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L’Italia torna in miniera, ma per le terre rare non basta. Ecco perché

Dopo 30 anni l’Italia torna a scavare a caccia di minerali, ma rischia di essere ormai troppo tardi per le terre rare. Ecco perché

Dopo 30 anni l’Italia torna a scavare alla ricerca di terre rare, ma potrebbe essere troppo tardi. Il Programma nazionale di esplorazione mineraria generale (Pne) mette in campo 3,5 milioni di euro per la prima fase, che prevede 14 progetti di ricerca in varie zone d’Italia. Una mossa che mira “a dare un contributo per far conquistare una quota di indipendenza all’Italia”, ma gli ostacoli sono tanti.

L’ITALIA TORNA IN MANIERA, MA E’ TARDI PER LE TERRE RARE

L’Italia torna in miniera per aggiungersi alla corsa globale alle terre rare miniere e guadagnarsi una fetta di indipendenza dalla Cina. Tuttavia, le risorse sembrano limitate e gli anni di abbandono delle miniere sembrano troppi per recuperare il terreno perduto. La conformazione del territorio, l’assenza di una filiera industriale e la mancanza di fondi rischiano di far naufragare i pani del Governo di dare un contributo tangibile per conquistare una quota di indipendenza dalle importazioni estere.

Litio e grafite (usati per le batterie), rame (elettronica e Ai), antimonio (semiconduttori), tungsteno (acciai speciali), titanio (aerospazio), terre rare (per l’hi-tech), fluorite (vetro, acciaio, elettronica), feldspato (per la ceramica). Sono le terre rare che i ricercatori cercheranno nel sottosuolo italiano in quasi tutto il Paese. La mappatura interesserà quasi tutto il Paese. “Sarà una ricerca di base per comprendere il potenziale minerario nazionale secondo il regolamento europeo. Non faremo attività invasive”, ha spiegato il ricercatore di Ispra Fiorenzo Fumanti, coordinatore del progetto, a La Stampa. I risultati confluiranno poi nel database minerario nazionale Gemma.

DOVE E QUANDO SI SCAVERA’?

Le esplorazioni dovrebbero partire a settembre e si concentreranno su Lombardia, Piemonte, Trentino-Alto Adige, Liguria, Toscana, Lazio, Campania, Calabria, Emilia-Romagna, Marche e Sardegna. In particolare, nel Nord-Est si scaverà alla ricerca di fluorite e terre rare, al Centro di litio e antimonio, al Sud per grafite e feldspati e minerali metalliferi. Successivamente, al termine del primo anno, sarà fatta una revisione sulla base dei risultati ottenuti e saranno pianificati gli altri quattro anni. Una scelta che contribuisce a creare incertezza. Una vaghezza che riguarda le tempistiche degli scavi in generale. “Dal momento in cui si individua del rame nel sottosuolo a quando si tira fuori il primo grammo intercorrono tra i 12 e i 16 anni” ha detto Maurizio Mazziero, analista finanziario, in un’intervista rilasciata a La Stampa.

“Non vedo un’attività mineraria realistica immediata – dice Zanetti –. Il piano di Ispra è in fase iniziale. Parliamo di attività che possono diventare concrete, se c’è una forte volontà del governo, non prima di 10 anni e che hanno bisogno di seri investimenti pubblici”, ha sottolineato Mariachiara Zanetti, vicerettrice delegata alle Materie prime critiche e alle Tematiche ambientali del Politecnico di Torino, nell’intervista allo stesso giornale.

SARA’ SUFFICIENTE A COMPETERE E DIVENTARE INDIPENDENTI DALA CINA?

Il riavvio delle miniere non è però la soluzione a tutti i problemi italiani sulle terre rare. Infatti, le risorse estratte dai nuovi siti nazionali difficilmente saranno sufficienti per competere con i Big mondiali e a renderci indipendenti dalla Cina, secondo Maurizio Mazziero, analista finanziario. Gli ostacoli sono tre: la conformazione del territorio, l’assenza di una filiera industriale e la mancanza di fondi, che affligge la stessa Ispra.

“Competere al livello globale sembra difficile per la conformazione del territorio. L’Italia potrà eccellere solo in alcune materie specifiche, come fluorite e feldspati, con produzioni rilevanti su titanio, litio e antimonio”, ha detto l’esperto in un’intervista rilasciata a La Stampa.

“Oggi non abbiamo esperienza in Italia, perché tutto è abbandonato. Una volta identificati ed estratti i minerali, bisognerà capire come affrontare la raffinazione, manca un apparato industriale di raccolta dei materiali e di trattamento. Se estraiamo antimonio e poi andiamo a raffinare in Cina per poi ricomprare antimonio da Pechino, non risolviamo il problema dell’indipendenza”, ha aggiunto Mazziero. Al contrario, il Paese asiatico “Domina le materie prime critiche perché ha cominciato a investire sulla filiera oltre un quarto di secolo fa”, aggiunge. L’impero del Dragone ha però un punto debole: importa la maggior parte delle materie prime grezze. Per questa ragione, in questi mesi sta cercando di accaparrarsi più minerali possibile, approfittando di una finestra temporale prima di una possibile escalation geopolitica.

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