I ricavi russi nel secondo trimestre del 2025 sono diminuiti del 18% su base annua, il livello più basso in un trimestre dall’invasione dell’Ucraina. Ciò si è verificato nonostante un aumento dell’8% dei volumi esportati nel secondo trimestre rispetto al primo trimestre del 2025
Nel giugno 2025 i ricavi mensili delle esportazioni russe di combustibili fossili hanno registrato un aumento del 4% su base mensile, raggiungendo i 593 milioni di euro al giorno. L’aumento dei ricavi è stato dovuto in parte ad un aumento del 2% su base mensile dei volumi di esportazione e al rimbalzo del prezzo del petrolio. È quanto è emerso da uno studio del Centre for Research on Energy and Clean Air (CREA) pubblicato nei giorni scorsi.
NEL SECONDO TRIMESTRE 2025 PER LA RUSSIA RICAVI IN CALO
I ricavi russi nel secondo trimestre del 2025 sono diminuiti del 18% su base annua, il livello più basso in un trimestre dall’invasione dell’Ucraina. Ciò si è verificato nonostante un aumento dell’8% dei volumi esportati nel secondo trimestre rispetto al primo trimestre del 2025.
Il mese scorso i ricavi russi derivanti dal trasporto marittimo di petrolio hanno registrato un forte aumento del 25% su base mensile, raggiungendo i 218 milioni di euro al giorno, il livello più alto di quest’anno. Anche i volumi delle esportazioni via mare sono aumentati del 15% su base mensile, raggiungendo i livelli più alti del 2025.
I RICAVI DELLA RUSSIA DA PETROLIO E GAS NEL GIUGNO 2025
I ricavi russi derivanti dal trasporto via oleodotto di petrolio sono aumentati del 6% su base mensile a giugno, raggiungendo i 65 milioni di euro al giorno. I volumi hanno registrato un aumento relativamente inferiore, pari al 2%. I ricavi russi del GNL sono diminuiti del 6%, attestandosi a 38 milioni di euro al giorno, corrispondente a un calo analogo del 6% nei volumi esportati.
I ricavi derivanti dal gas sono diminuiti del 4%, attestandosi a 47 milioni di euro al giorno, e anche il volume delle esportazioni di gasdotto è diminuito del 3%. I ricavi russi derivanti dai prodotti petroliferi trasportati via mare sono diminuiti del 7%, attestandosi a 155 milioni di euro al giorno a giugno. I ricavi russi derivanti dal carbone hanno registrato un calo dell’8% su base mensile, attestandosi a 69 milioni di euro al giorno, mentre i volumi sono diminuiti del 5%.
CHI HA ACQUISTATO I COMBUSTIBILI FOSSILI RUSSI?
Per quanto riguarda gli acquirenti, dal 5 dicembre 2022 alla fine di giugno 2025 la Cina ha acquistato il 44% di tutte le esportazioni di carbone russe, con India (19%), Turchia (11%), Corea del Sud (9%) e Taiwan (4%) che completano la lista dei primi cinque acquirenti.
Sul petrolio la Cina ha acquistato il 47% delle esportazioni russe, seguita da India (38%), UE (6%) e Turchia (6%). La Turchia è stata invece il principale acquirente di prodotti petroliferi russi: acquistato il 26% delle esportazioni russe di prodotti petroliferi, seguita da Cina (13%) e Brasile (12%).
Per quanto concerne il GNL, l’Unione europea è stata il principale acquirente, acquistando il 51% delle esportazioni russe, seguita da Cina (21%) e Giappone (18%). Sul gas da gasdotto, infine, l’Ue è stata il principale acquirente, acquistando dalla Russia il 37%, seguita da Cina (30%) e Turchia (27%).
I PAESI UE CHE HANNO ACQUISTATO COMBUSTIBILI FOSSILI RUSSI
Nel giugno scorso i cinque maggiori importatori Ue di combustibili fossili russi hanno pagato un totale di 1,2 miliardi di euro. Bruxelles non sanziona il gas naturale, che rappresenta oltre il 72% di queste importazioni e viene consegnato principalmente tramite gasdotto o come gas liquefatto. Il resto è costituito principalmente da petrolio, che continua a fluire verso Ungheria e Slovacchia attraverso il ramo meridionale dell’oleodotto Druzhba in virtù di un’esenzione dell’Ue.
