Il giudizio della Consulta riguardava la legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Sardegna del luglio 2024, che aveva introdotto il divieto di realizzare impianti da fonti energetiche rinnovabili per 18 mesi, nelle more dell’approvazione della legge regionale di individuazione delle aree idonee
Con sentenza n. 28/2025, le cui motivazioni sono state depositate l’11 marzo 2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Autonoma Sardegna n. 5/2024 https://energiaoltre.it/corte-costituzionale-boccia-moratoria-sardegna-su-rinnovabili-anie-vittoria-per-la-transizione-energetica/ (recante “Misure urgenti per la salvaguardia del paesaggio e dei beni paesaggistici e ambientali”), all’esito del giudizio promosso dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e malgrado la norma fosse già stata abrogata dalla successiva legge regionale sulle aree idonee. Secondo la Consulta, “non assume rilievo nell’attuale giudizio la sopravvenuta abrogazione della legge, poiché le disposizioni impugnate hanno ricevuto medio tempore applicazione”.
LA QUESTIONE DELLA LEGITTIMITÀ DEGLI IMPIANTI RINNOVABILI IN SARDEGNA
Il giudizio – scrive sulla Rivista “Il Pianeta Terra” l’avvocato Massimo Ragazzo, dello Studio Gerosa, Sollima e Associati https://www.ilpianetaterra.it/ – verteva sulla legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Sardegna dello scorso mese di luglio 2024, con la quale era stato introdotto il divieto di realizzare impianti da fonti energetiche rinnovabili per 18 mesi, nelle more dell’approvazione della legge regionale di individuazione delle aree idonee. Dunque, si trattava dell’ennesima moratoria disposta negli ultimi quattro lustri da qualche Regione, che la Consulta ha sempre censurato.
Peraltro, la Corte Costituzionale, con la recente sentenza n. 103 del 2024, aveva già ricostruito i tratti essenziali dell’evoluzione normativa nazionale concernente l’individuazione delle aree in cui è consentita l’installazione degli impianti di energia rinnovabile, dando atto del passaggio dalla disciplina introdotta con l’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 a quella dettata dall’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021, attuata parzialmente) con il d.m. 21 giugno 2024.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri aveva impugnato il suindicato art. 3 della legge regionale sarda in riferimento all’art. 117 della Costituzione, commi primo e terzo, al d.lgs. n. 199 del 2021, alla direttiva 2018/2001/UE, al regolamento 2021/1119/UE, nonché in riferimento all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, agli artt. 3 e 4, lettera e), dello Statuto speciale e agli artt. 3, 41 e 97 della Costituzione.
LA POSIZIONE DELLA REGIONE SARDEGNA
La Regione autonoma della Sardegna, costituitasi in giudizio, aveva invece eccepito l’inammissibilità del ricorso per mancato adeguato confronto con le competenze statutarie e sosteneva che l’ambito di competenza della legge regionale era quello statutario, di natura primaria, in materia di tutela del paesaggio, e non espressione di competenza legislativa concorrente.
Inoltre, la Regione Sardegna aveva evidenziato che la moratoria, in definitiva, aveva avuto una durata “limitata” (18 mesi) e che serviva solo per definire con precisione le aree idonee, senza compromettere in maniera “irreversibile” il territorio. Ed infine, che il divieto non si applicava agli impianti già in costruzione, per cui, tutto sommato, non ci sarebbe stato un impatto significativo sugli investimenti in corso.
LE MOTIVAZIONI DELLA DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
In sintesi, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Sardegna con le seguenti motivazioni:
– L’art. 3 della legge regionale viola i principi introdotti dall’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021, quali il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione, il divieto di introduzione di moratorie e l’avvio di procedure autorizzatorie agevolate;
– Le disposizioni regionali impugnate, pur finalizzate alla tutela del paesaggio, nello stabilire il divieto di installare impianti da fonti rinnovabili, si pongono in contrasto con la predetta normativa statale;
– Non assume rilievo alcuno la circostanza che il divieto fosse temporalmente circoscritto a diciotto mesi, essendo tale termine comunque superiore a quello di 180 giorni che l’art. 20, comma 4, del d.lgs. n. 199 del 2021 prescrive per l’individuazione con legge delle aree idonee.
