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Energia

Rinnovabili, siccità ed ecobonus auto: cosa c’è sui giornali di oggi

Approvato il Testo unico sulle rinnovabili, intervista al presidente Coldiretti, Ettore Prandini, sulla siccità ed ecobonus auto: la rassegna dei giornali

RINNOVABILI, OK A ITER PIÙ CELERI RESTA IL NODO SOVRINTENDENZE

Solo tre binari per semplificare gli iter dei nuovi impianti rinnovabili e i rifacimenti di quelli già operativi a fronte della Babele finora esistente. Il governo porta a casa il Testo unico sulle rinnovabili e difende, con il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, il compromesso approvato ieri in Consiglio dei ministri e frutto del concerto con i ministri della Pa, Paolo Zangrillo, e delle Riforme, Maria Elisabetta Alberti Casellati. «Quando si costruisce un provvedimento bisogna anche mediare le varie posizioni: riducendo in modo forte i termini per poter procedere e introducendo anche interventi in edilizia libera, devono esserci tutele paesistico-culturali», ha spiegato ieri Pichetto Fratin in conferenza stampa. Valutazioni che, ha aggiunto, «hanno però termini precisi e vanno a compensare quello che per alcuni è un eccesso di liberalizzazione, ma è una mediazione e le mediazioni purtroppo peccano sempre di qualche difetto, a seconda del lato della medaglia che si va a vedere». È quanto si legge sul Sole 24 Ore di oggi.

Il riferimento di Pichetto è all’attività libera, il primo dei tre regimi previsto (gli altri due sono la procedura abilitativa semplificata o Pas e l’autorizzazione unica) che si applica, per esempio, a tutti gli impianti solari sotto i 10 MW ma anche al potenziamento o rifacimento di progetti già realizzati e che non richiede atti di assenso o dichiarazioni. Un iter super veloce, dunque, ma solo se l’intervento non insiste su beni oggetto di tutela o in aree naturali protette perché in questo caso scatta il regime della Pas, applicabile ai progetti non assoggettabili all’attività libera e che non richiedono procedimenti di permitting e valutazioni ambientali.

Se, invece, le nuove installazioni o i rifacimenti insistono su beni come ville o parchi non tutelati «ma di non comune bellezza» o complessi di cose dal particolare valore estetico (inclusi centri e nuclei storici) scatta una trafila più lunga perché si può procedere solo con l’ok dell’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico (ma solo se si esprime entro 30 giorni, decorsi i quali l’autorizzazione si intende rilasciata) e con il parere preventivo e vincolante della sovrintendenza. (…)

Accanto a questo binario, poi, sono previsti, come detto, il regime della Pas, la cui durata varia a seconda che la richiesta non presenti ostacoli o sia, invece, soggetta, a vincoli comunali e/o di altre amministrazioni. L’ultimo binario, infine, è l’autorizzazione unica che si distingue in due percorsi a seconda che la richiesta sia presentata alla Regione (per impianti fotovoltaici di potenza pari o superiore a 1 megawatt e fino a 300 MW, ma anche per installazioni eoliche tra 60 kW o fino a 300 MW, solo per citare alcuni esempi) o al ministero dell’Ambiente (per tutti gli impianti green sopra i 300 MW ma anche per tutti quelli offshore): si va da 175 giorni per progetti non sottoposti a valutazioni ambientali fino a 420 giorni per i casi più complessi. Ora il provvedimento, «al quale dovranno seguire altri per ridurre il peso burocratico sulle imprese», ha evidenziato ieri Zangrillo, andrà coordinato anche con i successivi step. A partire dalla delicata partita delle “aree idonee” a trazione regionale e tutta ancora da giocare, conclude il quotidiano.

“CONTRO LA SICCITÀ INVESTIMENTI DA 12 MILIARDI IN QUATTRO ANNI”

La siccità sta già costando all’agricoltura italiana 5 miliardi di euro. Sommati ai 6 miliardi della mancanza di piogge del 2022, e ai 6,5 miliardi di danni causati dalle alluvioni l’anno scorso, il cambiamento climatico è un costo che il nostro Paese non può più permettersi di pagare. «È urgente investire nelle infrastrutture idriche», dice il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini. Il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, ha recentemente annunciato la disponibilità di 12 miliardi di risorse per i bacini di accumulo, «ma un miliardo di euro all’anno non basta – sostiene Prandini – queste infrastrutture vanno fatte in quattro anni». È quanto si legge sul Sole 24 Ore di oggi.

