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Germania Energia

La lettera della Germania per ritardare le regole UE sull’idrogeno verde

L’idrogeno dovrebbe svolgere un ruolo chiave nello sforzo di decarbonizzazione dell’Europa, ma l’effettiva diffusione del mercato è stata lenta a causa dell’incertezza normativa

Lo scorso anno, poco dopo essere stato nominato, il nuovo governo tedesco ha fatto pressioni a Bruxelles per influenzare i progetti di legge dell’Unione Europea che regolano la produzione di idrogeno rinnovabile, portando a quasi un anno di ritardo. Lo rivela EURACTIV.  Una lettera del governo tedesco datata dicembre 2021 mostra come Berlino abbia avuto un ruolo determinante nella discussione per influenzare la politica dell’UE sull’idrogeno.

L’idrogeno dovrebbe svolgere un ruolo chiave nello sforzo di decarbonizzazione dell’Europa, ma l’effettiva diffusione del mercato è stata lenta a causa dell’incertezza normativa, con l’Unione Europea impegnata nelle discussioni sulle regole che disciplinano la produzione di “idrogeno verde”, ottenuto da elettricità rinnovabile.

Nel 2018 la Commissione Europea è stata incaricata di creare un regolamento per garantire che gli elettrolizzatori che producono idrogeno verde utilizzino solo energia eolica o solare “aggiuntiva” e non privino altri settori di elettricità rinnovabile.

Ciò ha avviato una battaglia tra lobby sull’esatto significato della regola di “addizionalità”, che la Commissione Europea avrebbe dovuto precisare in un cosiddetto “atto delegato”, una procedura accelerata utilizzata per gli aggiornamenti tecnici della legge.

La posta in gioco è alta per la Germania, che mira ad utilizzare l’idrogeno pulito in sostituzione dei combustibili fossili nei trasporti e nei settori ad alta intensità energetica, come la produzione di acciaio o la chimica.

LA LETTERA DEL SOTTOSEGRETARIO TEDESCO A STEFANO GRASSI

Nel dicembre 2021 Berlino è intervenuta con una lettera alla Commissione Europea inviata da Patrick Graichen, segretario di Stato appena nominato e braccio destro del vicecancelliere Robert Habeck. “Caro Stefano – inizia la lettera indirizzata a Stefano Grassi, capo di gabinetto del commissario all’Energia, Kadri Simson -, è stato molto piacevole aver fatto la tua conoscenza al telefono”, scrive Graichen, dicendo che “la velocità di attuazione del Green Deal europeo mi richiede di procedere”.

All’epoca la Commissione stava per concludere un processo triennale di sviluppo delle sue regole di “addizionalità” ed era pronta a presentare il tanto atteso atto delegato. La bozza della Commissione però non si adattava bene ai piani della Germania.

“Gran parte dell’obiettivo di 40 GW della strategia europea per l’idrogeno sarà implementato in Germania”, osserva Graichen all’inizio della sua lettera. “Per raggiungere questo obiettivo ambizioso, dipendiamo da un quadro europeo di supporto che garantisca condizioni di investimento stabili e attraenti e credibilità dei criteri per l’idrogeno verde”. In altre parole, il risultato di molti anni di lavoro della Commissione non è stato abbastanza buono per Berlino.

Nella sua lettera, Graichen sollevava delle preoccupazioni, in particolare per la mancanza di flessibilità nel progetto della Commissione. Tra gli altri suggerimenti, chiedeva regole che garantiscano che gli elettrolizzatori possano funzionare a pieno carico per almeno 5.000 ore all’anno, ovvero circa il 57% delle volte.

“Serve una maggiore flessibilità per i criteri di addizionalità dell’elettricità rinnovabile per la produzione di idrogeno rinnovabile, in particolare nella fase di ramp-up del mercato”, Graichen scrive a Grassi. Piuttosto che richiedere agli elettrolizzatori di funzionare con elettricità rinnovabile al 100%, Berlino suggeriva “un phase-in graduale” con “20% nel 2026, 25% nel 2028 e 30% a partire dal 2030”.

Con la Germania desiderosa di importare idrogeno dall’Africa, dall’Australia e dal Sudamerica, Berlino chiedeva anche alla Commissione di valutare l’introduzione di “una clausola di apertura generale” che consentisse alle importazioni di idrogeno dall’estero di essere considerate “verdi” a determinate condizioni.

