I dazi di Trump colpiscono duramente General Motors, erodendo 1,1 miliardi di dollari di utili, mentre le vendite di Tesla crollano del 13,5% tra le incertezze strategiche. Una sentenza storica della Corte Internazionale di Giustizia stabilisce che i Paesi hanno l’obbligo legale di agire contro il cambiamento climatico. I Fatti della Settimana di Marco Orioles.
General Motors affronta l’impatto significativo dei dazi imposti da Donald Trump, che hanno eroso gli utili per 1,1 miliardi di dollari nel solo secondo trimestre, mantenendoli invariati nonostante l’aumento delle vendite. Senza le tariffe, i profitti sarebbero cresciuti del 34%. Nel frattempo, anche Tesla mostra segnali di debolezza, con Elon Musk che punta sul futuro dei robotaxi mentre il core business vacilla. Le consegne sono crollate del 13,5% e i ricavi del 12%, mettendo in allarme analisti e investitori preoccupati per la strategia a lungo termine dell’azienda. In un contesto più ampio, la Corte Internazionale di Giustizia ha emesso una sentenza storica, stabilendo che i Paesi che non agiscono per proteggere il pianeta dal cambiamento climatico potrebbero violare il diritto internazionale. Questa decisione, pur non essendo vincolante, apre la strada a possibili richieste di riparazioni da parte delle nazioni più colpite e rafforza il concetto di un ambiente sano come diritto umano.
IMPATTO SIGNIFICATIVO DEI DAZI TRUMPIANI SUGLI UTILI GM
Come riferisce Quartz, General Motors (GM) ha riportato un impatto significativo delle tariffe imposte dal presidente Donald Trump, come dettagliato nella sua presentazione degli utili trimestrali. Nel secondo trimestre, le tariffe hanno comportato un costo netto di 1,1 miliardi di dollari, con un impatto annuo previsto tra 4 e 5 miliardi per il 2025. Di questi, 800 milioni derivano dall’aumento dei costi di componenti e materiali di produzione, mentre 300 milioni sono legati a pressioni operative indirette, come spese per conformità e gestione regolamentare. Questo impatto ha limitato la crescita degli utili, mantenendoli invariati rispetto all’anno precedente, nonostante GM abbia compensato con maggiori vendite, aumenti di prezzo e controlli rigorosi sui costi. Senza le tariffe, gli utili del trimestre sarebbero stati di circa 4,3 miliardi, il 34% in più rispetto ai 3,2 miliardi riportati. Le tariffe, sottolinea Quartz, rappresentano una sfida crescente per l’industria automobilistica statunitense, mentre GM si adatta a un mercato che torna a privilegiare veicoli a combustione interna, con investimenti di 4 miliardi in camion e SUV a causa del rallentamento della domanda di veicoli elettrici e della fine imminente di crediti fiscali federali. Le nuove politiche commerciali di Trump, che colpiscono veicoli e componenti importati, hanno generato incertezza strategica, portando GM a sospendere le guidance sugli utili, interrompere il programma di riacquisto azionario e posticipare la chiamata sugli utili del primo trimestre. L’azienda prevede un impatto ancora maggiore nel terzo trimestre a causa dei tempi dei costi indiretti delle tariffe. Le azioni di GM, nota ancora Quartz, sono scese di circa il 3% nel premercato dopo la notizia, riflettendo le preoccupazioni degli investitori.
