa”, hanno detto le fonti a Reuters. Qualsiasi ritardo al progetto, promosso direttamente dal presidente Vladimir Putin, potrebbe confermare i dubbi già manifestati da alcuni analisti sul fatto che l’opera non sarà mai realizzata nella sua forma attuale.  Il Turkish Stream è progettato per garantire più forniture alla Turchia, il maggiore acquirente di gas russo dopo la Germania. Ma anche per assicurare a Mosca un nuovo sbocco verso l’Europa meridionale. Le intenzioni di Gazprom sono quelle di completare la costruzione del gasdotto nel 2019. Ma, secondo le fonti di Reuters, il problema dei permessi è correlato o a una diatriba tra Gazprom e la società statale turca Botas sul futuro sconto per gli approvvigionamenti russi oppure al fatto che non è stata ancora costituita una società comune per la parte terrestre del gasdotto. Gazprom ha già iniziato a posare le linee sottomarine del Turkish Stream, rispettivamente in Turchia e in Europa meridionale, sotto il Mar Nero. I tubi hanno una capacità complessiva di 31,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno e per ora Gazprom ha già realizzato 884 km delle due linee, quasi la metà dell’intera parte sottomarina del gasdotto. I russi già forniscono gas ad Ankara facendolo affluire a Samsun sulla costa turca del Mar Nero attraverso un gasdotto sottomarino chiamato Blue Stream con una capacità di 16 miliardi di metri cubi all’anno.

NAVI TURCHE CONTINUANO A BLOCCARE LA SAIPEM 12000. TURCHIA FRUSTRATA DAI CONCORRENTI

Nel frattempo, come riporta Eurasia Daily, le navi da guerra turche continuano a bloccare la Saipem 12000 nella zona economica di Cipro. E il blocco potrebbe durare oltre il preventivato (22 febbraio), fino al 10 marzo, sempre per manovre militari in corso.  Per il Vice direttore del Fondo nazionale per la sicurezza energetica Alexey Grivach sono diversi i fattori che mantengono vivo il conflitto intorno ai giacimenti di petrolio e gas di Cipro: “Il fattore chiave è la lotta per le risorse. Ankara rivendica parte dello spazio di Cipro Nord. Naturalmente, sono ansiosi di ottenere le risorse del bacino del Levante per sviluppare il proprio hub, ma non ci riescono”, sottolinea l’esperto. In sostanza la Turchia, che cerca di trasformare il paese in un hub del gas per l’Europa, è frustrata da possibili concorrenti emergenti. Nel corso dell’ultimo decennio, infatti, diversi grandi giacimenti di gas sono stati scoperti nel Mar Mediterraneo da Israele, Egitto e Cipro. Nonostante ciò, tuttavia, il gas israeliano e cipriota non può competere con il gas russo né attraverso gasdotto né come Gnl, a causa dei costi. Secondo Charles Ellinas, nonresident senior fellow al Global Energy Center del Consiglio Atlantico, il gas proveniente da tali giacimenti non può essere venduto al prezzo medio europeo compreso tra 177 e 213 dollari per 1.000 metri cubi perché, ad esempio, il prezzo del gas israeliano del giacimento Leviathan è stimato in 160 dollari da Noble Energy, troppo costoso, dunque, indipendentemente dalla via di trasporto utilizzata, come ad esempio il gasdotto EastMed, per il quale la Commissione europea ha stanziato 34,5 milioni. Saipem-12000-drillship

ANKARE ESPLORA DA ANNI I FONDALI SENZA TROVARE NULLA

Dal 2000, la Turkish Petroleum Corporation (TPAO) esplora attivamente i giacimenti di petrolio e gas nel Mar Nero e nel Mediterraneo e insieme alle imprese occidentali ha investito diversi miliardi di dollari in indagini esplorative, acquistando e costruendo navi per i rilevamenti sismici. A differenza dei paesi vicini però, Ankara non ha riscontrato risultati significativi dalle esplorazioni e dipende ancora per il 99% dalle importazioni estere di gas. Contemporaneamente, l’apertura nell’arco di dieci anni dei giacimenti israeliani di Leviathan e Tamar – con riserve totali di 900 miliardi di metri cubi – di Zohr in Egitto – con 850 miliardi di metri cubi – e di Afrodite a Cipro –  con 127 miliardi di metri cubi – hanno sconvolto i piani di Ankara. Senza dimenticare che la Saipem 12000, prima di navigare verso il Blocco 3 ed essere fermata dai turchi, aveva condotto con successo la perforazione del Blocco 6 per conto di Eni e Total, alimentando ancora di più la frustrazione di Ankara. Frustrazione che potrebbe essere rinnovata da nuove esplorazioni intorno all’isola frutto dell’accordo tra Qatar ed ExxonMobil firmato lo scorso anno e che dovrebbe concretizzarsi quest’anno. Secondo quanto riferito dal professor Pamir, ordinario di politica energetica mondiale all’Università turca di Bilkent, al quotidiano Deutsche Welle Turkish, il recente scontro tra navi greche e turche nelle acque del decimo blocco esplorativo “potrebbe aumentare ulteriormente i rischi di un conflitto, facendo vacillare le già traballanti relazioni internazionali tra Turchia e Stati Uniti”. Di fatto, le politiche regionali di egemonia da parte di Ankara non sono più semplicemente collegate alle minacce percepite dal PKK o in Siria, ma sono collegate alle risorse energetiche.

RISCHIO DI UN CONFLITTO?

Anche per Cyril Widdershoven, che svolge un ruolo consultivo in diversi Think Tank internazionali “si prepara una guerra”, ha scritto su oilprice. Non solo per via della Turchia ma anche di Libano e Siria che stanno entrando nella partita del gas. “La mossa del Libano nelle ultime settimane di appaltare i blocchi offshore vicino al confine marittimo con Israele” ha portato Tel Aviv ad “avvertire apertamente le compagnie internazionali di tenersi alla larga da queste aree, in quanto ciò sarà vista come una minaccia alla sicurezza israeliana”. Allo stesso tempo “Hezbollah ha minacciato direttamente le operazioni offshore di petrolio e gas israeliano”. Il 2018 potrebbe quindi vedere una “prova di forza tra Hezbollah e Israele, ma su scala molto più ampia di prima” mentre le minacce e i conflitti marittimi “potrebbero colpire contemporaneamente altri trasporti petroliferi. Un conflitto militare completo che coinvolga l’area offshore di Cipro-Libano-Israele potrebbe bloccare le rotte di transito del petrolio di Ceyhan (Turchia). Allo stesso tempo, un conflitto diretto tra Cipro e Turchia potrebbe coinvolgere anche i greci, minacciando direttamente le vie di transito attraverso il Bosforo”.

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