Skip to content
Ilva

L’Ilva chiude? Il futuro dell’acciaio europeo è appeso a un filo

Tra costi energetici alle stelle, concorrenza asiatica e investimenti in stallo, l’industria siderurgica europea rischia il collasso verde. E l’ex Ilva diventa il simbolo di una transizione che non decolla

Tira una brutta aria per l’acciaio europeo. Il tempo è quasi scaduto per l’ex Ilva e l’Europa rischia di perdere la sua battaglia per la decarbonizzazione del settore. Il sogno dell’acciaio verde europeo si sta scontrando con una realtà fatta di energia troppo cara, carenza di infrastrutture per l’idrogeno e domanda ancora debole. L’ex Ilva può invertire questa tendenza, ma i nodi da sciogliere prima di intraprendere la riconversione green sono ancora tanti. Oggi scade il termine fissato dal governo per la presentazione di offerte vincolanti da parte di possibili acquirenti o partner industriali. In corsa ci sarebbero ancora il gruppo italiano Arvedi e Baku Steel. I giochi sono quasi fatti e il costo dell’energia e delle prescrizioni dell’AIA saranno determinanti nel risultato finale.

TIRA UNA BRUTTA ARIA PER L’ACCIAIO EUROPEO

Il costo dell’energia raggiunge il 17% del prezzo di produzione dell’acciaio, il doppio rispetto agli USA e “il business dell’acciaio verde in Europa non regge”. A dirlo senza mezzi termini è Axel Eggert, direttore di Eurofer, la potente lobby europea dell’acciaio. Di questo passo, c’è il rischio concreto che l’industria dell’Ue sia costretta a spostare la produzione in Paesi come il Marocco per non soccombere alla concorrenza cinese, secondo Lord Adair Turner dell’Energy Transitions Commissione, a discapito della transizione green. I primi effetti già si vedono. Il colosso siderurgico Arcelor Mittal, ha detto no a oltre un miliardo di euro di sussidi pubblici destinati alla conversione dei suoi impianti tedeschi verso l’idrogeno verde perché i costi energetici sono insostenibili. Non se la passa bene neanche la Svezia. La startup Stegra, finanziata da nomi come Daniel Ek (fondatore di Spotify), Mercedes-Benz e le famiglie Agnelli e Wallenberg, ha posticipato di due anni l’avvio della produzione di acciaio verde nel Nord del Paese.

LA STRATEGIA DELLA COMMISSIONE

Uno dei problemi principali è che oggi il meccanismo ETS europeo, che impone l’acquisto di permessi per le emissioni di CO₂, non riesce a incentivare. L’acciaio europeo viene costantemente sottoquotato rispetto alle importazioni più inquinanti, soprattutto dalla Cina. Inoltre, l’impero del Dragone con la sua sovrapproduzione sovrasta di quattro volte il prodotto annuo dell’Ue. La Commissione Europea sta lavorando a nuove misure di sostegno, incluso il rafforzamento della carbon border tax. Tuttavia, secondo gli stessi produttori, il meccanismo attuale non riesce contrastare la concorrenza sleale esterna. Questa settimana i dieci maggiori produttori europei di acciaio hanno inviato una lettera a Bruxelles, chiedendo “interventi rapidi e concreti, altrimenti decine di progetti di decarbonizzazione sono a rischio”. Ad oggi, solo il 10% degli investimenti globali nei progetti industriali green si trovano nell’Ue. E l’ex Ilva rischia di non essere tra questi.

IL REBUS DELL’EX ILVA

Il caso dell’ex Ilva di Taranto si inserisce in uno scenario complicato per la siderurgia europea. Il sogno dell’acciaio verde europeo si sta scontrando con una realtà fatta di energia troppo cara, carenza di infrastrutture per l’idrogeno e domanda ancora debole per prodotti sostenibili, ma più costosi.

Il nodo cruciale della questione è l’elevatissimo costo dell’energia in Italia, che rende complesso ipotizzare una piena riconversione green degli impianti di Taranto. Una spesa che, unita alle prescrizioni dell’AIA e al recente incidente nell’Altoforno, sta facendo tentennare gli azeri. Ad aggravare la situazione, pochi giorni fa il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha detto che tutti gli altiforni potrebbero chiudere entro la fine di luglio, sollevando le ire dei sindacati. Al tempo stesso, il ministro ha sottolineato che è in corso un confronto con le Istituzioni locali sull’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) per sbloccare un altro nodo importante della trattativa. Nel frattempo, il Governo italiano sta valutando un nuovo intervento pubblico attraverso Invitalia.

ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWSLETTER

Abilita JavaScript nel browser per completare questo modulo.

Rispettiamo la tua privacy, non ti invieremo SPAM e non passiamo la tua email a Terzi

Torna su