Skip to content
auto

“L’Ue deve reagire ai dazi di Trump in modo fermo. Multe alle auto sono un falso problema”. Parla Tamburrano (M5S)

L’Ue deve rispondere ai dazi di Trump in modo fermo e contrastare l’evasione delle Big Tech. Le multe ai produttori di auto inquinanti sono un falso problema: “La Commissione europea stanzia appena 3,8 miliardi per l’automotive a fronte di 800 programmati per il riarmo”, spiega Dario Tamburrano, Europarlamentare del M5S a Energia Oltre

La reazione dell’Ue ai dazi di Trump deve essere ferma e onnicomprensiva. Le multe ai produttori di auto inquinanti sono un falso problema. “La Commissione europea stanzia appena 3,8 miliardi per l’automotive a fronte di 800 programmati per il riarmo”, spiega Dario Tamburrano, Europarlamentare del M5S e membro del gruppo della Sinistra al Parlamento europeo. L’unica soluzione per salvare il settore sono politiche lungimiranti investimenti pubblici e nuovi accordi commerciali con Paesi fino ad oggi trascurati: Brasile, Cina, Indonesia, Stati africani e asiatici. L’Europa, poi, ha un potenziale tesoretto ad oggi inutilizzato, secondo l’Europarlamentare: “un mercato di decine di milioni di retrofit da produrre e installare con vantaggi anche dal punto di vista dell’economia circolare”.

L’impatto dei dazi annunciati da Trump sulle auto importate sarà rilevante per le case Ue? Von der leyen ha risposto che continueranno le trattative. Pensa che avranno successo? Come reagire alle tariffe Usa?

La reazione dell’Unione europea a questa guerra commerciale inaugurata da Trump deve essere ferma e onnicomprensiva. Non deve riguardare solo le tariffe commerciali, ma affrontare anche il nodo dell’elusione fiscale praticata principalmente dalle multinazionali statunitensi, tra cui a titolo di esempio le big tech e i market place. Dobbiamo sicuramente risollevare la domanda interna attraverso una politica di investimenti pubblici e allargare, inoltre, i rapporti commerciali con altri Paesi, finora a torto non tenuti nella necessaria ed equa considerazione per ragioni geopolitiche. Pensiamo alla Cina, all’India, al Brasile, al Sud Africa, all’Indonesia, ai Paesi asiatici e africani.

Il rinvio della discussione degli emendamenti che prevedono lo stop alle multe per i produttori che realizzano troppe auto inquinanti è un segnale preoccupante secondo lei? Rischia di saltare oppure sarà solo questione di tempo?

Quello delle multe è un falso problema, tanto più che molte case automobilistiche si erano già preparate per tempo ai nuovi standard europei e le avrebbero evitate. Noi abbiamo un atteggiamento aperturista sulla diluizione triennale dei tempi di raggiungimento dei target previsti per la fine del 2025, nonostante ciò vada a premiare indirettamente quelle poche case europee che non sarebbero state in grado di rispettarli. Riteniamo che tutti – Istituzioni europee e nazionali, case automobilistiche e sindacati del settore metalmeccanico – in questo momento debbano collaborare. Tuttavia è bene che sia chiaro che il settore rischia l’estinzione, ma non per le multe: nel piano europeo per il settore dell’automotive, presentato lo scorso 5 marzo, la Commissione europea mette al primo posto lo sviluppo della mobilità autonoma, che non è certamente la questione prioritaria, stanzia appena 3,8 miliardi per l’automotive a fronte di 800 programmati per il riarmo. Il governo Meloni ha inoltre azzerato il fondo automotive, che prima aveva in pancia 4,7 miliardi. Se queste sono le premesse chiuderanno tantissime fabbriche e tutti sapranno di chi è la colpa.

Quale impatto potrebbe avere sulle case automobilistiche europee il combinato disposto di dazi Usa e multe Ue sulle emissioni?

