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Il disaccoppiamento ridurrebbe davvero i prezzi dell’energia in Italia?

Secondo Luca Lo Schiavo e Carlo Stagnaro dell’Istituto Bruno Leoni, è fondamentale fare chiarezza sui meccanismi di formazione dei prezzi e sulle reali soluzioni strutturali disponibili, anche in relazione alle effettive possibilità di monitorare il mercato all’ingrosso e di individuare e reprimere comportamenti abusivi degli operatori

Lo scorso 27 maggio, durante l’assemblea di Confindustria e davanti a Giorgia Meloni, il presidente Emanuele Orsini ha parlato di rischio “deindustrializzazione” e ha chiesto il disaccoppiamento del prezzo dell’elettricità da quello del gas. La premier ha risposto citando una indagine (all’epoca) in corso sui costi del mercato elettrico, probabilmente riferendosi a quella pubblicata a inizio luglio dall’Autorità sul mercato del giorno prima (MGP) per il biennio 2023-2024.

Tuttavia, su tale rapporto poi dalla stessa maggioranza sono arrivate molte critiche (a prima vista, in difesa dei produttori) dai deputati intervenuti nel corso dell’audizione alla Commissione Attività produttive della Camera il 23 luglio scorso, nonostante mettesse in luce potenziali comportamenti di manipolazione del prezzo alla luce del regolamento europeo REMIT.

I MECCANISMI DI FORMAZIONE DEI PREZZI DELL’ENERGIA

Come scrivono Luca Lo Schiavo e Carlo Stagnaro in un focus per l’Istituto Bruno Leoni, in questo contesto di crescente pressione politica e industriale è fondamentale fare chiarezza sui meccanismi di formazione dei prezzi e sulle reali soluzioni strutturali disponibili, anche in relazione alle effettive possibilità di monitorare il mercato all’ingrosso e di individuare e reprimere comportamenti abusivi degli operatori.

Nella borsa elettrica italiana il PUN index (che ha sostituito il PUN, prezzo unico nazionale, a partire da gennaio 2025) è stabilmente sopra ai 100 euro/MWh in media mensile, con poche eccezioni in cui è sceso leggermente al di sotto di tale soglia.

IL SYSTEM MARGINAL PRICE (SMP)

La principale determinante dei prezzi all’ingrosso dell’energia elettrica è l’andamento dei prezzi del gas naturale e, in seconda battuta, le quotazioni della CO2. Secondo quanto descritto nel Rapporto Draghi sulla competitività dell’economia europea, nel 2022 il gas ha determinato il prezzo dell’energia elettrica nel nostro Paese in circa il 90% delle ore, pur incidendo sulla generazione complessiva per poco più del 40%. Questo ha portato molti ad identificare nel system marginal price (SMP) – la regola che governa il funzionamento delle principali sessioni del mercato all’ingrosso dell’energia elettrica – la causa principale degli alti costi.

Il meccanismo attuale prevede che il prezzo all’ingrosso dell’energia elettrica si forma principalmente secondo un meccanismo di asta marginale sul Mercato del Giorno Prima (MGP) in 24 sessioni giornaliere in cui domanda e offerta si incontrano per determinare il prezzo finale. Il prezzo marginale viene quindi pagato a tutti i produttori, indipendentemente dai loro costi di produzione.

L’indagine ARERA riguarda proprio potenziali manipolazioni del mercato in questa fase di formazione del prezzo, che non è l’unica ma è la principale. Il funzionamento di MGP nei prossimi anni dovrebbe subire dei cambiamenti sostanziali, tra cui il passaggio dall’attuale prezzo unico per i consumatori ad un sistema di prezzi zonali (diversi le singole zone di mercato non più solo dal lato dell’offerta ma anche dal lato della domanda) e l’intensificazione della frequenza delle aste (da orarie a quartorarie).

LE CONSEGUENZE DELL’USCITA DAL SISTEMA SMP

L’uscita dal SMP non risolverebbe i problemi strutturali dell’energia italiana per due ragioni fondamentali:

1) cambierebbero le strategie di offerta degli operatori, ma non i fondamentali del mercato. I produttori di energia rinnovabile, oggi remunerati al prezzo marginale superiore ai loro costi, dovrebbero modificare le loro strategie di offerta per riflettere i costi reali. Questo comporterebbe una redistribuzione dei ricavi, ma non necessariamente una riduzione strutturale dei prezzi per i consumatori;

2) nell’Unione europea un simile dibattito si è già svolto, e si è concluso: la recente riforma del mercato elettrico dell’Unione europea, nota come Electricity Market Design Reform, adottata nel luglio 2024, rappresenta il quinto pacchetto energia Ue e ha mantenuto sostanzialmente inalterato il sistema del prezzo marginale, introducendo piuttosto degli strumenti complementari come i contratti per differenza (CfD) e meccanismi di protezione dei consumatori.

