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L’Europa non si deindustrializza, si trasforma: l’analisi degli esperti ribalta la narrazione del declino

È quanto emerge da un’analisi approfondita dei dati e delle ricerche condotte da autorevoli istituti e società di consulenza come Oxford Economics, Roland Berger e il Vienna Institute for International Economic Studies (wiiw), che rivelano un quadro più complesso e, in definitiva, più ottimistico rispetto alla tesi della deindustrializzazione.

Contrariamente all’allarme diffuso da titoli di giornale e dibattiti pubblici, l’Europa non sta vivendo un crollo della sua capacità industriale, ma una profonda e strutturale trasformazione. Il continente si sta riorientando verso settori a più alto valore aggiunto, green e tecnologicamente avanzati, rispondendo alle nuove dinamiche globali e agli imperativi di sostenibilità.

Questa visione emerge da un’analisi approfondita dei dati e delle ricerche condotte da autorevoli istituti e società di consulenza come Oxford Economics, Roland Berger e il Vienna Institute for International Economic Studies (wiiw), che rivelano un quadro più complesso e, in definitiva, più ottimistico rispetto alla tesi della deindustrializzazione.

Negli ultimi anni, la narrazione dominante ha dipinto un quadro a tinte fosche, parlando di chiusure di fabbriche, calo della produzione e perdita di competitività. La Germania, un tempo baluardo manifatturiero, ha registrato la perdita netta di centinaia di migliaia di posti di lavoro nell’industria, mentre settori ad alta intensità energetica come l’acciaio e la chimica sono apparsi in ritirata, schiacciati dai costi e dalla concorrenza globale.

LA NATURA CICLICA DEGLI SHOCK E LA VISIONE A LUNGO TERMINE

La società di ricerca Oxford Economics si è espressa apertamente contro questo tono allarmistico. Secondo i loro studi, gran parte di ciò che viene percepito come deindustrializzazione è in realtà una risposta ciclica a shock economici recenti: la pandemia di COVID-19, i picchi dei prezzi dell’energia seguiti all’invasione russa dell’Ucraina e le interruzioni delle catene di approvvigionamento. La ricerca evidenzia che la produzione manifatturiera nell’UE ha vissuto una forte ripresa nel 2021 e 2022, per poi rallentare a causa delle pressioni inflazionistiche.

In modo cruciale, Oxford Economics prevede che il valore aggiunto industriale totale dell’Europa non crollerà nei prossimi decenni. Sebbene la quota europea nel manifatturiero globale possa diminuire leggermente a causa dell’ascesa dell’Asia, ciò non implica una contrazione assoluta. Al contrario, l’Europa è destinata a mantenere la sua forza industriale, specialmente nei settori dove è leader per innovazione e produzione ad alto valore.

UNA TRASFORMAZIONE DAL VOLUME AL VALORE

Questa prospettiva è condivisa dalla società di consulenza globale Roland Berger, secondo cui la base industriale europea si sta trasformando nella sua natura, piuttosto che ridursi nella sostanza. Un loro rapporto del 2023 sottolinea che la discesa della quota del manifatturiero sul PIL dell’UE (dal 20% del 1995 al 16,5% odierno) riflette la più ampia crescita del settore dei servizi, non un crollo industriale.

Il rapporto evidenzia infatti che l’industria europea rappresenta ancora circa il 60% delle esportazioni dell’Unione e oltre la metà degli investimenti in ricerca e sviluppo del settore privato. In particolare, i settori dell’alta tecnologia e della produzione green stanno registrando una crescita robusta, trainata dalle politiche di digitalizzazione e decarbonizzazione. La Germania, pur affrontando sfide sui costi energetici, rimane all’avanguardia nell’ingegneria avanzata e nell’automotive, mentre Paesi come Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria si stanno integrando sempre più nelle catene del valore europee, soprattutto nei componenti per veicoli elettrici e nell’elettronica.

TENDENZE DIVERGENTI E LA NECESSITÀ DI POLITICHE MIRATE

L’analisi si fa ancora più dettagliata con gli studi del Vienna Institute for International Economic Studies (wiiw), che evidenziano una ridistribuzione geografica e settoriale dell’attività industriale. L’integrazione nelle catene globali del valore ha prodotto effetti divergenti: i Paesi dell’Europa centrale e orientale hanno visto un’espansione del loro settore manifatturiero, mentre le regioni meno integrate o dipendenti da settori tradizionali hanno incontrato difficoltà.
Questa divergenza mostra come una narrazione unica sulla deindustrializzazione nasconda i progressi compiuti in settori emergenti come l’idrogeno verde, la produzione di batterie e la biotecnologia. Questi nuovi settori, ad alta intensità di capitale e digitalizzati, richiedono parametri di valutazione diversi rispetto alla produzione tradizionale.

LA RISPOSTA POLITICA E IL CAMBIAMENTO DEI PARADIGMI

Le istituzioni europee non sono rimaste a guardare. Il Piano Industriale del Green Deal, il Net-Zero Industry Act e altre iniziative mirano a rafforzare la produzione interna di tecnologie pulite e a promuovere l’innovazione. Queste politiche riflettono la consapevolezza che il futuro industriale non risiede nel preservare il passato, ma nel plasmare la prossima era. La stessa crisi energetica ha accelerato la spinta verso l’efficienza e le filiere locali, uno sviluppo che potrebbe rendere l’industria europea più resiliente.

Questa trasformazione richiede anche un cambiamento nel modo in cui si misura la salute industriale. Parametri come il numero di dipendenti o i volumi di produzione grezzi non colgono la crescente complessità e intensità di conoscenza della manifattura moderna. Un singolo impianto di semiconduttori avanzati, ad esempio, può contribuire al valore aggiunto più di decine di fabbriche a bassa tecnologia. L’Europa, con i suoi punti di forza in ingegneria e sostenibilità, è ben posizionata per competere nel campo della “smart manufacturing”, che sfrutta intelligenza artificiale e robotica, a patto di investire adeguatamente.

UN FUTURO ANCORA INDUSTRIALE, MA DIVERSO

L’idea che l’Europa si stia deindustrializzando in senso esistenziale non trova quindi riscontro nei dati. Il continente sta vivendo un’evoluzione strutturale: un passaggio dal volume al valore, dalla produzione ad alta intensità di carbonio a quella verde, da una manifattura dispersa a una strategicamente concentrata.

Questa transizione presenta sfide significative, che richiederanno investimenti e sostegno per gestire le transizioni lavorative e le disparità regionali. Tuttavia, rappresenta anche un’opportunità storica per reinventare un’industria europea innovativa, sostenibile e competitiva. Invece di lamentare un declino percepito, l’Europa deve abbracciare questo slancio. Il compito ora non è resuscitare la vecchia economia, ma costruire le fondamenta di quella nuova: più pulita, più intelligente e più resiliente.

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