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Petrolio

Grecia, Turchia, Tunisia fra gas e petrolio

Le ultime novità Grecia, Turchia e Tunisia a cavallo tra energia e geopolitica. Il Taccuino Estero a cura di Marco Orioles

Chi sono i Repubblicani Green

Potrebbe essere solo un segnale passeggero, ma è impossibile sottovalutare quello che – segnalato da Axios – hanno fatto sette senatori Repubblicani scrivendo al loro leader al Senato Mitch McConnell esortandolo includere misure per l’energia pulita nel prossimo pacchetto di aiuti contro il Covid-19.

I SETTE SENATORI REPUBBLICANI “VERDI”

I senatori in questione sono Lindsey Graham, Thom Tillis, Susan M. Collins, Cory Gardner, Richard Burr, Lisa Murkowksi e Martha McSally e nella lettera indirizzata al n. 1 del Senato hanno chiesto politiche sulle rinnovabili, il nucleare, il carbon free e altre misure che “rafforzeranno l’occupazione e l’innovazione”.

Axios è scettica sulla possibilità che le richieste avanzate dai sette senatori siano accolte nell’ambito di un voto che sarà dominato dai veti incrociati dei partiti su una folta rosa di temi tutti inerenti l’agognata ripresa dopo lo stop causato dal Covid-19.

UNA SVOLTA NELLA POLITICA USA?

Al tempo stesso, tuttavia, la testata non può fare a meno di notare che la maggior parte di questi senatori si ripresenta quest’anno alla prova del voto, facendo intuire come le politiche verdi siano diventate imprescindibiili anche per il Partito repubblicano quando si tratta di presentarsi agli elettori.

Interpellato sull’iniziativa dei senatori, il presidente dell’associazione delle Industria dell’Energia Solare, Abigail Ross Hopper, ha affermato che non è in grado di “prevedere cosa farà effettivamente McConnell, ma trovo certamente significativo il fatto che sette senatori repubblicani gli abbiano scritto e lo abbiano sollecitato a includere (nel pacchetto) misure per l’energia pulita”.

SOSTENERE LE RINNOVABILI E’ UN TEMA ELETTORALE VINCENTE?

Hopper ha quindi espresso la propria convinzione che sostenere l’energia rinnovabile sia “chiaramente un tema elettorale vincente”.

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Perché c’è alta tensione nel Mediterraneo orientale

Il governo greco questa settimana ha posto in “allerta intensificata” la propria Marina dopo che che Ankara ha inviato una missione navale di esplorazione energetica al largo di Kastellorizo, isola greca a circa due chilometri dalla costa turca.

Kastellorizo è un’isola contesa che Ankara rivendica come parte della propria piattaforma continentale: proprio per questo, prima di lanciare la missione, Ankara e ha lanciato un avviso di restrizione della navigazione nella zona (Navtex).

LA CONTESTA PER KASTELLORIZO E LA PARTITA DELLE RISORSE NATURALI

Le pretese di Ankara sono ovviamente speculari a quelle di Atene, per la quale la contesa sull’isola rientra nella più ampia partita relativa alla definizione delle zone economiche esclusive (ZEE) per lo sfruttamento delle risorse naturali nel Mediterraneo Orientale. Come osserva l’Ispi, “la presenza di Kastelorizo tra le isole greche infatti, rende la ZEE greca contigua a quella cipriota: un fattore di grossa importanza poiché faciliterebbe la realizzazione del gasdotto EastMed su cui un accordo preliminare è stato già raggiunto da Atene, Cipro e Tel Aviv

Proprio per questo motivo Atene ha protestato vibratamente per la mossa turca, salvo sentirsi rispondere dal ministero degli Esteri Turco che le sue rivendicazioni “sono contrarie al diritto internazionale (….) è assurdo che una piccola isola che si trova a poche miglia dalle coste turche e a più di 500 chilometri da Atene abbia una giurisdizione marittima che si estende per 200 miglia nautiche in ogni direzione. Quale paese accetterebbe una situazione del genere?”.

LA STRATEGIA DI ERDOGAN: ESTORCERE UN NEGOZIATO PER EASTMED

Come sottolinea l’Ispi, le rivendicazioni turche sulle acque di Kastellorizo puntano allo stesso risultato dell’accordo firmato da Ankara con il governo libico lo scorso novembre: vale a dire, tentare di “ostacolare il progetto Eastmed costringendo i suoi partner a sedere intorno a un tavolo per negoziare“ una partecipazione, e al tempo stesso “piazzare una bandierina nella contesa sulle acque territoriali del Mediterraneo Orientale in vista dello sfruttamento delle ingenti risorse di gas che in quelle acque si trovano”.

ANKARA PUNTA A DIVENTARE UN HUB REGIONALE DEL GAS

Confermate o meno, le indiscrezioni su colloqui segreti che si sarebbero svolti la scorsa settimana a Berlino tra rappresentanti greci e turchi non fanno che confermare la strategia di Erdogan, che secondo l’Ispi è “funzionale al presidente Erdogan per negoziare da una posizione di forza la leadership turca come hub regionale del gas”.

Questa, più che un’aspirazione, è una pretesa della Turchia di Erdogan, come dimostrano miriade dichiarazioni piccate della sua dirigenza inclusa quella recente del vicepresidente turco Fuat Oktay: “nessuno può pensare che la Turchia e la Repubblica turca di Cipro del Nord si lascino escludere dall’equazione energetica nella regione mediterranea”.

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Che cosa c’è di nuovo in Tunisia

Si sblocca la crisi politica a Tunisi: il presidente Kais Saied ha designato il ministro dell’Interno Hichem Mechichi  come nuovo primo ministro al posto del dimissionario Elyes Fakhfakh.