LA “RENDITA INFRAMARGINALE”

Non è un caso, del resto, se – con alcune variazioni e peculiarità – il sistema del prezzo marginale (o meccanismi analoghi) sia largamente adottato nei diversi Paesi o regioni del mondo: se si vuole massimizzare l’efficienza di breve termine del sistema – cioè garantire che il fabbisogno elettrico sia soddisfatto selezionando tutti e soli gli impianti che minimizzano il costo complessivo – i prezzi di equilibrio devono riflettere i costi marginali del sistema.

Tale sistema presuppone che tutti gli impianti i cui costi variabili sono inferiori al prezzo di equilibrio vengano remunerati attraverso la cosiddetta “rendita inframarginale”, nell’assunzione che abbiano presentato offerte in linea con il loro costo variabile di breve periodo. La rendita inframarginale svolge in realtà una funzione importante come segnale di lungo periodo, soprattutto per gli investimenti in tecnologie pulite che tipicamente hanno costi variabili molto ridotti o prossimi a zero (a fronte di costi fissi significativi, che vengono appunto coperti dalla rendita inframarginale).

Con la crescente preoccupazione a livello globale per i cambiamenti climatici e la volontà di ridurre l’utilizzo dei combustibili fossili, sempre maggiore centralità è stata acquisita da parte delle fonti di energia rinnovabile (e, in prospettiva, del nucleare).

La rendita inframarginale fornisce il segnale di mercato necessario per continuare ad attrarre capitali verso queste tecnologie. E proprio nelle fasi in cui i prezzi del gas raggiungono livelli molto alti, facendo crescere a dismisura tali rendite, esse manifestano nel modo più forte la propria funzione, creando prospettive di profitto molto elevate e quindi incoraggiando gli investimenti in fonti diverse dal gas. È anche per questo – e non solo per le semplificazioni che pure ci sono state e hanno avuto un ruolo – che l’installazione di fonti rinnovabili in Italia ha raggiunto livelli record negli ultimi anni.

IL SYSTEM MARGINAL PRICE NON È LA CAUSA DEI PROBLEMI ENERGETICI ITALIANI

Tuttavia, nel dibattito politico si è andata via via sviluppando una forma di refrattarietà alla rendita inframarginale, in particolare quella a favore delle rinnovabili, come se questa fosse un difetto (e non la caratteristica fondante) del sistema. Dimenticando, da un lato, che per molti degli impianti che si avvalgono del sostegno economico dei vecchi “Conti energia”, questa rendita è neutralizzata e viene incamerata dal GSE (che la usa per ridurre gli oneri generali di sistema); e, dall’altro, che le alternative praticabili al SMP, dal pay as bid alle offerte complesse che da qualche anno si stanno affermando in alcuni mercati USA, non hanno proprietà intrinseche superiori al SMP in termini di minor costo totale di sistema.

Anche i fautori del passaggio al pay as bid riconoscono che, in condizioni ideali, l’esito dei due sistemi è il medesimo: cioè entrambi i meccanismi non possono che avere un prezzo di equilibrio pari ai costi marginali. La preferenza per l’uno o per l’altro è legata essenzialmente agli effetti che possono avere sulle condotte degli operatori, semplificando o scoraggiando condotte manipolatorie.

Ad ogni modo, anche il dibattito tra i fautori del pay as bid e quelli del system marginal price si è svolto nel passato, è stato a tratti intenso e si è risolto con una vittoria dei secondi. La tentazione di identificare nel system marginal price il capro espiatorio dei problemi energetici italiani è forse comprensibile per esponenti politici che vogliono semplificare, ma è molto fuorviante.

LA PROPOSTA ARERA DI FISCALIZZAZIONE GRADUALE DEGLI ONERI DI SISTEMA

La vera sfida consiste da un lato nell’assicurare l’adeguato livello di enforcement (monitoraggio del mercato e, ove necessario, procedimenti sanzionatori, laddove si riscontrino elementi di presunta manipolazione di mercato) nell’implementare riforme strutturali che riducano il peso degli oneri impropri sulle bollette delle imprese, mantenendo al contempo gli incentivi necessari per la transizione energetica.

Il dibattito sull’energia deve evolvere oltre le soluzioni apparentemente semplici (e a volte misteriose) per abbracciare riforme complesse ma efficaci, come la proposta ARERA di fiscalizzazione graduale degli oneri generali di sistema, sollecitata dal Governo Meloni e poi accantonata, che appare ancora più urgente alla luce dei dati pubblicati da ARERA in termini di euro/MWh dovuti per questa voce di spesa dalle diverse categorie di utenza. Solo così sarà possibile conciliare competitività industriale e sostenibilità ambientale in un quadro normativo europeo che non può essere ignorato.

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