Gli studi di Banca d’Italia sugli effetti espansivi del moltiplicatore della spesa pubblica in investimenti dimostrano che il PNRR ha evitato che l’Italia finisse in stagnazione o addirittura in recessione
Con il 2026 alle porte, è possibile stilare un bilancio all’impatto che il PNRR – che sta entrando nel suo ultimo anno di vita – ha avuto sull’economia italiana. Una delle prime verità che i numeri ci dicono è che, senza il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, la crescita economica del nostro Paese sarebbe stata indubbiamente inferiore.
Gli studi di Banca d’Italia sugli effetti espansivi del moltiplicatore della spesa pubblica in investimenti dimostrano infatti che il PNRR ha evitato che l’Italia finisse in stagnazione (come la Germania) o addirittura in recessione. Inoltre, sempre da Banca d’Italia scopriamo che, grazie al PNRR, abbiamo evitato che una crescita debito-PIL ancora maggiore tra il 2024 e il 2026. Questo perché, quando la maggiore spesa in investimenti pubblici avviene in deficit (come è successo per la maggior parte delle spese PNRR), la crescita che genera riduce il rapporto Debito-PIL.
IL PNRR AVREBBE POTUTO RENDERE DI PIÙ
Tuttavia, per come è stato ideato dall’Unione europea e per come è stato gestito dall’Italia, il PNRR non ha sviluppato tutto il suo potenziale. Anzi, le sue modalità di approvazione probabilmente hanno finito per danneggiare la nostra economia.
Come spiega Il Sole 24 Ore, l’articolo 10 del testo firmato al momento della sottoscrizione del PNRR richiedeva allo Stato membro beneficiario dei fondi di continuare – pena la sospensione del versamento delle rate – nel percorso di riduzione di deficit e di realizzazione di avanzi primari (la cosiddetta “austerità”).
Nel Documento programmatico di finanza pubblica 2025 da poco deliberato dal Consiglio dei Ministri è calcolabile il valore nominale del surplus previsto dai numeri programmatici: dagli 11,7 miliardi di euro del 2024 e ai 20,35 miliardi del 2025, si sale ai 27,9 miliardi nel 2026 e ai 46,5 miliardi nel 2028. Tutti aumenti che potevano e possono essere raggiunti in due soli modi: con un aumento delle tasse o con la diminuzione della spesa. Senza questa clausola dell’art. 10, il PNRR avrebbe evitato di sancire un’austerità che oggi gli impedisce di performare quanto avrebbe potuto a favore del PIL e della riduzione del debito-PIL.
I FONDI DEL PNRR SPESI E QUELLI ANCORA DA SPENDERE
Vi è poi la mancata crescita economica derivante dalla spesa non effettuata, o effettuata in ritardo: dei 194 miliardi complessivi stanziati, al settembre scorso ne sono stati spesi 85,8 e vi sono ancora 108,2 miliardi da spendere.
Se si continuasse con il trend registrato da gennaio a settembre di quest’anno, pari a 2,4 miliardi al mese, la previsione di spesa totale al 2026 sarebbe intorno ai 121 miliardi, con un delta rispetto all’obiettivo di 72 miliardi. Se invece, più ottimisticamente, la spesa fosse di circa 4 miliardi/mese, arriveremmo a fine 2026 con circa 146 miliardi di spesa, con un delta di non speso di 48 miliardi.
Ma dove finiranno i fondi non spesi a conclusione del piano? Dall’analisi di diversi documenti emerge che circa 20 miliardi confluiranno nei nuovi veicoli finanziari attivati con l’ultima revisione del PNRR, che potranno essere spesi dopo il 2026. Inoltre, la Commissione europea autorizza l’Italia ad utilizzare la quota a debito dei fondi non spesi sulle politiche di coesione.
Sul suo profilo X Matteo Villa, Head of DataLab dell’ISPI, “sul PNRR l’Italia non dovrà ridare tutto all’Europa, con gli interessi. L’Ue ci dà più trasferimenti diretti di quelli che ‘meriteremmo’ in base al PIL. In altre parole, a fine corsa gli altri Paesi Ue avranno regalato all’Italia 33 miliardi di euro”.
LE RAGIONI DEI RITARDI NELLA SPESA
Se quindi alla fine si può prevedere che quasi tutto verrà speso, molto sarà stato speso in un ritardo. Le ragioni sono soprattutto la mancata o ritardata presenza di investimenti nel capitale umano della Pubblica Amministrazione. I tagli alla spesa pubblica dei decenni passati e alcune riforme sbagliate hanno infatti ridotto la capacità programmatoria e l’operatività di soggetti importanti, come le Province, che avrebbero potuto svolgere una funzione di hub territoriale del procurement ancora più incisiva di quella che hanno comunque poi svolto negli anni del PNRR.


