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Ilva

Il silenzio di Baku Steel allontana la cessione dell’Ilva. L’unica salvezza è lo Stato?

Gli azeri si sono chiusi nel silenzio e l’acquisto dell’Ilva rischia di sfumare. Quali alternative restano in gioco?

L’incidente all’altoforno 1 a Taranto potrebbe aver messo definitivamente la parola fine sulla cessione dell’ex Ilva a Baku Steel. Il ministro Urso fa appello al senso di responsabilità, mentre il gruppo azero si è chiuso in un silenzio che non promette nulla di buono. L’acquisto salterà? Quali alternative restano sul tavolo?

I “PUNTI OSCURI” DELL’ACCORDO CON BAKU STEEL

“L’avevano spacciata come la svolta definitiva. L’ offerta che non puoi rifiutare, come quella di don Vito Corleone nel mitico “Padrino” di Francis Ford Coppola. E invece niente: forse salta pure questa”, scrive Massimo Giannini su La Repubblica. Come nella pellicola di Coppola, anche in questa storia gli intrighi sono molti. Infatti, l’accordo tra Baku Steel e il Governo ha tanti punti oscuri, secondo La Repubblica: la promessa di raggiungere una produzione di 4 milioni di tonnellate nei prossimi anni nonostante il taglio di 3.000 dipendenti e due altoforni fermi, i 250 milioni di sussidi statali mancanti, la cassa integrazione che si allarga a 4.046 dipendenti. Per non parlare poi degli adempimenti burocratici, che mancano ancora all’appello: l’Autorizzazione Integrata Ambientale e la Valutazione di Impatto Sanitario.

ILVA, URSO CHIEDE RESPONSABILITA’

Le stesse parole del ministro delle Imprese e del Made in Italy aumentano i dubbi riguardo la buona riuscita della vendita dell’ex Ilva. “Non è il momento delle recriminazioni, ma delle soluzioni”, ha detto Urso, facendo appello al senso di responsabilità di tutti.

Il ministro ha poi auspicato che la missione dei suoi delegati ministeriali in Azerbaigian possa riconfermare “la volontà di portare avanti il percorso di acquisizione”.

LA SOLUZIONE E’ NAZIONALIZZARE?

L’unica opzione ancora sul tavolo per salvare un baluardo dell’industria dell’acciaio italiana è la ri-nazionalizzazione, secondo La Repubblica. Il ritorno dell’azionista pubblico sarebbe “un’ammissione definitiva di un fallimento collettivo”, poiché riporterebbe agli antichi splendori il tanto criticato modello dello Stato Padrone degli anni Settanta e Ottanta. Tuttavia, resta la soluzione migliore per Giannini poiché “alla fine il Mef dovrebbe comunque garantire una quota di mezzo miliardo, attraverso Invitalia o Cdp. E a questa si aggiungerebbero comunque gli investimenti per la decarbonizzazione, almeno 4 miliardi”.

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