I PROFILI DI ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELLA DECISIONE DELLA CONSULTA
Ebbene, la decisione della Consulta si fonda su più profili di illegittimità costituzionale. In primo luogo, è stato ravvisato il contrasto con il principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, poiché la moratoria determinava una paralisi del settore energetico, senza il necessario coordinamento con la disciplina nazionale. Secondariamente, è stata evidenziata la violazione della normativa statale in materia di transizione energetica, che impone l’eliminazione degli ostacoli burocratici e regolatori alla diffusione delle energie rinnovabili. Infine, è stata riconosciuta l’irragionevolezza della misura, in quanto la sospensione generalizzata delle autorizzazioni avrebbe prodotto effetti distorsivi sul mercato dell’energia, penalizzando gli investimenti e compromettendo la certezza del diritto.
Le Regioni possono individuare criteri per la localizzazione degli impianti, ma ciò non può tradursi in misure che sospendano in via generale e astratta il rilascio di autorizzazioni, perché ciò si porrebbe in contrasto anche con il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell’Unione europea.
La sentenza n. 28/2025 della Corte Costituzionale non si limita a dichiarare l’illegittimità di una norma regionale, ma riafferma un principio di rilevanza strategica per l’intero ordinamento: le Regioni possono e devono tutelare il paesaggio e l’ambiente, ma non possono, attraverso misure generalizzate e indiscriminate, ostacolare la transizione energetica. Ogni restrizione all’installazione di impianti da fonti rinnovabili deve essere motivatamente circoscritta e, in ogni caso, non ostativa per gli obblighi nazionali ed europei di decarbonizzazione.
L’INDIVIDUAZIONE DELLE AREE PER GLI IMPIANTI RINNOVABILI IN SARDEGNA
A questo punto, come sopra accennato, la Consulta rammenta come la stessa Corte, con la recente sentenza n. 103 del 2024, avesse già ricostruito i tratti essenziali dell’evoluzione normativa nazionale concernente l’individuazione delle aree in cui è consentita l’installazione degli impianti di energia rinnovabile, dando atto del passaggio dalla disciplina introdotta con l’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 a quella dettata dall’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021 e attuata con il d.m. 21 giugno 2024.
Tale normativa (ovvero il cit. d.lgs. n. 199/2021) persegue sì finalità di tutela dell’ambiente e di lotta al cambiamento climatico, ma per la Corte Costituzionale “è frutto di una diversa impostazione rispetto alla più tradizionale disciplina delle ‘aree non idonee’”.
L’individuazione delle aree idonee da parte delle Regioni, con legge, persegue un duplice obiettivo: consentire agli operatori di “conoscere in modo chiaro e trasparente le aree in cui è possibile installare impianti FER, seguendo una procedura semplificata”; garantire il rispetto delle prerogative regionali che, nel selezionare in quali aree consentire l’installazione agevolata di FER, possono esercitare la più ampia discrezionalità, “fermi restando, però, i limiti imposti dallo Stato in termini di classificazione e obiettivi annui di MW da raggiungere, così come stabilito dal d.m. 21 giugno 2024, fino al 2030”.
La disciplina statale sull’individuazione delle aree e dei siti sui quali possono essere installati gli impianti di produzione di energia rinnovabile, prevista dal d.lgs. n. 199 del 2021, “si affianca” al previgente regime di individuazione delle aree non idonee, prevedendo che vengano anzitutto definite con legge regionale (art. 20, comma 4) le aree idonee, dalla cui qualificazione consegue l’accesso a un procedimento autorizzatorio semplificato per chi intenda installare FER.
IL CONTRASTO TRA LE NORME REGIONALI E LA NORMATIVA STATALE
Le disposizioni regionali impugnate, in definitiva, pur finalizzate alla tutela del paesaggio, nello stabilire il divieto di installare impianti alimentati da fonti rinnovabili, si pongono in contrasto con la richiamata normativa statale che, all’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021, reca principi fondamentali che, in quanto tali, si impongono anche rispetto alle competenze statutarie in materia di produzione dell’energia.
Segnatamente, la legge regionale impugnata dal Governo vìola gli artt. 3 e 4 dello Statuto speciale della R.A.S., l’art. 117, primo comma, Cost., la direttiva 2018/2001/UE e il regolamento n. 2021/1119/UE, nonché il d.lgs. n. 199 del 2021 [e, più in particolare, l’art. 20, in tema di raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 (comma 5), di divieto di introduzione di moratorie (comma 6), di avvio di procedure autorizzatorie agevolate per l’installazione di FER nelle aree individuate temporaneamente da considerarsi idonee (comma 8).