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Ue frena sulla proroga del Pnrr, Governo diviso. L’Ue tenta trattativa ma ha pronto il piano anti dazi Usa. Vavassori (Anfia): “Dazi errore madornale Ue”

L’Ue frena sulla proroga della scadenza del Pnrr al 2027, il Governo si divide. L’Ue continuerà a trattare con Trump ma ha già pronto il piano anti dazi Usa. Vavassori (Anfia): Dazi errore madornale di Usa e Italia”. La rassegna Energia

I fondi del Pnrr sono a rischio e il Governo si divide. La magistratura contabile ha confermato l’allarme della Ragioneria di Stato: 19 misure del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sono a rischio. Meloni e il ministro Foti cercano di rassicurare tutti, mentre Giorgetti è pronto a chiedere il rinvio della scadenza del Pnrr di un anno. Intanto, le opposizioni insorgono e chiedono un chiarimento in Aula sullo stato di avanzamento. Da Bruxelles arriva la doccia gelata, per bocca del commissario al Bilancio, Piotr Serafin: ok ad una revisione, ma non è prevista nessuna proroga al 2027. L’Ue ha già pronto un piano anti dazi americani. L’idea di Bruxelles è ripagare Trump con la stessa moneta: tasse del 25% sulle importazioni di tutti i prodotti Made in Usa. Una mossa che potrebbe portare nelle casse dell’Ue tra i 20 e i 25 miliardi. “La nostra priorità è trovare una soluzione negoziata”, ha detto un portavoce dell’esecutivo europeo, secondo quanto riporta La Repubblica. Intanto, l’Unione pensa ad una reazione coordinata anche con altri partner mondiali. La rassegna Energia.

FONDI DEL PNRR A RISCHIO

“Un Pnrr da “primato”, attivato per il 92%, rivendica il governo. Missioni con livelli di attuazione che oscillano tra il 14 e il 27%, e comunque non superano il 40%, sostiene invece la Corte dei conti. C’è una grande distanza tra il Pnrr del documento presentato ieri dal governo a Palazzo Chigi, e quello reso pubblico poche ore prima dalla magistratura contabile che conferma le difficoltà identificate dalla Ragioneria generale dello Stato, che ha individuato 19 misure a rischio. Difficoltà che stanno spingendo il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti a chiedere il rinvio di un anno, come anticipato da Repubblica. Contraddizioni che hanno fatto esplodere lo scontro in Aula già ieri mattina, mentre a Palazzo Chigi si svolgeva la Cabina di regia presieduta dal ministro Tommaso Foti. «Il Pnrr è una straordinaria opportunità di futuro per l’Italia e fa male vedere come l’incompetenza del governo di Giorgia Meloni la stia sprecando, come conferma la Corte dei conti», denuncia la segretaria del Pd Elly Schlein. «Chi ha ragione tra il ministro Giorgetti, che sembra sia pronto a chiedere il rinvio di un anno rispetto alla scadenza del 2026, e il ministro Foti, che oggi ci vuole far credere che va tutto bene? (…) i deputati di Pd, M5S,Avs, Iv e Azione chiedono un’informativa urgente della premier in Aula. «Meloni deve rispondere di questo disastro: il Pnrr avrebbe dovuto essere una grande occasione per il nostro Paese, ma tra lentezze e mancanza di coordinamento rischia di essere solo un disastro per il finanze pubbliche», ribadisce la capogruppo Avs alla Camera, Francesca Ghirra. «Anche noi ci associamo alla richiesta — le fa eco Maria Chiara Gadda di Iv — perché rischiamo di fare non debito buono ma cattivo, per cui è bene che in quest’Aula si faccia un chiarimento sullo stato di avanzamento”, si legge su La Repubblica.

“Le proteste arrivano anche al Senato: «Oggi è stato il giorno in cui si è sancita la morte del Pnrr. — afferma il capogruppo M5S Stefano Patuanelli — Lo avevamo detto e denunciato in tutti i modi possibili: cambiare la governance del piano o riprogrammare le spese per creare nuovi capitoli come l’assurdo e inutilizzabile Transizione 5.0, avrebbe portato alla perdita delle risorse. (…) «La sesta relazione al Parlamento sullo stato di attuazione del Piano — scrive nella prefazione al documento Giorgia Meloni — conferma il primato europeo dell’Italia nella sua realizzazione, per numero di obiettivi conseguiti, per risorse complessive ricevute e per numero di richieste di pagamento formalizzate e incassate». E il ministro Foti precisa che «circa il 92% dell’intero Piano risulta attivato, in fase di attivazione o in chiusura, con una spesa in costante aggiornamento che si è attestata, al 31 dicembre 2024, a 63,9 miliardi di euro, superando il 52% delle risorse finora ricevute». La relazione sottolinea anche il superamento delle difficoltà della rendicontazione. Una valutazione che cozza con quella della Corte dei conti, che ribadisce al contrario come «la carenza di personale negli uffici di rendicontazione e controllo ha prodotto un rallentamento sulle verifiche di spesa », e come «il mancato regolare aggiornamento dei dati sulla piattaforma ReGiS da parte di alcune amministrazioni coinvolte» causi «frequenti disallineamenti tra dati interni e ufficiali», e rappresenti «un elemento di criticità», continua il giornale.