Più che dei dazi e delle multe mi spaventa la miopia della Commissione europea e del governo Meloni sul settore e la sottovalutazione di quello che è davvero in gioco oggi. La transizione verso l’elettrico va accompagnata con politiche lungimiranti. Oltre al nuovo fondo Sure, ci sono altre misure che ci stanno molto a cuore. Fra queste la creazione di collaborazioni verticali tra imprese europee su tre aree strategiche: batterie, elettronica e semiconduttori, senza certamente trascurare il software e la AI. Poi, la creazione di agenzie di sorveglianza del mercato della ricarica pubblica dei veicoli elettrici per monitorare i prezzi al dettaglio, garantirne trasparenza dei prezzi e modalità di pagamento. Infine, vogliamo che sia stimolata l’offerta di modelli a basso costo che vanno incentivati e vogliamo favorire la creazione di un mercato di auto elettriche di seconda mano, anche promuovendo l’adozione di auto elettriche nelle flotte aziendali come giustamente in questo caso prevede il piano della Commissione, ma per fare questo ci vuole appunto anche certezza e stabilità per famiglie e imprese sui costi operativi delle ricariche.

 Quali dei punti di “Una proposta europea per superare la crisi nel settore dell’Automotive in Italia e nell’UE” è più urgente per salvare l’automotive Ue?

Sicuramente il varo di un programma Sure per rilanciare il settore tramite prestiti agevolati agli Stati membri diretti a finanziare il mantenimento dell’occupazione, con condizionalità sulla riqualificazione delle competenze e investimenti dedicati alla transizione alla mobilità decarbonizzata. Non chiediamo pertanto investimenti a pioggia, ma supporto economico alle case automobilistiche affinché possano competere con i loro concorrenti cinesi e americani i quali sulla transizione verso l’elettrico sono decisamente più avanti. Finora le case automobilistiche hanno recuperato queste risorse con i licenziamenti. Così ha fatto l’Audi che due settimana fa ha annunciato 8 miliardi di investimenti a fronte del taglio di 7.500 posti di lavoro. Noi vogliamo salvare i posti di lavoro e sostenere l’industria nel mentre che effettua questa transizione epocale, impegnativa e inevitabile. Una terza via per favorire la diffusione dell’elettrico, rigenerare le filiere anche della componentistica, evitare le multe ed aiutare sia sosteniblità, qualità urbana dell’aria, che accettazione sociale, sarebbe quella di estendere anche alle automobili la proposta presente nel piano automotive della Commissione di retrofittare i veicoli pesanti endotermici, come autobus e camion con powertrain elettrici: con normative armonizzate in Europa ed eventuale incentivazione si aprirebbe in Europa un mercato di decine di milioni di retrofit da produrre e installare con vantaggi anche dal punto di vista dell’economia circolare. In Italia esiste già la norma (decreto retrofit) ma è di fatto disapplicata e gli incentivi che stavano per essere messi in campo non sono mai partiti.

Tra le vostre proposte c’è la definizione del ruolo di Stellantis. Quale dovrebbe essere secondo lei? Cosa pensa dei nuovi piani del gruppo per l’Italia?

Stellantis oggi produce più cassaintegrati che automobili. Su questo John Elkann e la sua dirigenza dovrebbero riflettere. A parole rinnovano sempre l’impegno verso l’Italia, nei fatti però gli stabilimenti Stellantis in Polonia, Serbia o Marocco lavorano a pieno regime, mentre quelli di Pomigliano d’Arco, Mirafiori, Modena o Cassino sono fermi o lavorano a ritmo ridotto. Tra il 2021 e il 2023, Stellantis ha ridotto la propria forza lavoro in Italia di circa 10.000 unità attraverso quelli che ha definito “accordi di separazione”, ovvero uscite incentivate. Se non invertiamo rotta si prospetta il rischio di una perdita occupazionale permanente che potrebbe coinvolgere fino a 50.000 lavoratori su scala nazionale, lavoratori dell’indotto inclusi.

ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWSLETTER

Abilita JavaScript nel browser per completare questo modulo.

Rispettiamo la tua privacy, non ti invieremo SPAM e non passiamo la tua email a Terzi

Torna su