L’Ungheria è stata il maggiore importatore, acquistando 356 milioni di euro di combustibili fossili russi a giugno. Tra questi, petrolio greggio (165 milioni di euro) e gas tramite gasdotto (191 milioni di euro). Il Belgio è stato il secondo maggiore importatore di combustibili fossili russi a giugno, con acquisti per un totale di 300 milioni di euro. La totalità delle sue importazioni è costituita da GNL russo.
La Francia, terzo maggiore acquirente all’interno dell’Ue, ha importato combustibili fossili russi per un valore di 232 milioni di euro, interamente GNL. Tuttavia, il fatto che questo gas venga importato attraverso la Francia non significa necessariamente che venga consumato lì. Uno studio recente indica che una parte del GNL russo che entra in Francia attraverso il terminale di Dunkerque viene consegnata in Germania.
La Slovacchia è stata il quarto maggiore importatore di combustibili fossili russi all’interno dell’Ue. Quasi l’81% delle importazioni slovacche è costituito da greggio attraverso la Druzhba, per un valore di 178 milioni di euro.
Sebbene la Repubblica Ceca abbia dichiarato di non aver bisogno di importare prodotti petroliferi dalla Slovacchia, questo commercio rimane importante anche per quest’ultima. Secondo Eurostat, nel primo trimestre 2025 Bratislava ha esportato in media 59 milioni di euro al mese di prodotti petroliferi verso la Repubblica Ceca, pari al 40% delle sue esportazioni mensili totali.
LE STRATEGIE A DISPOSIZIONE DEGLI ALLEATI DELL’UCRAINA
I proventi russi derivanti dalle esportazioni di combustibili fossili sono diminuiti dall’entrata in vigore delle sanzioni, limitando di conseguenza la capacità di Putin di finanziare la guerra. Tuttavia, si dovrebbe fare molto di più per limitare i proventi delle esportazioni russe e ridurre il finanziamento delle risorse di guerra del Cremlino. Ciò include l’abbassamento del price cap sul petrolio, il rafforzamento del monitoraggio e dell’applicazione delle sanzioni e il divieto di combustibili fossili non sanzionati come il GNL e i carburanti da oleodotto, legalmente ammessi nell’Unione europea.
IL PRICE CAP SUL PETROLIO DELLA RUSSIA
Un tetto massimo di prezzo inferiore a 30 dollari al barile (comunque ben al di sopra del costo di produzione russo, che si attesta in media a 15 dollari al barile) avrebbe ridotto i proventi russi dalle esportazioni di petrolio del 40% (146 miliardi di euro) dall’inizio delle sanzioni Ue nel dicembre 2022 fino alla fine di giugno 2025.
Solo a giugno, un price cap di 30 dollari al barile avrebbe ridotto i ricavi russi del 37% (4,12 miliardi di euro). Abbassare il tetto massimo avrebbe un effetto deflazionistico, riducendo i prezzi delle esportazioni di petrolio russo e inducendo una maggiore produzione russa per compensare il calo delle entrate.
Dall’introduzione delle sanzioni fino alla fine di giugno 2025, l’applicazione completa del price cap avrebbe ridotto i ricavi delle esportazioni russe dell’11% (39,51 miliardi di euro). Solo a giugno 2025, la sua piena applicazione avrebbe ridotto i ricavi del 5% (circa 0,55 miliardi di euro).
LA PROPOSTA UE DI ABBASSARE IL PRICE CAP A 45 DOLLARI AL BARILE
La Commissione europea di recente ha proposto di abbassare il tetto massimo di prezzo del petrolio a 45 dollari al barile, considerando gli attuali prezzi globali del petrolio. L’analisi del CREA suggerisce che un tetto massimo di prezzo di 45 dollari al barile avrebbe ridotto le entrate russe del 28% (3,1 miliardi di euro) solo a giugno. Tuttavia, questo calcolo si basa su un’applicazione rigorosa e completa della misura, che anche ora lascia molto a desiderare.
