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Bankitalia spegne l’entusiasmo: il nucleare non abbasserebbe il costo delle bollette italiane

Secondo Bankitalia “vi sono alcuni aspetti problematici della reintroduzione del nucleare in Italia legati all’impatto sull’ambiente, al finanziamento del nucleare e alla potenziale opposizione da parte dell’opinione pubblica”

La Banca d’Italia ha appena pubblicato un’analisi in merito al possibile ritorno dell’energia nucleare in Italia. Secondo lo studio, “considerati la struttura del mercato e della bolletta elettrica, una reintroduzione del nucleare non avrebbe significativi impatti sul livello dei prezzi. Piuttosto, potrebbe ridurne la volatilità, contribuendo a stabilizzare la spesa per l’elettricità per i sottoscrittori di contratti a lungo termine”. Riduzione della volatilità che, però, è ottenibile anche utilizzando i contratti a lungo termine (come CfD e PPA) disponibili per le energie rinnovabili.

PIÙ IMPORTAZIONI DI NUCLEARE PER COMPENSARE QUELLE DI IDROCARBURI

“Sul fronte della dipendenza energetica – si legge nell’analisi di Bankitalia – la riduzione delle importazioni di idrocarburi sarebbe compensata da una maggiore importazione della tecnologia e del combustibile per la produzione nucleare, in questo momento concentrati in Paesi geo-politicamente poco affini all’Italia. Il contributo di una reintroduzione del nucleare alla riduzione delle emissioni di gas serra è invece potenzialmente consistente”.

I TEMPI DI REALIZZAZIONE DI UNA CENTRALE NUCLEARE

C’è però da considerare i tempi di realizzazione: una nuova centrale, per giungere alla piena operatività, ha bisogno dai 10 ai 19 anni a livello globale, e ciò comporterebbe continuare ad avere degli alti livelli di emissione derivanti dai combustibili fossili fino a quasi il 2050, l’anno entro cui dovrebbe essere raggiunta la neutralità carbonica.

TECNOLOGIE ANCORA NON PRONTE ALLA COMMERCIALIZZAZIONE

“Dall’analisi – scrive ancora Bankitalia – emerge un altro elemento importante, ossia le incertezze legate alle tecnologie scelte, gran parte delle quali non sono ancora disponibili per la commercializzazione”. Incertezze che “rendono opportuno un approccio cauto, che predisponga e promuova anche strategie alternative”.

Oggi, infatti, gran parte dei reattori attivi in Europa oggi “è il risultato di ingenti investimenti avvenuti in risposta agli shock petroliferi negli anni 70 e 80”, quando le energie rinnovabili non erano ancora competitive e molte tecnologie non esistevano. Oggi, invece, i nuovi operatori privati “privilegiano le tecnologie a minore intensità di capitale e con tempi di costruzione più rapidi”, come le rinnovabili.

LA QUESTIONE DEI RITARDI DEI PROGETTI NUCLEARI

In Europa attualmente vi sono tre impianti in costruzione e altri due in progettazione, che però “hanno subito numerosi ritardi e aumenti dei costi”. È per questo che il Governo suggerisce di puntare sui nuovi reattori modulari di piccole dimensioni (gli SMR a partire dal 2030 e gli AMR di quarta generazione verso il 2040). “Nello scenario ipotizzato dal PNIEC – spiega Bankitalia – la capacità installata tra il 2030 e il 2050 sarebbe pari a circa 8 GW. I nuovi impianti sarebbero tra 22 e 42, e la loro produzione coprirebbe l’11% (64,2 TWh) del fabbisogno elettrico stimato al 2050.

Considerando una misura di costo sviluppata dall’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) che incorpora il contributo della tecnologia all’efficienza del sistema energetico (Valcoe), al 2040 in Europa «i nuovi impianti nucleari di piccole dimensioni sarebbero competitivi con il fotovoltaico utility-scale con sistemi di stoccaggio solo a fronte di un costo del capitale particolarmente basso», ovvero assumendo che «il costo medio ponderato del capitale sia pari al 4% (una prospettiva ottimistica considerato che la Iea lo assume generalmente pari all’8-9% per le tecnologie nucleari)».

LA DIPENDENZA DELL’ITALIA DALL’ESTERO PER LE MATERIE PRIME

Va poi considerato il tema della dipendenza tecnologica, poiché “le tecnologie dominanti negli ultimi 25 anni sono state quelle cinesi e russe. Sebbene la Piattaforma nazionale per il nucleare sostenibile esprima un giudizio positivo sul know-how tecnologico degli operatori italiani, la loro esperienza è limitata, soprattutto nell’ambito della costruzione degli impianti”.

Oltre a quella dalle tecnologie, l’Italia – com’è noto – dipende da Paesi esteri anche per le materie prime: “la produzione di uranio naturale – scrive ancora Bankitalia – è molto concentrata e vi contribuiscono 17 Paesi, 6 dei quali (Kazakistan, Canada, Namibia, Australia, Uzbekistan e Russia) nel 2022 coprivano da soli il 90% del totale”.

I PROBLEMI CHE OSTACOLANO IL RITORNO DEL NUCLEARE IN ITALIA

Secondo Bankitalia, quindi, “vi sono alcuni aspetti problematici della reintroduzione del nucleare in Italia, legati all’impatto sull’ambiente, al finanziamento del nucleare e alla potenziale opposizione da parte dell’opinione pubblica”, dalla gestione delle scorie e uso dell’acqua alle modalità di finanziamento.

“L’elettronucleare, in sostituzione delle fonti fossili, potrebbe svolgere un ruolo nel ridurre la volatilità del prezzo dell’elettricità, ma difficilmente avrebbe un impatto significativo nel contenimento del livello dei prezzi finali. Ciò è dovuto principalmente al modello di funzionamento del mercato elettrico, dalla struttura delle componenti tariffarie e degli oneri che contribuiscono a definire il prezzo finale dell’elettricità pagato dagli utenti”.

Di fronte a queste incertezze, conclude la banca, “è necessario adottare un approccio prudente nel considerare il ruolo che la reintroduzione del nucleare potrebbe avere nel raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione fissati dal Governo, valutando e preparando anche strategie alternative. In questo senso l’ampliamento del dibattito sulle opzioni disponibili, stimolato dalle recenti iniziative governative offre potenziali vantaggi, a condizione che non ostacoli né rallenti il progresso di altre strategie per la diversificazione del mix energetico, in particolare l’espansione delle fonti rinnovabili. Va riconosciuto infine che, quale che sia la soluzione tecnica, difficilmente la creazione di nuovi impianti nucleari potrà esimersi da una compartecipazione del pubblico, o come investitore diretto, con finanziamenti o sussidi, oppure indirettamente, mediante società partecipate”.

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