L’UE FRENA SUL RINVIO DELLA SCADENZA DEL PNRR

“La prima reazione, a caldo, ha la traccia della chiusura in Europa e della diffidenza a Palazzo Chigi. Di fronte alla proroga del Pnrr, che Giancarlo Giorgetti si appresta a chiedere all’Ecofin informale dell’11 e 12 aprile, Bruxelles tiene il punto. Così: la scadenza del 2026 non si tocca. L’Ue non può bloccare a priori il tentativo del ministro dell’Economia, ma il commissario al Bilancio, Piotr Serafin, mette subito le cose in chiaro: il percorso è lungo. Soprattutto richiede il consenso dei Ventisette che siedono nel Consiglio e la ratifica da parte dei parlamenti di tutti i Paesi dell’Ue. (…) La procedura è scritta nero su bianco nel regolamento che ha istituito il Recovery, ma assume un peso politico perché Serafin consegna il messaggio ai parlamentari italiani che lo incontrano nella sala Isma del Senato. A sondare le possibilità di successo della mossa di Giorgetti è la senatrice del Pd, Beatrice Lorenzin. Chiede al commissario europeo se l’Italia può allungare il Piano nazionale di ripresa e resilienza fino al 2027. La risposta, viene riferito dai dem, è negativa. Il messaggio è un altro: tutti i Paesi devono impegnarsi a rispettare la tabella di marcia concordata nel 2020. Gli aggiustamenti sono possibili, una nuova revisione sarà ammessa, ma il perimetro delle concessioni si chiude qui. Quello di Serafin potrebbe non essere un messaggio solitario. Lunedì sera toccherà al collega agli Affari economici, Valdis Dombrovskis, affrontare la questione durante il cosiddetto dialogo con gli europarlamentari. Accanto a lui siederà il vicepresidente esecutivo della Commissione, Raffaele Fitto. La primissima fila dell’esecutivo europeo. E i segnali che nelle ultime ore arrivano da Bruxelles dicono che la posizione sull’ipotesi di un rinvio del Piano italiano sarà ferma. Netta: non è prevista alcuna proroga, il termine è il 2026. (…) spalmare la spesa del Pnrr su un arco temporale più lungo ridurrebbe l’impatto sul debito nel 2025-2026, soprattutto considerando che circa 50 dei 72,3 miliardi legati alle ultime quattro rate del Piano sono prestiti, quindi debito. Senza considerare gli interessi da pagare e il capitale da restituire che fanno riferimento alle prime tranche”, si legge su La Repubblica.

“Le ragioni del ministro dell’Economia non convincono Giorgia Meloni. La premier è contraria alla proroga. A chi ha avuto modo di sentirla ha spiegato che una richiesta di rinvio oggi, quando manca ancora più di un anno alla scadenza, rischia di trasformarsi in un boomerang. E quindi di sconfessare il messaggio che lei stessa ha affidato alla premessa della relazione sull’attuazione del Piano approvata ieri dalla cabina di regia che si è riunita a Palazzo Chigi.
Una riunione che non ha affronta la questione della proroga. Il rischio, per la premier, è passare dal Paese che ha incassato più di tutti in Europa, arrivando prima degli altri anche sulle richieste di pagamento, a quello che autocertifica errori e ritardi. (…) Proprio adesso che, come ha sottolineato il titolare del Pnrr, Tommaso Foti, è arrivato invece «il momento della responsabilità». I dubbi arrivano a lambire i numeri con cui la Ragioneria ha certificato la spesa a rilento. Al punto che nella maggioranza circolano altri dati: la messa a terra delle risorse viaggerebbe con una media di 2 miliardi al mese e sarebbe già arrivata a 75 miliardi”, continua il giornale.