LIMITARE LA CRESCITA DELLA “FLOTTA OMBRA” E COLMARE LA LACUNA NELLA RAFFINAZIONE
La dipendenza della Russia dalle petroliere possedute o assicurate nei Paesi del G7 è diminuita a causa della crescita delle petroliere “ombra”. Ciò influisce di conseguenza sulla capacità della coalizione di abbassare il tetto massimo di prezzo e colpisce i ricavi delle esportazioni di petrolio russe. I paesi sanzionatori devono impedire la crescita in Russia di “petroliere ombra”, immuni alla politica del price cap sul petrolio.
I Paesi del G7 devono inoltre colmare la lacuna crescente nella raffinazione vietando l’importazione di prodotti petroliferi derivati dal greggio russo. Ciò aumenterebbe l’impatto delle sanzioni, disincentivando i Paesi terzi dall’importare grandi quantità di greggio russo e contribuendo a ridurre i ricavi delle esportazioni di Mosca. Vietare l’importazione di prodotti petroliferi dalle raffinerie che lavorano il greggio russo ridurrebbe anche il suo prezzo, poiché queste ultime faticherebbero a trovare acquirenti o ad espandere il proprio mercato.
APPLICARE E MONITORARE PIÙ RIGOROSAMENTE LE SANZIONI
Secondo il CREA, gli organi preposti all’applicazione delle sanzioni devono adottare delle misure proattive contro i trasgressori, inclusi gli assicuratori registrati nei Paesi della coalizione per il price cap e gli armatori. Nonostante le prove evidenti di violazioni, gli organi preposti all’applicazione delle sanzioni devono impegnarsi maggiormente per far rispettare le sanzioni contro armatori e assicuratori. Queste informazioni devono essere ampiamente diffuse al pubblico. Le sanzioni contro i trasgressori aumentano il rischio percepito di essere scoperti e fungono da deterrente.
Le sanzioni per la violazione del price cap devono essere significativamente più severe: le sanzioni attuali includono il divieto per le navi di usufruire di servizi marittimi per 90 giorni dopo la violazione del price cap, una semplice punizione. Se ritenute colpevoli di violazione delle sanzioni, le navi dovrebbero essere multate e interdette a tempo indeterminato.
Gli organi preposti all’applicazione delle sanzioni devono continuare a sanzionare le “navi ombra”, poiché ciò ostacola la capacità della Russia di trasportare il suo petrolio al di sopra del price cap. Il CREA stima che le sanzioni iniziali dell’Office of Foreign Assets Control (OFAC) sulle petroliere ombra abbiano ampliato lo sconto offerto dalla Russia agli acquirenti del suo petrolio e ridotto del 5% (512 milioni di euro al mese) i ricavi russi dalle esportazioni. La mancanza di un monitoraggio e di un’applicazione adeguati, insieme all’aumento dei prezzi del petrolio, hanno aumentato i ricavi delle esportazioni russe per finanziare la sua guerra contro l’Ucraina.
I TRASFERIMENTI DI PETROLIO SHIP-TO-SHIP
I Paesi del G7 dovrebbero vietare i trasferimenti STS di petrolio russo nelle acque del G7. I trasferimenti STS effettuati da vecchie petroliere ombra con registri di manutenzione e assicurazioni discutibili rappresentano rischi ambientali e finanziari per gli stati costieri e supportano logisticamente la Russia nell’esportazione di grandi volumi di greggio.
Gli Stati costieri dovrebbero richiedere alle petroliere sospettate di essere petroliere ombra che trasportano greggio russo attraverso le loro acque territoriali di fornire documentazione che dimostri un’adeguata assicurazione marittima. In caso di mancato rispetto di tale obbligo, essendo state identificate come petroliere ombra, dovrebbero essere aggiunte all’elenco delle sanzioni OFAC, del Regno Unito e dell’Europa. Questa politica potrebbe limitare la capacità della Russia di trasportare il suo petrolio su navi ombra, che non sono tenute a rispettare la politica del price cap sul petrolio.