“L’applicabilità internazionale dei criteri è fondamentale per stabilire una catena di approvvigionamento globale per l’importazione di prodotti a idrogeno e la loro contabilità”, sottolineava il segretario di Stato.

Per recepire le richieste tedesche, Graichen chiedeva alla Commissione di ritardare le norme. “Preferirei una decisione della Commissione all’inizio di gennaio 2022 piuttosto che a dicembre 2021, se questo ci aiuta a trovare i migliori criteri possibili”, concludeva Graichen.

LA SITUAZIONE ATTUALE

Ora, a distanza di quasi un anno, l’esecutivo dell’UE deve ancora presentare le sue regole sull’addizionalità. Una fonte vicina alla questione parla di un “processo deragliato”, mentre un’altra afferma che i funzionari della Commissione non sono contenti di quello che percepiscono come un intervento costante delle capitali dell’UE. Sebbene l’intervento di Berlino sia stato motivato da reali preoccupazioni, ha segnalato un approccio “tipico” della Germania al processo decisionale dell’UE, ha commentato una fonte.

Da allora la Commissione ha presentato la sua bozza di regole di “addizionalità” ad una consultazione pubblica, ma la bozza non è stata ancora seguita da una proposta legislativa.

Il Parlamento Europeo, dal canto suo, a settembre ha aggiunto confusione, votando un emendamento alla direttiva UE sulle energie rinnovabili che ha abolito il principio di addizionalità per la produzione di combustibili elettronici nei trasporti.

Nei commenti inviati per posta elettronica ad EURACTIV, la Commissione Europea afferma che “rispettiamo la posizione del Parlamento e ne terremo conto nei lavori in corso sugli atti delegati. Stiamo valutando le implicazioni del voto del Parlamento Europeo anche per la più ampia agenda sull’idrogeno e continueremo a lavorare con i parlamentari per fornire quanto prima una certezza normativa al settore dell’idrogeno”.

LA QUESTIONE DELLA CERTEZZA GIURIDICA

Nel frattempo, l’industria europea dell’idrogeno sta perdendo la pazienza. Mentre l’UE guidava lo sviluppo dell’idrogeno dal fronte, da allora altri continenti hanno recuperato terreno. L’Inflation Reduction Act degli Stati Uniti, ad esempio, ha introdotto dei crediti d’imposta considerati così generosi che, all’annuncio, le azioni delle società a idrogeno sono aumentate di almeno il 75%.

“La certezza del diritto è necessaria quanto prima per l’accelerazione dell’idrogeno”, ha affermato Jorgo Chatzimarkakis, CEO dell’associazione industriale Hydrogen Europe. “Abbiamo urgente bisogno di un atto giuridico che regoli l’addizionalità”, ha detto ad EURACTIV a settembre, dopo il voto del Parlamento. Da allora Chatzimarkakis ha avvertito di un esodo dei produttori di idrogeno negli Stati Uniti.

Ad ottobre, Hydrogen Europe ha collaborato con un gruppo rivale – la Renewable Hydrogen Coalition – per sollecitare la Commissione ad accelerare il processo. “Ridurre ora l’incertezza politica per l’idrogeno rinnovabile è fondamentale, se l’Europa non vuole perdere la leadership globale in una delle soluzioni chiave del 21° secolo”, si legge nella loro lettera congiunta.

LE TENSIONI TRA FRANCIA E GERMANIA

Le regole UE sull’idrogeno sono ulteriormente complicate dai disaccordi tra Francia e Germania sulle regole per l’idrogeno “a basse emissioni di carbonio”, che può essere prodotto da gas fossile ridotto – con cattura e stoccaggio del carbonio (CCS) – o dall’elettricità nucleare. Sulla produzione di idrogeno, la Francia insiste sul fatto che l’utilizzo dell’elettricità proveniente da centrali nucleari a basse emissioni di carbonio dovrebbe ricevere un’etichetta “verde” o “basse emissioni di carbonio”, in linea con la tassonomia della finanza verde dell’UE. “L’unico problema importante è il contenuto di carbonio dell’idrogeno prodotto e non il vettore di produzione”, ha dichiarato il ministro dell’Energia francese, Agnes Pannier-Runacher, in una lettera alla Commissione a settembre. Per la Germania, invece, solo l’idrogeno prodotto da elettricità rinnovabile dovrebbe essere considerato verde.

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