DAZI, VAVASSORI (ANFIA): “ERRORE NON PIANIFICARE INDIPENDENZA ITALIA DA USA”

“«Un errore madornale non pianificare una indipendenza dell’Europa e di conseguenza dell’Italia, dai dazi minacciati dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump». Questa l’immediata reazione di Roberto Vavassori, presidente dell’Anfia, l’associazione che raggruppa i costruttori italiani dell’automobile. (…) «L’Europa è un mercato composto da oltre 500 milioni di persone, maggiore di quello americano che ne conta poco più di 340 milioni, dunque può far sentire la sua voce con autorità, operando come un unico ecosistema, ossia con la massima unione». (…) «Servono fatti concreti considerando anche il settore dei ricambi Usa che vale 100 miliardi di dollari all’anno, di conseguenza anche quello della componentistica italiana può essere penalizzato duramente e indirettamente. Nei primi undici mesi del 2024, la filiera del nostro Paese ha inviato verso gli Stati Uniti oltre 1,5 miliardi (….) I costruttori premium tedeschi, come Bmw e Mercedes, esportano in America ma acquistano molta parte della nostra tecnologia, di conseguenza la nostra catena produttiva verrebbe danneggiata». (…) «Per Ferrari gli Usa rappresentano il primo Paese di esportazione, così come per Lamborghini che vende più di un terzo della sua produzione. Si attendono dall’Unione europea risposte rapide, senza farsi influenzare dalle esigenze dei singoli governi»”, si legge su Il Corriere della Sera.

“«La nostra regione maggiormente colpita, se dovessero essere messe in atto le minacce annunciate, è la Sardegna che domina l’export dei prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio. L’Europa sta già affrontando una domanda di veicoli sempre più stagnante, deve combattere contro i concorrenti cinesi e i costanti aumenti dell’energia. (…) «Abbiamo ribadito la nostra posizione sulle azioni che devono continuare per dare consistenza e supporto a tutto il settore dell’auto. Abbiamo chiesto anche una nuova regolamentazione per i veicoli, sia leggeri che pesanti, in una chiave di neutralità ingegneristica. Logicamente serve uno stanziamento di fondi a livello nazionale, e una previsione di credito di imposta per le attività di ricerca e sviluppo»”, continua il giornale.

AUTO, UE: PRONTI CONTRO-DAZI USA DEL 25%

“«Siamo preparati a salvaguardare i nostri interessi economici e, se necessario, forniremo una risposta ferma, proporzionata, solida, ben calibrata e tempestiva a qualsiasi misura ingiusta e controproducente da parte degli Stati Uniti». Il messaggio della Commissione europea ai dazi americani è netta. L’Ue replicherà a Washington con la stessa moneta. Applicherà ai prodotti Usa le medesime tariffe. Un provvedimento è già pronto, la lista prevede soia, carne importata, prodotti industriali, acciaio e alluminio, tessuti, elettrodomestici, materie plastiche. Ma a Palazzo Berlaymont vogliono aspettare metà aprile per emettere una risposta complessiva e non solo sulle auto. L’idea di base è quella di una misura lineare del 25% su tutti i beni importati e sui quali gli States hanno già imposto la loro tariffa. Potrebbe valere tra i 20 e i 25 miliardi. (…) «Ci dispiace – ha spiegato la vicepresidente della Commissione, Teresa Ribera – che l’amministrazione americana stia giocando contro il buon funzionamento del mercato globale. Risponderemo di conseguenza». «La nostra priorità – ha spiegato un portavoce dell’esecutivo europeo – è trovare una soluzione negoziata. Le misure annunciate vanno nella direzione completamente sbagliata». (…) L’Unione, allora, pensa ad una reazione coordinata anche con altri partner mondiali”, si legge su La Repubblica.

“L’ultimo annuncio del Tycoon ha creato sconcerto nei governi europei. «Bisogna scongiurare la guerra dei dazi – ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani (…) Il presidente francese, Emmanuel Macron, è molto meno ottimista: «Spero che il presidente Trump possa tornare su questa decisione (…) Il governo tedesco chiede una «risposta ferma» dall’Ue. Nella trattativa Bruxelles inserirà anche la Cina con cui intende riaprire il dialogo. «Abbiamo un interesse reciproco – dice il commissario Sefcovic incontrando il vicepremier He Lifeng – nell’affrontare i nostri problemi bilaterali e globali, così come le nostre differenze. La qualità della cooperazione Ue-Cina impatta sulle nostre industrie, ma anche sull’economia globale. Vanno riequilibrate le relazioni commerciali”, continua il giornale.

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