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Gaza BP

Ecco il costo climatico che Gaza dovrà pagare per la ricostruzione

L’analisi, effettuata da ricercatori britannici e statunitensi, include le emissioni dirette di CO2 derivanti dai bombardamenti e dai voli di ricognizione, dai serbatoi e dal carburante di altri veicoli e quelle generate dalla produzione e dall’esplosione di bombe, artiglieria e razzi

L’importo del costo carbonico per ricostruire Gaza sarà maggiore delle emissioni annuali di gas serra generate individualmente da 135 Paesi, esacerbando l’emergenza climatica globale oltre al bilancio delle vittime senza precedenti. È quanto rivela una nuova ricerca.

Secondo una nuova analisi condotta da ricercatori britannici e statunitensi, la ricostruzione dei circa 200.000 condomini, scuole, università, ospedali, moschee, panifici, impianti idrici e fognari danneggiati e distrutti da Israele nei primi quattro mesi della guerra a Gaza genererà fino a 60 milioni di tonnellate di CO2 equivalente (tCO2e). Un dato paragonabile alle emissioni totali del 2022 generate da Paesi come Portogallo e Svezia, e oltre il doppio di quelle dell’Afghanistan in un anno.

La ricostruzione a lungo termine genererà il costo maggiore in termini di emissioni di carbonio dalla guerra a Gaza, dove Israele ha ucciso oltre 36.500 palestinesi e altre migliaia sono ancora sepolti sotto le macerie e presunti morti. Il bombardamento israeliano ha lasciato circa 26 milioni di tonnellate di detriti e macerie, la cui bonifica potrebbe richiedere anni. 

I RISULTATI DELLA RICERCA SU GAZA

La ricerca, pubblicata sul Social Science Research Network, mostra che:

– le emissioni di riscaldamento del pianeta generate dagli attacchi aerei e terrestri durante i primi 120 giorni della guerra a Gaza sono state superiori all’impronta di carbonio annuale di 26 dei Paesi più vulnerabili al clima del mondo, tra cui Vanuatu e Groenlandia;

– oltre il 99% delle 652.552 tonnellate di anidride carbonica stimate essere state generate nei primi quattro mesi dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre sono legate al bombardamento aereo di Israele e all’invasione terrestre di Gaza;

– quasi il 30% delle emissioni totali di CO2e sono state generate dai 244 aerei cargo americani che hanno trasportato bombe, munizioni e altri rifornimenti militari verso Israele nei primi 120 giorni;

– il costo del carbonio dei primi 120 giorni dell’assalto israeliano a Gaza è equivalente al consumo energetico annuale combinato di 77.200 famiglie americane.

L’analisi, condivisa esclusivamente con il Guardian, fornisce un’istantanea del costo climatico dell’attuale guerra a Gaza, oltre alle uccisioni senza precedenti, alla carestia, ai danni alle infrastrutture e alla catastrofe ambientale, e sottolinea anche l’asimmetria della macchina bellica di ciascuna parte: i razzi di Hamas lanciati su Israele tra ottobre 2023 e febbraio 2024 hanno generato circa 1.140 tCO2e.

Altre 2.700 tCO2e sono state attribuite al carburante immagazzinato dal gruppo prima del 7 ottobre. Nel complesso, l’impronta carbonica di Hamas nei primi 120 giorni è stata equivalente al consumo energetico annuale di 454 case americane.

LE EMISSIONI DI GAS SERRA DELLA GUERRA NELLA STRISCIA

“Mentre l’attenzione del mondo è giustamente focalizzata sulla catastrofe umanitaria, anche le conseguenze climatiche del conflitto sono catastrofiche”, ha spiegato Ben Neimark, docente senior alla Queen Mary University di Londra (QMUL) e coautore della ricerca. “Tuttavia, il nostro studio è solo un’istantanea che tiene conto delle maggiori emissioni di gas serra segnalate dalla macchina da guerra nei primi 120 giorni”.

L’analisi include le emissioni dirette di CO2 derivanti dai bombardamenti e dai voli di ricognizione, dai serbatoi e dal carburante di altri veicoli, oltre che dalle emissioni generate dalla produzione e dall’esplosione di centinaia di migliaia di bombe, artiglieria e razzi. Per la prima volta, i ricercatori hanno calcolato anche le emissioni dei camion che effettuano il viaggio di andata e ritorno di 595,5 km dall’Egitto a Gaza per consegnare aiuti umanitari a 2,3 milioni di palestinesi. Secondo lo studio, i circa 1.400 camion a cui Israele ha consentito di entrare a Gaza tra ottobre e febbraio hanno generato quasi 9.000 tonnellate di CO2e. Ulteriori 58.000 emissioni di CO2e provenivano da generatori diesel ora utilizzati per generare elettricità a Gaza, dopo che Israele ha danneggiato o distrutto gli impianti solari dell’enclave e l’unica centrale elettrica.

Le emissioni generate dai voli che portano aiuti ai Paesi vicini per le successive consegne a Gaza, le emissioni di metano, gli incendi legati ai conflitti e lo sfollamento forzato di milioni di palestinesi sono tra le altre fonti di CO2e omesse dallo studio a causa della mancanza di dati. Non sono incluse neanche le emissioni generate dal trasporto di carburante per aerei militari spedito dagli Stati Uniti ad Israele. Il governo israeliano non ha risposto alle richieste di commento sulla ricerca. 

LE EMISSIONI MILITARI A GAZA SONO OPACHE

Eppure, nonostante la crescente preoccupazione per le conseguenze ambientali e climatiche a lungo termine di questa guerra e occupazione, le emissioni militari restano opache, e raramente vengono prese in considerazione. Grazie in parte alle pressioni degli Stati Uniti, la segnalazione delle emissioni militari alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) resta volontaria. Solo quattro Paesi presentano dei dati incompleti all’UNFCCC, che organizza i vertici annuali sull’azione per il clima (COP).

Nonostante la mancanza di rapporti, un recente studio ha rilevato che le forze armate rappresentano quasi il 5,5% delle emissioni globali di gas serra ogni anno, pari a più dell’industria aeronautica e marittima messe insieme e di ogni singolo Paese tranne Stati Uniti, Cina e India. Né lo Stato di Israele né le autorità palestinesi sembrano aver mai riportato i dati sulle emissioni militari all’UNFCCC.

Il nuovo studio stima che l’impronta di carbonio militare di base di Israele nel 2023 – senza tener conto della guerra – fosse di 3,85 milioni di tCO2e. Ciò equivale a circa il 5% delle emissioni annuali di Israele, e all’incirca il doppio delle emissioni di CO2e del 2022 rispetto all’intera nazione delle Bahamas.

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