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Trump frena il green, lo stoccaggio CO₂ ha dei limiti, declino dei giacimenti: i fatti della settimana

Le politiche USA dimezzano la decarbonizzazione e un nuovo studio riduce di 10 volte lo spazio per il CCS. L’IEA avverte: il declino dei giacimenti di petrolio e gas accelera, servono più investimenti per evitare crisi. I fatti della settimana di Marco Orioles.
La settimana energetica è stata segnata da tre notizie cruciali. In primo luogo, le politiche dell’amministrazione Trump stanno dimezzando il ritmo della decarbonizzazione degli Stati Uniti, con il rischio di un aumento delle emissioni negli anni ’30 e gravi conseguenze per l’economia e il clima globale. In secondo luogo, un nuovo studio pubblicato su Nature ha rivelato che la capacità mondiale di stoccare in sicurezza la CO₂ (CCS) è circa dieci volte inferiore alle stime industriali, ponendo seri limiti a una tecnologia considerata chiave per la transizione, i cui costi elevati la rendono ancora dipendente da sussidi pubblici. Infine, l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) ha lanciato un allarme: il tasso di declino dei giacimenti di petrolio e gas esistenti sta accelerando a causa della maggiore dipendenza dallo shale. Questo costringe l’industria a investire circa 500 miliardi di dollari all’anno solo per mantenere i livelli di produzione attuali, una sfida che, se non affrontata con continui investimenti, potrebbe portare a crisi di approvvigionamento e a una maggiore concentrazione della produzione in Medio Oriente e Russia.

L’IMPATTO DELLE POLITICHE DI TRUMP SULLA DECARBONIZZAZIONE USA

Un recente articolo del Financial Times analizza le conseguenze delle politiche climatiche di Donald Trump, che smantellano regole ambientali, incentivi per l’energia pulita e promuovono i combustibili fossili. Secondo un’analisi del Rhodium Group, fornitore indipendente di ricerche, citata dal quotidiano, il ritmo di decarbonizzazione USA potrebbe dimezzarsi nei prossimi 15 anni. Il tasso di riduzione annuale delle emissioni medie passerebbe allo 0,4% fino al 2040 rispetto all’1,1% osservato dal 2005 al 2024. Il XI report “Taking Stock” del Rhodium Group prevede che le emissioni USA annuali calino solo del 26-35% entro il 2035, un downgrade significativo rispetto alla stima precedente del 38-56%. Lo scenario ad alte emissioni, modellato con variabili come crescita economica, prezzi dei fossili e costi dell’energia pulita, attribuisce questo rallentamento all’eliminazione dei crediti fiscali per rinnovabili e regolamenti su centrali a carbone e veicoli elettrici, oltre alla domanda elettrica in aumento per l’IA. Senza il ripristino di politiche pro-rinnovabili, le emissioni potrebbero risalire negli anni ’30, per la prima volta dal 2007. Nel peggior scenario, il Rhodium Group stima un extra di 1,3 gigatonnellate di gas serra annui entro il 2035 rispetto alle proiezioni del 2024. Bob Ward, direttore della politica climatica alla London School of Economics, intervistato dal Financial Times, avverte che l’economia Usa diventerà “più pulita più lentamente dei concorrenti come Europa e Cina”, esponendosi a tariffe basate sulle emissioni e sanzioni che danneggeranno le esportazioni. “Con il secondo maggiore emettitore globale che rifiuta di accelerare, il mondo faticherà a evitare cambiamenti climatici pericolosi, danneggiando le vite negli Usa e ovunque”, aggiunge Ward. Proprio prima di lasciare la Casa Bianca, Joe Biden aveva annunciato target più ambiziosi: una riduzione del 61-66% delle emissioni entro il 2035 rispetto al 2005, superando il precedente 50-52% per il 2030. Trump, definendo il cambiamento climatico una “bufala”, ha ritirato gli Usa dall’Accordo di Parigi e propone di abolire il “endangerment finding” dell’EPA del 2009, che riconosce i gas serra come minaccia per la salute pubblica. Il rollback verde di Trump solleva timori globali: altri paesi potrebbero indebolire i loro sforzi contro il riscaldamento. Nessuno ha seguito gli Usa nell’uscita da Parigi, ma pochi hanno presentato nuovi target di riduzione in tempo quest’anno. Ue e Cina promettono di presentarli questo mese.