SI CHIUDE UNO STALLO LUNGO UN MESE

La nomina chiude circa un mese di stallo dovuto alle accuse di conflitto di interesse mosse a Fakhfakh da parte di una compagine del parlamento guidata dal partito di ispirazione islamica Ennahda che lo hanno costretto a rassegnare le dimissioni dopo appena cinque mesi di incarico.

Mechichi ha adesso un mese di tempo per formare un governo in grado di superare il voto di fiducia del parlamento. In caso contrario, il presidente Saied sarà costretto a sciogliere le camera e indire nuove elezioni.

“Lavorerò per formare un governo che vada incontro alle aspirazioni di tutti i tunisini e risponda alle loro legittime domande”, ha dichiarato ieri Mechichi.

GLI INTERESSI ITALIANI

Anche in Italia la crisi tunisina è stata seguita con attenzione. Sono molti infatti gli interessi del nostro paese in Tunisia, dove è in ballo un investimento congiunto di 600 milioni di euro tra Terna e Sern.  I due Paesi, come ha fatto notare Start Magazine, sono legati anche da un proficuo interscambio economico purtroppo soggetto a deterioramento nell’ultimo periodo. Secondo i dati pubblicati dall’Istituto nazionale per le statistiche, le importazioni in Tunisia hanno visto un calo del 24,1 per cento contro un aumento del 14,6 per cento nel primo semestre del 2019, raggiungendo un valore di 7.677 milioni di euro contro i 10.119 milioni di euro nello stesso periodo del 2019.

GLI INTERESSI ENERGETICI E IL RUOLO DI ENI

Da tenere in debito conto sono poi i legami energetici tra i due paesi, ben simbolizzati dal passaggio In Tunisia del Trans Mediterranean Pipeline – Transmed, noto anche come gasdotto Enrico Mattei, che collega Algeria e Italia passando per la Tunisia. Gli accordi sono stati firmati un anno fa dal ministro tunisino dell’Industria, Slim Feriani, e dall’ad di Eni, Claudio Descalzi, alla presenza dell’allora primo ministro Youssef Chahed e dovrebbero avere una durata sino al 2029.

In Tunisia, inoltre, Eni gode di una ottima posizione come player prominente: presente in Tunisia dal 1961 nei settori Upstream, Gas & LNG Power and Marketing e Refining & Marketing. Dal 1998 detiene, ad esempio, una partecipazione del 34% in Bitumed, società per l’importazione e commercializzazione di bitume nel mercato tunisino e presente anche nella distribuzione di lubrificanti. Nel 2017, la quota di produzione nel paese è stata pari a 9 mila boe al giorno. L’attività di estrazione è concentrata soprattutto nel sud e nell’offshore mediterraneo, di fonte ad Hammamet, con i blocchi Maamoura e Baraka e quelli onshore di Adam, Oued Zar, Djebel Grouz, Mld ed El Borma. Ma è soprattutto nel settore gas che si fanno più stretti i rapporti tra Italia e Tunisia: tra il 1977 e il 1983 Eni ha realizzato il gasdotto Transmed che collega l’Italia all’Algeria attraverso la Tunisia e che consente il trasporto di combustibile lungo i suoi 740 km di percorso da Cap Bon sul canale di Sicilia e Oued Saf saf, punto di consegna con la frontiera algerina.

LA CRISI POLITICA: IL COMMENTO DI MARINONE (CESI)

Commenta Lorenzo Marinone, responsabile del Desk Medio Oriente e Nord Africa del Centro Studi Internazionali e conoscitore delle attuali dinamiche politiche dei paesi del Maghreb: “La nomina di Mechichi da parte del capo dello Stato a premier – spiega Marinone – è arrivata molto a sorpresa, nel senso che i tempi non dovevano essere questi ma dovevano essere più lunghi. È una nomina che è arrivata in modo irrituale rispetto al modo precedente con cui il presidente aveva gestito la fase di crisi, cioè quella successiva alle elezioni quanto sono stati bruciati diversi candidati. La prassi instaurata da Saied era che lui si sarebbe aspettato dai partiti una rosa di nomi da cui fare la sua scelta naturalmente dopo le consultazioni con i partiti”.

“Stavolta invece Saied non ha fatto nulla di tutto questo è ha nominato direttamente il ministro dell’Interno che è una persona senza affiliazione politica e a ben vedere è inquadrabile come un suo fedelissimo. Si tratta cioè di una persona di cui il presidente si fida molto, con cui condivide lo stesso background e lo stesso modo di ragionare. È molto giovane e non ama stare sotto i riflettori, anzi preferisce lavorare ai margini e quindi meglio, lontano dall’agone politico propriamente detto”.

In merito alle reali ragioni dello scoppiare di questa crisi, Marinone ha un’idea ben precisa. “In realtà, le dimissioni di Fakhfakh sono state il risultato di un braccio di ferro molto poco nascosto tra Ennhada, altri piccoli partiti e il presidente Sayed. La posta in palio è avere più voce in capitolo nell’indirizzo politico del paese. E in questo Ennhada ha mostrato di voler giocare una partita del tutto personale con il presidente del Parlamento Ghannouchi che ha cercato di portare avanti la propria agenda tradizionale. Lo storico leader di Ennhada aveva inoltre cercato di portare avanti certi temi di politica estera che esulavano dalle sue prerogative di presidente del parlamento invadendo il campo di quello della Repubblica. Da qui è nato questo braccio di ferro che ha portato alcuni partiti anche a chiedere le dimissioni di Ghannouchi da presidente”.

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