Terza e ultima puntata con Bessi che ammette: sia lo shale gas sia lo shale oil hanno i secoli contati
Il nostro esperto di energia, il consigliere Pd alla Regione Emilia-Romagna Gianni Bessi ci aveva promesso in questa terza chiacchierata di approfondire alcuni temi tecnici e uno ‘politico’, produzione, deviazioni, prezzi e dinamiche finanziarie, che rivelano se gli Usa possono sostituirsi alla Russia come fornitori di gas all’Europa.
D: Cominciamo proprio da quest’ultimo punto, che è il più ‘caldo’: ce la faranno gli Usa?
R: “Le prime indicazioni che sono arrivate in quest’ultimo periodo dagli Usa non sono ahimè confortanti. I vertici delle compagnie, tutte a capitale privato, che gestiscono vaste riserve di petrolio e gas naturale, che in teoria potrebbero alleviare la crisi energetica europea, hanno affermato che non saranno in grado di aumentare le forniture abbastanza rapidamente da prevenire la penuria invernale”.
Insomma, non ci danno una mano perché non possono o perché non vogliono?
“Tutte e due, veramente. Prima il ‘non possono’. Wil VanLoh, a capo del gruppo di private equity Quantum Energy Partners, ha ribadito che non è possibile pompare più gas e petrolio di così e che la produzione è quella che è. Non c’è nessun salvataggio in arrivo quindi né sul fronte del petrolio, né su quello del gas”.
Niente salvataggio made in Usa quindi.
“Lo scenario è controverso perché tutto va inquadrato all’interno di due aspetti centrali della crisi energetica: il tempo per trovare soluzioni è sempre più ridotto e all’orizzonte non si vede un Piano B efficace. In questa situazione anche agli americani serve nuovo capitale. Non dimentichiamo che le aziende dello shale gas americano erano in sofferenza per la guerra dei prezzi al ribasso del 2018-2019 dove l’asse Russia e Paesi Opec aveva cercato in tutti i modi di stressare la parte costi delle compagnie americane. Ora che ne sono uscite non vogliono ricaderci: in questo periodo rialzista sono andate a ripianare il debito che avevano contratto”.
Ma non è l’unico limite alla possibilità che lo shale gas Usa risolva la crisi energetica europea. Torniamo ai quattro temi, produzione, deviazioni, prezzi e dinamiche finanziarie.
“Allora la produzione. Intanto premetto che il gas naturale ha avuto un importante rilancio negli ultimi anni, grazie all’apporto delle nuove tecnologie (LNG e gas da argille) e oggi soddisfa circa un quarto del fabbisogno mondiale di energia, con Cina & India in crescita demografica. Altro limite della produzione è legato alla logistica dello shale gas che riguarda i collegamenti con il golfo del Messico, da cui partono le navi gasiere: è una componente del fatto che non riescono a rispondere a tutta la domanda dell’Europa. Tra gli altri imprevisti va ricordato l’incendio che ha chiuso Freeport Lng, società che garantisce circa il 20% della lavorazione del gas naturale liquefatto statunitense. E non riprenderà la piena operatività prima della fine dell’anno”.
E poi c’è l’ostacolo dei contratti…
“Infatti. Un altro fattore limitante che viene dall’Europa è che non esiste la garanzia di offtaking di lungo periodo: l’Ue continua a confermare che in 5 anni la domanda di gas calerà sensibilmente per effetto degli investimenti in produzione green quindi l’Europa è in sostanza un ‘mercato a termine’. E questo fatto non incoraggia gli investimenti nello shale. Ma non sono sicuro che abbiamo fatto bene i conti”.
E mancano anche i rigassificatori
“Perché non ce ne sono più a disposizione, come ha ricordato il 14 settembre Oystein Kalleklev CEO Flex LNG & Executive Chairman Avance Gas”.
E le deviazioni?
“Il dirottamento verso l’Europa del gnl Usa ha messo in difficoltà le nazioni più povere come il Pakistan e l’India: gli spedizionieri sono disposti a pagare penali contrattuali per mancata consegna in questi paesi e hanno deviato i carichi verso l’Europa, dove il prezzo elevato copre la commissione e il profitto. La conseguenza è che questi grandi paesi rischiano di dovere affrontare un deficit energetico o essere spinti a nuovi accordi con la Russia”.
L’Europa sta assorbendo quindi gran parte delle esportazioni di gas americano.
“I numeri ci aiutano: fino a giugno 2022, gli Stati Uniti hanno esportato circa 57 miliardi di metri cubi di gas come GNL con 39 miliardi di metri cubi, o il 68%, andando in Europa, secondo i dati di Refinitiv. Questo dato va confrontato con 34 miliardi di metri cubi, o il 35%, delle esportazioni di GNL spedite in Europa per tutto il 2021”.
Insomma, paghiamo il gas di più, ecco perché arriva da noi.
“I prezzi di riferimento in Europa nel 2022 sono stati in media di 34,06 dollari per milione di unità termiche britanniche rispetto ai 29,99 dollari in Asia e 6,12 dollari negli Stati Uniti. Questo ci dicono i numeri oggi”.
Come potremmo chiudere questa lunghissima chiacchierata sullo shale gas?
“Parafrasando una battuta sul capitalismo, sia lo shale gas sia lo shale oil hanno i secoli contati”