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Transizione in stallo: Exxon taglia il green, crolla l’idrogeno e Uber stop ai bonus EV. I fatti della settimana

Le major dell’energia e dei servizi rivedono al ribasso gli obiettivi climatici complice il nuovo scenario politico USA: Exxon riduce del 33% il budget low-carbon, mentre nel mondo saltano 60 progetti di idrogeno per costi eccessivi. Anche Uber fa marcia indietro sugli incentivi agli autisti elettrici allontanandosi dai target 2030. I fatti della settimana di Marco Orioles

È in atto una decisa retromarcia sulla transizione energetica da parte dei colossi globali, spinta da logiche di profitto e dal cambio di rotta politico con la presidenza Trump. ExxonMobil ha tagliato di un terzo gli investimenti low-carbon, riducendo il budget a 20 miliardi per concentrarsi sui combustibili fossili, seguendo la scia di BP e Shell. Parallelamente, il settore dell’idrogeno affronta una crisi strutturale con la cancellazione o sospensione di quasi 60 grandi progetti nel 2025 – inclusi impianti chiave in Texas e UK – a causa di costi insostenibili e domanda assente. Anche la mobilità frena: Uber ha eliminato i bonus mensili per gli autisti con auto elettriche, ammettendo il forte ritardo sugli obiettivi di decarbonizzazione e sostenendo le nuove normative USA che tagliano i sussidi green, nonostante l’azienda registri utili record e un aumento delle emissioni.

EXXONMOBIL: TAGLI DEL 33% SUGLI INVESTIMENTI GREEN

ExxonMobil ha deciso di tagliare di un terzo gli investimenti nei progetti a basse emissioni di carbonio, tornando a puntare con più forza sui combustibili fossili. Lo riporta il Financial Times, che spiega come la più grande compagnia petrolifera statunitense ha annunciato martedì che ridurrà la spesa per le iniziative “green” a 20 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni, contro i 30 miliardi previsti in precedenza. Ha anche messo in pausa un impianto di idrogeno da 7 miliardi a Baytown, in Texas, perché non ci sono abbastanza clienti interessati.
È un segnale chiaro di un trend più ampio: le major del petrolio stanno frenando la transizione energetica. Si aspettano che la domanda di greggio resti alta più a lungo del previsto e che la svolta verde sia più lenta. Trump, con la sua politica di energia americana abbondante e a buon mercato, ha dato una spinta in questa direzione, promettendo di esportare petrolio e gas ovunque. Anche BP ha fatto marcia indietro: a febbraio il CEO Murray Auchincloss ha detto che l’azienda era andata “troppo avanti, troppo in fretta” con le energie pulite, e ha abbandonato un progetto di idrogeno e cattura di CO2 in Inghilterra. Shell ha cancellato l’impegno a ridurre la produzione di petrolio dell’1-2% annuo fino al 2030 e ha svalutato il suo business eolico da un miliardo di dollari. Non tutti però seguono questa strada: TotalEnergies continua a investire nelle rinnovabili. Exxon punta ora a far crescere gli utili di 25 miliardi e il cash flow di 35 miliardi entro il 2030 rispetto al 2024 (un miglioramento di 5 miliardi rispetto ai piani precedenti), senza aumentare la spesa in conto capitale. Il CEO Darren Woods ha spiegato al Financial Times che le aspettative sulle iniziative low-carbon non si sono realizzate, per colpa di una domanda dei clienti troppo debole e di politiche governative poco favorevoli. Tra i progetti in arrivo ci sono quattro nuovi giacimenti in Guyana, più decisioni finali su gas naturale in Papua Nuova Guinea e Mozambico. La settimana prossima il Dipartimento degli Interni americano metterà all’asta 80 milioni di acri nel Golfo del Messico, come previsto dalla nuova legge di Trump: Shell, BP e Chevron dovrebbero essere tra gli interessati.

