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EX ILVA

Ecco perché l’Ex Ilva di Taranto rischia di diventare una nuova Bagnoli

Secondo il ministro Adolfo Urso, le condizioni per la vendita dello stabilimento siderurgico Ex Ilva di Taranto a Baku Steel “non può scioglierle solo il governo nazionale, dovrà farlo insieme ai governi regionale e locale. Spero che tutti contribuiscano per raggiungere l’obiettivo nelle prossime settimane”

L’Ex Ilva rischia lo spegnimento, come accadde 35 anni fa allo stabilimento di Bagnoli, a Napoli. In crisi da anni, il governo vuole evitare la chiusura dello stabilimento siderurgico di Taranto perché avrebbe dei costi economici e sociali altissimi. Acciaierie d’Italia è controllata al 68% dalla società franco-indiana ArcelorMittal e per il 32% dallo Stato, e l’obiettivo del governo è trovare un compratore che subentri ad ArcelorMittal. L’esecutivo sta quindi cercando di sistemare i conti dell’azienda, che lo scorso febbraio è stata messa in amministrazione straordinaria.

L’INCENDIO ALL’ALTOFORNO 1 DELLO STABILIMENTO EX ILVA DI TARANTO

Nel frattempo, lo scorso 7 maggio nello stabilimento è scoppiato un incendio all’Altoforno 1 per la probabile esplosione di una tubiera, con conseguente emissioni di gas non controllati e il cedimento strutturale di una parte dell’impianto. La Procura di Taranto ha quindi disposto il sequestro all’altoforno. In base alla ricostruzione dei magistrati, l’area interessata dall’incendio tra il 2012 e il 2015 avrebbe dovuto essere “oggetto di sostituzione completa”.

La pericolosità dell’episodio ha portato i pm ad aprire un’inchiesta. Condotta dal pm Francesco Ciardo, le ipotesi di reato sono omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro e getto pericoloso di cose, e vede come indagati tre dirigenti di Acciaierie d’Italia, il direttore generale della società, Maurizio Saitta, il direttore dello stabilimento di Taranto, Benedetto Valli, e il direttore dell’area altoforni, Arcangelo De Biasi.

IL SEQUESTRO DELL’ALTOFORNO E LE CONSEGUENZE SULLA CESSIONE AL GRUPPO BAKU STEEL

Nel provvedimento di convalida del sequestro, si ipotizza un comportamento omissivo dell’azienda, che non sarebbe in grado di identificare le cause di un episodio descritto come “incidente rilevante” e che, secondo i magistrati, “potrebbe succedere ancora“. Ecco perché l’impianto è stato bloccato, con i circa 70 lavoratori dell’altoforno che sono stati ricollocati temporaneamente alla formazione. I sindacati temono però un aumento del numero di casse integrazioni e chiedono un tavolo permanente a Palazzo Chigi.

L’incidente rischia di compromettere la trattativa per la cessione al gruppo azero Baku Steel. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha quindi messo in guardia da un rischio concreto: ricordando il noto stabilimento siderurgico in un quartiere di Napoli, chiuso nel 1990, ha affermato che “se qui si crea un’altra Bagnoli, finirà come a Bagnoli”. Urso sabato scorso era a Taranto per partecipare all’inaugurazione del Tecnopolo del Mediterraneo insieme al ministro dell’Università e della ricerca scientifica, Anna Maria Bernini.

LE CONDIZIONI PER LA CESSIONE DELL’EX ILVA A BAKU STEEL

Il ministro spiega che la cessione di Acciaierie a Baku Steel Company dipende da diverse condizioni, oltre alla necessità di avere chiarezza sul sequestro dell’altoforno 1 per consentire i lavori di messa in sicurezza dopo l’incendio. Tra le condizioni più importanti da definire, Urso ha parlato dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) e dell’approvvigionamento del gas alla fabbrica. “Dipenderà dall’Aia che sta per essere rilasciata e che, anche per decisione del nostro governo, è la più avanzata in Europa, perché prevederà anche l’impatto sanitario. Così Taranto avrebbe un’Aia attualmente unica in Europa. Ovviamente – ha aggiunto il ministro – dipenderà dal concorso degli altri attori riguardo il costo del gas che dovrà rifornire lo stabilimento, perché dev’essere chiaro a tutti che la tecnologia green è alimentata dal gas”.

Secondo Urso, tutte queste condizioni da definire “non può scioglierle solo il governo nazionale, dovrà farlo insieme ai governi regionale e locale. Ora che, qui a Taranto, possiamo creare un modello di siderurgia green che il mondo ci invidierà, spero che tutti contribuiscano per raggiungere l’obiettivo nelle prossime settimane”. Il titolare del Mimit ha detto di confidare “che si possa consentire la manutenzione dell’altoforno sull’impianto sequestrato; altrimenti, se non fosse possibile intervenire tra poche ore per metterlo in sicurezza, non sarebbe possibile riattivarlo, e probabilmente sarebbe la fine del sogno della siderurgia green a Taranto”.

URSO: “SENZA FUNZIONALITÀ IMPIANTI NIENTE NEGOZIATO CON GLI AZERI”

“Se il sequestro dell’altoforno prevederà anche l’inibizione all’uso, dovremo necessariamente prevedere un forte numero di lavoratori in cassa integrazione, con la riduzione significativa della produzione. Se il provvedimento inibirà anche la manutenzione degli impianti, compromettendo per sempre il ripristino dell’altoforno, potete immaginare quali possono essere le conseguenze. Aspettiamo ovviamente le decisioni dei magistrati”. Così il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano se il sequestro dell’altoforno ostacola o rischia di far saltare la trattativa con gli azeri per l’Ex Ilva.

Urso ha spiegato che “è un negoziato difficile, che deve mettere insieme tante cose, tra cui la funzionalità degli impianti. Se questa manca, il negoziato si interrompe, perché nessuno scommetterà sulla riconversione industriale di quello che era il più grande impianto siderurgico europeo”.

“Due anni fa – ha detto ancora il ministro – noi abbiamo ripreso in mano una procedura che stava portando allo spegnimento di tutti gli impianti. Il percorso era chiaro. Abbiamo ripreso in mano con determinazione, consapevolezza e responsabilità i destini di questo polo siderurgico, con un commissariamento che è giunto ad appena quattro giorni dalla chiusura dell’ultimo altoforno, che avrebbe compromesso tutti gli impianti collaterali, condannando quest’area industriale alla desertificazione”.

LE ALTRE CRITICITÀ DELL’EX ILVA

Lo stabilimento di Taranto presenta però anche altre criticità: tutta l’area a caldo – cokerie, altiforni, acciaierie etc. – è già sotto sequestro, ma con facoltà d’uso, nell’ambito del processo “Ambiente svenduto”, per il reato di disastro ambientale contestato alla vecchia gestione Riva, rinnovato dal gip di Potenza dopo il trasferimento dalla Corte d’Assise d’Appello di Taranto a quella di Potenza.

L’unico altoforno funzionante attivo è il numero 4, con gravi ripercussioni sul piano produttivo, finanziario e occupazione. È stato infatti stimato che l’Ex Ilva oggi perde circa un milione di euro al giorno.

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