MUSK PUNTA SULL’AUTONOMIA MENTRE IL CORE BUSINESS VACILLA
Come riporta Quartz, durante l’earnings call del secondo quadrimestre di quest’anno Elon Musk si è mostrato ottimista sul futuro autonomo di Tesla, dichiarando che l’azienda supera Waymo di Google nell’AI applicata alla guida autonoma. Ha annunciato l’obiettivo di lanciare un servizio di robotaxi in metà degli Stati Uniti entro fine anno, soggetto ad approvazioni regolamentari, con un programma pilota già avviato ad Austin, anche se con monitor di sicurezza e non completamente senza conducente come promesso. Musk ha aggiunto che i proprietari di Tesla potranno aggiungere i loro veicoli alla flotta robotaxi a partire dal 2026, ma non ha fornito dettagli sull’inclusione di veicoli non-Tesla. Musk ha tuttavia dedicato poco spazio al core business delle vendite auto, che mostra segnali di debolezza. Tesla ha riportato ricavi totali di 22,5 miliardi di dollari, in calo del 12% rispetto ai 25 miliardi circa del Q2 2024, sotto le attese degli analisti (22,64 miliardi). L’utile netto è sceso del 16% a 1,17 miliardi di dollari, mentre l’utile per azione non-GAAP è stato di 0,40 dollari, vicino alle previsioni di 0,42 dollari. Le consegne di veicoli sono crollate del 13,5% a 384.122 unità (di cui 373.728 Model 3 e Model Y), il peggior calo trimestrale mai registrato, mentre la produzione è rimasta stabile a 410.244 veicoli. I ricavi automobilistici sono diminuiti del 16% a 16,7 miliardi di dollari, con margini lordi ridotti e un utile operativo di 923 milioni di dollari, inferiore alle attese di 1,23 miliardi. I ricavi da crediti regolamentari sono scesi a 439 milioni di dollari (da 890 milioni nel Q2 2024), con ulteriori cali previsti a causa del One Big Beautiful Bill Act. Come sottolinea Quartz, Tesla ha confermato i primi assemblaggi di un modello EV più economico (sotto i 30.000 dollari), simile al Model Y, con produzione di massa prevista nella seconda metà del 2025. Il Model 3, a partire da 43.000 dollari, rimane l’EV più economico dell’azienda. Anche il Tesla Semi e il Cybercab entreranno in produzione di massa nel 2026, ma i costi tariffari, pari a 300 milioni di dollari, e le incertezze macroeconomiche potrebbero ostacolare i piani. Tesla ha registrato una liquidità di 36,8 miliardi di dollari (+20% rispetto al Q2 2024), ma il flusso di cassa libero è crollato dell’89% a 146 milioni di dollari. Analisti e investitori sono preoccupati. Le vendite in California, mercato chiave per gli EV, sono calate di oltre il 20%. UBS ha confermato un rating “Sell”, definendo Tesla “sopravvalutata”, mentre JPMorgan ha un target price di 115 dollari, contro i 330 dollari attuali. William Blair ha declassato il titolo a “Market Perform”. Le dimissioni di top manager e le controversie legate alle attività politiche di Musk, come la fondazione di un partito politico, alimentano ulteriori critiche. Musk ha espresso timori sul suo controllo azionario (13%), temendo pressioni da investitori attivisti, e spera che la questione venga affrontata nella riunione degli azionisti di novembre.
SENTENZA STORICA DELLA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA
Come riferisce l’Associated Press, la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) delle Nazioni Unite, in un parere consultivo storico emesso mercoledì, ha dichiarato che i Paesi potrebbero violare il diritto internazionale se non adottano misure per proteggere il pianeta dal cambiamento climatico, e che le nazioni colpite dai suoi effetti potrebbero avere diritto a riparazioni. Il caso, guidato da Vanuatu – vulnerabile all’innalzamento dei mari con circa 4,3 cm di aumento medio globale dal 2013 al 2023) – e sostenuto da oltre 130 Paesi, rispondeva alla richiesta dell’Assemblea Generale Onu del 2023 di chiarire gli obblighi degli Stati contro le emissioni di gas serra e le conseguenze legali per danni climatici significativi. Il parere della Corte, non vincolante ma unanime tra i 15 giudici, è stato definito un punto di svolta nel diritto climatico internazionale. La Corte ha riconosciuto un ambiente “pulito, sano e sostenibile” come diritto umano, aprendo la strada a ulteriori azioni legali, come cause nazionali o presso la stessa ICJ, e influenzando strumenti come accordi di investimento. Il presidente della Corte, Yuji Iwasawa, ha descritto la crisi climatica come “un problema esistenziale di proporzioni planetarie” che minaccia ogni forma di vita. Il Segretario Generale Onu, Antonio Guterres, ha celebrato il parere come una “vittoria per il pianeta e la giustizia climatica”, sottolineando il ruolo dei giovani delle isole del Pacifico. Mary Robinson, ex Alto Commissario Onu per i diritti umani, ha definito il parere uno strumento potente per proteggere le popolazioni dagli impatti del cambiamento climatico e garantire giustizia per i danni causati. Vishal Prasad, di Pacific Islands Students Fighting Climate Change, ha evidenziato che i Paesi meno responsabili della crisi meritano protezione e riparazioni, mentre il ministro di Vanuatu Ralph Regenvanu ha definito la decisione una “correzione di rotta cruciale”. Il parere potrebbe influenzare negoziati come la COP30 a Belém, ma Stati come Usa e Russia, grandi produttori di petrolio, si oppongono a mandati di riduzione delle emissioni. La sentenza si affianca a recenti vittorie legali, come quelle della Corte Interamericana dei Diritti Umani e della Corte Europea,rafforzando il dovere degli Stati di proteggere dai danni climatici.