IDROGENO PULITO: QUASI 60 GRANDI PROGETTI CANCELLATI O FERMI NEL 2025

Quasi 60 grandi progetti di idrogeno a basse emissioni, tra cui quelli di colossi come BP ed ExxonMobil, sono stati cancellati o messi in standby quest’anno. Lo riferisce il Financial Times, che stima come in totale si parli di una capacità produttiva annua di quasi 5 milioni di tonnellate che va in fumo – più di quattro volte quella attualmente installata nel mondo per l’idrogeno pulito. BP ha appena fatto dietrofront su due impianti in Oman e a Teesside, in Inghilterra, dopo aver abbandonato un progetto in Australia. Exxon ha bloccato un grosso stabilimento in Texas che doveva essere tra i più grandi al mondo. Anche Equinor, ArcelorMittal, Vattenfall e Shell hanno sospeso o cancellato iniziative negli ultimi mesi. Il problema è che l’idrogeno verde (fatto con rinnovabili) e blu (da gas con cattura della CO2) costa ancora troppo rispetto al grigio tradizionale, senza cattura. Non si trovano clienti disposti a pagare il “premio verde”, e l’entusiasmo per queste tecnologie si è sgonfiato in fretta. “È stato un periodo durissimo per chi sviluppa progetti di idrogeno pulito”, spiega al Ft Murray Douglas di Wood Mackenzie. “La volontà di pagare di più per le tecnologie a basse emissioni è sparita”. Dal 2020 a oggi, la stessa società ha contato più di 300 progetti fermi o abbandonati, molti dei quali erano poco seri o speculativi. A peggiorare le cose c’è l’incertezza politica: negli Stati Uniti, con Trump al potere, sono stati tagliati i sussidi promessi da Biden, mentre in Europa i governi procedono a rilento nell’attuare le promesse. L’idrogeno, ricorda il quotidiano finanziario, era visto come la soluzione per decarbonizzare settori difficili – acciaio, aviazione, camion a lunga percorrenza, raffinerie, fertilizzanti – e negli ultimi anni ne sono stati annunciati oltre 2.600 in tutto il mondo. L’IEA dice che per arrivare a zero emissioni nette dobbiamo moltiplicare per dieci la produzione di idrogeno pulito entro il 2035, ma solo un quarto dei progetti previsti per il 2030 probabilmente vedrà la luce. Il Hydrogen Council, che riunisce big come Exxon, Aramco e Adnoc, difende la situazione: “È una fase normale di maturazione del mercato, come è successo per eolico, solare e batterie. Alla fine, su dieci progetti ne sopravvive uno”. Il costo resta però un macigno: anche con rinnovabili a buon mercato, l’idrogeno verde costa il doppio di quello grigio, tra infrastrutture nuove e distribuzione. ArcelorMittal ha rinunciato a due impianti in Germania nonostante 1,3 miliardi di aiuti pubblici, dicendo che non è ancora fattibile. Vattenfall ha mollato un progetto olandese per i ritardi nelle reti di trasporto. In Europa ci sono oltre 20 miliardi di sussidi promessi, ma i singoli Paesi faticano a tradurli in regole concrete e target vincolanti a breve termine.

UBER: ADDIO AI BONUS PER LE AUTO ELETTRICHE

Uber ha provato per anni a spingere i suoi autisti a passare dalle auto a benzina a quelle elettriche. Lo racconta Bloomberg, che fa l’esempio di Levi Spires, un conducente di 51 anni di Syracuse: dopo aver sfasciato la Prius contro un cervo, un bonus da 2.000 dollari di Uber lo ha convinto a comprarsi una Tesla. In due anni ha incassato circa 3.500 dollari extra di incentivi, percorrendo 139.000 miglia. Era il cuore del piano di Uber per rendere più verde la flotta. La settimana scorsa, però, l’azienda ha eliminato i bonus mensili per le EV. Per Spires, che già vedeva calare i guadagni orari, è stata la goccia: ora vuole lasciare Uber come lavoro principale. L’azienda ha bisogno di chilometri puliti per centrare i suoi obiettivi ambientali e rispettare le regole locali. Con 38 milioni di corse al giorno nel mondo, le emissioni sono quasi raddoppiate in tre anni, superando quelle dell’intera Danimarca. Eppure, nonostante i profitti da record, Uber sta ridimensionando proprio gli sforzi più importanti sul clima. Aveva promesso il 100% di auto elettriche a Londra entro quest’anno e in Nord America ed Europa entro il 2030, ma è lontanissima: a Londra è al 40%, in Europa al 15% e in Nord America al 9%. Invece di continuare a pagare gli autisti per passare all’elettrico, sta tagliando gli incentivi. Come spiega Bloomberg, i dirigenti ammettono che probabilmente non ce la faranno, ma dicono di essere orgogliosi del progresso e che i loro conducenti passano all’EV più velocemente del pubblico generale. Dopo aver chiesto per anni ai governi di accelerare la transizione, quest’anno Uber ha fatto una clamorosa inversione: ha appoggiato la “Big Beautiful Bill” di Trump, che ha cancellato gran parte degli incentivi per le energie pulite e dovrebbe rallentare l’adozione delle EV negli USA del 40%. Il CEO Khosrowshahi è persino comparso in un video promozionale alla Casa Bianca. In California, New York e altre città ci sono leggi che obbligano Uber e Lyft a elettrificare le flotte. Uber ora chiede di posticipare le scadenze, sostenendo che senza gli incentivi federali è impossibile rispettare i target. Rebecca Tinucci, ex responsabile sostenibilità, spiega il nuovo approccio: invece di spendere soldi propri, l’azienda vuole sfruttare la domanda di clienti che preferiscono viaggiare in elettrico. Con Uber Electric (ex Uber Green), chi sceglie un’auto verde paga poco di più, ma gli autisti EV ricevono più corse e guadagnano di più. Molti conducenti sono amareggiati. Chuck, del Delaware, ha comprato una Tesla Model Y proprio grazie ai bonus, ma ora che sono spariti guadagna quasi quanto con la vecchia Honda. L’azienda ha speso finora 539 milioni dei 800 promessi, mentre i profitti stanno esplodendo e sono stati annunciati 20 miliardi di buyback azionari. Secondo Bloomberg, gli impegni volontari delle aziende servono a poco senza regole obbligatorie.

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