Fare presto, dunque. Ma nemmeno fare da soli: «In tutto questo siamo concentrati a lavorare come Paese Italia – dice Prandini – ma il cambiamento climatico è un problema condiviso e servirebbe una regia a livello europeo». Sulla siccità, propone il presidente della Coldiretti, ci vorrebbe uno stanziamento di risorse da parte di Bruxelles: «Un Repower Ue, ma dedicato alle sfide climatiche».

Insieme all’Anbi, l’associazione dei consorzi di bonifica, sei anni fa avete presentato un piano per la realizzazione di 10mila invasi entro il 2030, per portare la quantità di acqua piovana recuperata dall’Italia dall’attuale 11% al 30%. Che ne è stato di quel piano?

Del piano se ne discute, ma di progetti esecutivi non ce ne sono. E questo nonostante ci siano bacini in cui i lavori potrebbero essere iniziati già domani, perché le autorizzazioni ci sono tutte. Qualche singolo consorzio di bonifica si è messo a investire soldi in proprio, ma un piano infrastrutturale di questa portata non può essere demandato ai singoli consorzi. Il nostro Paese deve uscire dalla retorica del ragionare solo per emergenze. Dobbiamo tornare a pianificare il tema degli investimenti infrastrutturali, e quello che serve oggi è un piano di investimenti straordinario. Per quanto riguarda gli invasi, bisognerebbe partire con i grandi bacini di accumulo, che hanno il vantaggio di servire anche per la produzione di energia idroelettrica e l’installazione di pannelli fotovoltaici galleggianti. La Francia trattiene il 37% dell’acqua piovana che cade sul Paese, la Spagna il 28%. Noi solo l’11%: sprecare tutta quest’acqua, per chi come noi punta sui mercati internazionali, è un lusso che non ci possiamo più permettere. In Francia poi non c’è dispersione delle condotte, mentre in Italia la media è del 45%, con punte dell’80%. È vergognoso che ci siano punte di dispersione di queste dimensioni, mentre i gestori dell’acqua chiudono i bilanci d’esercizio con utili stratosferici: quei profitti andrebbero reinvestiti, conclude il quotidiano.

AUTO, CAMBIA L’ECOBONUS MA RESTA IL NODO PRODUZIONE

(…) Lanciata a inizio giugno, la campagna eco-bonus fa segnare al momento un tiraggio del 65%. Con varie differenze. Sono andati esauriti in pochi giorni i 205,5 milioni per i modelli full electric (25.295 prenotazioni) mentre siamo al 59% per le auto 61-135 g/km di CO2 e al 29% per quelle in fascia 21-60. In totale, l’83% delle prenotazioni ha previsto una rottamazione (42% per modelli fino a Euro 3). Il 77% delle risorse è stato prenotato da persone fisiche, percentuale che scende al 64% per le elettriche. Nel complesso, oltre il 20% dei fondi è stato prenotato da persone a basso reddito, cioè con Isee sotto i 30mila euro. È quanto si legge sul Sole 24 Ore di oggi.

Dal 2025, l’idea del ministero però è di modificare lo schema. Con un provvedimento che avrà durata triennale – 2025-2027 – attingendo alla dotazione già esistente del Fondo automotive, da ripartire però anche con interventi per la filiera. A disposizione – per sostenere domanda e offerta – ci sono 750 milioni per il 2025 (al miliardo iniziale vanno sottratti 250 milioni destinati ai contratti di sviluppo) più 1 miliardo per ciascuno degli anni 2026 e 2027. Allo studio – hanno spiegato i tecnici del Mimit nel corso del tavolo con i rappresentanti del settore – c’è un meccanismo che privilegi le produzioni con un alto contenuto di componentistica europea (dal 45% in su), introducendo una serie di nuovi parametri, sulla falsariga del modello francese, «come l’impronta ecologica, la cybersecurity e il rispetto dei diritti fondamentali della forza lavoro».

Tutto interpretabile come una barriera indiretta alle auto elettriche importate dalla Cina, proprio mentre in Europa si discute della proposta della Commissione di dazi aggiuntivi. E tutto proprio mentre si tratta con gli stessi costruttori cinesi per un possibile stabilimento produttivo in Italia, con un’elevata quota di componentistica italiana che consenta loro anche di accedere ai nuovi incentivi. Urso ha spiegato che oltre a quello con Dongfeng, sono stati firmati dei Non-disclosure agreement/MoU per trattative avanzate anche con Byd e Aiways, conclude il quotidiano.

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