I LIMITI DELLO STOCCAGGIO DI CARBONIO

Un nuovo studio pubblicato su Nature e di cui ci rende conto Lara Williams di Bloomberg rivela che lo spazio sicuro e pratico per lo stoccaggio del carbonio è circa dieci volte inferiore rispetto alle stime precedenti, evidenziando i limiti del carbon capture and storage (CCS) nella lotta alle emissioni. Secondo la ricerca, il “limite planetario prudente” per lo stoccaggio di CO2 è di circa 1,46 trilioni di tonnellate, contro una stima industriale di 14 trilioni. Questo dato è in linea con valutazioni più conservative, come quella dell’IPCC del 2005 (1,69 trilioni di tonnellate) e uno studio del 2021 del Beijing Institute of Technology (2 trilioni). Considerando che nel 2022 le emissioni globali legate all’energia sono state di 38 miliardi di tonnellate, molti scenari IPCC per raggiungere lo zero netto entro il 2100 esaurirebbero lo spazio di stoccaggio prima di tale data, creando problemi per le generazioni future. Il CCS è cruciale per catturare emissioni da fonti come centrali elettriche o impianti di cemento e per rimuovere CO2 dall’atmosfera. Tuttavia, lo studio si concentra sullo stoccaggio in bacini sedimentari, escludendo aree vicino a insediamenti umani, zone protette o siti a rischio sismico. Un’alternativa promettente secondo la Williams è la mineralizzazione, che inietta CO2 diluito in acqua in formazioni basaltiche, dove si solidifica rapidamente. Questo metodo potrebbe offrire una capacità di stoccaggio tra 100 e 250 trilioni di tonnellate, ma non è ancora stato testato su larga scala. Il principale ostacolo del CCS non è solo lo spazio, ma i costi elevati e la bassa domanda del settore privato, che rendono i progetti dipendenti da sussidi pubblici. Secondo l’Institute of Energy Economics and Financial Analysis, i piani europei di CCS potrebbero richiedere fino a 140 miliardi di euro di fondi pubblici. Per accelerare lo sviluppo, i governi dovrebbero incentivare i grandi emettitori a investire nel CCS, applicando il principio “chi inquina paga”: ogni tonnellata di CO2 emessa dovrebbe essere compensata con una tonnellata stoccata. Questo spingerebbe a cercare alternative dove il CCS non è economico.

IEA: DECLINO ACCCELERATO DEI GIACIMENTI DI PETROLIO E GAS

Come riferisce il Financial Times, l’International Energy Agency (IEA) ha annunciato che i giacimenti di petrolio e gas mondiali stanno declinando a un ritmo più rapido di quanto previsto, ponendo il settore energetico di fronte a una sfida costosa per mantenere i livelli di produzione. Analizzando dati provenienti da 15.000 giacimenti, l’IEA ha rilevato che la crescente dipendenza da shale oil e gas, che richiedono continue trivellazioni per sostenere l’output, rende la produzione sempre più precaria. Fatih Birol, direttore dell’IEA, ha dichiarato che dal 2019 l’industria petrolifera ha destinato circa il 90% degli investimenti annuali, pari a 500 miliardi di dollari all’anno, solo per contrastare il declino dei giacimenti esistenti. “L’industria deve correre molto più veloce solo per restare ferma,” ha aggiunto. Secondo il Ft le conclusioni dell’IEA saranno probabilmente accolte con favore dall’industria petrolifera, che ha sempre sostenuto la necessità di ingenti investimenti per mantenere la produzione. Il rapporto segna un cambiamento rispetto alla posizione dell’IEA dello scorso anno, quando aveva previsto un “eccesso di offerta” di petrolio, suggerendo ai produttori di rivedere i loro piani aziendali. L’IEA ha subito pressioni dall’amministrazione Trump, che l’ha accusata di scoraggiare gli investimenti nel settore prevedendo un picco della domanda di petrolio entro la fine del decennio. Se gli investimenti cessassero, la produzione globale di petrolio diminuirebbe di 5,5 milioni di barili al giorno, pari alla produzione combinata di Brasile e Norvegia, con lo shale oil statunitense che crollerebbe del 35% in un anno. Inoltre, con il declino dei giacimenti, l’offerta di combustibili si concentrerà sempre più in Medio Oriente e Russia, dove i giacimenti declinano più lentamente. La quota di mercato di Opec e Russia potrebbe crescere dal 43% attuale a oltre il 65% entro il 2050. L’IEA prevede anche che entro il 2030 le fonti rinnovabili, come solare ed eolico, genereranno quasi la metà dell’elettricità globale, grazie alla riduzione dei costi di installazione.

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