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Petrolio

Bielorussia, 5G e petrolio. Come si muovono gli Usa

Petrolio e tecnologie sono due dei dossier al centro dell’azione degli Usa. Il taccuino estero a cura di Marco Orioles

Incursione petrolifera degli Usa nelle terre dello Zar

Si dice che la Bielorussia sia una dépendance russa e che il suo presidente non faccia nulla che lo zar Vladimir non voglia.

C’è da scommettere quindi che a Mosca non abbiano accolto favorevolmente la consegna alla compagnia bielorussa Belneftekhim della prima fornitura di petrolio statunitense pari a 77 mila tonnellate di petrolio presso la raffineria Naftan, nella regione di Vitebsk, arrivata via treno dal porto lituano di Klaipeda.

La fornitura si inserisce nell’accordo raggiunto dall’agenzia Usa United Energy Trading, dalla compagnia locale Getka e con la polacca Unimot che fu pubblicamente annunciato lo scorso 18 maggio dal ministro degli Esteri bielorusso, Vladimir Makei.

“Sono felice di annunciare che inizierà la consegna di petrolio dagli Usa alla Bielorussia. Ciò è stato reso possibile come risultato degli accordi raggiunti nel corso della visita in Bielorussia del segretario di Stato Usa Mike Pompeo e del suo incontro con il presidente Aleksandr Lukashenko”, ha detto Makei.

Sempre lo scorso 18 maggio, il segretario di Stato Usa Mike Pompeo ha affermato che l’accordo per la consegna di petrolio dagli Stati Uniti alla Bielorussia rafforza la sovranità e l’indipendenza di Minsk, dimostrando al contempo come Washington sia pronta a sostenere le aziende Usa interessate a entrare nel mercato bielorusso.

“Questi sviluppi aiuteranno a sbloccare appieno il potenziale commerciale e di investimenti della Bielorussia, assicurandone il futuro successo. Gli Stati Uniti guardano al futuro per continuare a rafforzare questo partenariato”, ha detto Pompeo.

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Battuta d’arresto per i prezzi del petrolio

La decisione presa la settimana scorsa dal cartello OPEC+ di prorogare il mega taglio alla produzione di petrolio non ha portato lo sperato giovamento nel mercato del greggio.

Al contrario, come rileva Axios nella sua nota,  la settimana che si è chiusa venerdì è stata all’insegna della sofferenza per i prezzi del greggio, che sono diminuiti per la prima volta dopo il tonfo di due mesi fa causato dal Covid-19 e dopo sei settimane di continui rialzi.

I timori suscitati in America e non solo dalla possibilità di nuovi picchi di casi di Coronavirus si sono riflessi immediatamente sui principali benchmark, con il Brent che ha chiuso venerdì a 38,73 dollari (per un calo di 18 cent) e il WTI a 36,26 dollari (con una diminuzione di 8 cent), dopo aver perso entrambi nel corso della settimana circa l’8%.

In America per ora i prezzi sono a tal punto bassi da essere inferiori ai costi sostenuti dalle compagnie petrolifere per scavare nuovi pozzi e, in certi casi, per mantenere attivi quelli già esistenti.

Il risultato si è già manifestato almeno sotto due forme: il calo del numero di trivelle attualmente attive negli States, sceso a 199 secondo il calcolo della società Baker Hughes, e il numero preoccupante di compagnie che non hanno potuto far altro che dichiarare bancarotta.

“Una seconda ondata di Coronavirus”, ha spiegato ad Axios l’analista di Oanda  Edward Moya, “rischia di spezzare le speranze di una costante ripresa economica globale che stava a sua volta migliorando le prospettive della domanda di petrolio.”

È dunque ancora l’incertezza a dominare il mercato, come ha confermato sempre ad Axios Phil Flynn, analista di Price Futures Group, che parla di “crocevia” spiegandosi in questi termini: “Se la domanda continua a migliorare, il mercato del petrolio salirà di un bel po’ (…) Ma se finiamo in una situazione in cui cominciamo a fare dei passi indietro a causa del coronavirus, il mercato non potrà che scendere”

A tal proposito, nella sua nuova nota Barclay prevede un rialzo nel medio termine, ma non prima di un po’ di maretta sotto la forma di una sfilza di oscillazioni temporanee.

Secondo la nota, il prezzo del petrolio negli Usa dovrebbe aggirarsi intorno ai 34 dollari al barile per tutto il terzo quadrimestre, per poi salire a 40 nel quarto.

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Ancora guai per il 5G di Ligado negli Usa

Nuova grana per Ligado negli Usa, dove la decisione della Federal Communcations Commission di consentirle di utilizzare lo spettro della banda L a 1,6 GHz per fornire una rete terrestre a bassa potenza volta a supportare i servizi ​​5G ha messo sul piede di guerra mezzo parlamento.

Dopo l’offensiva del mese scorso della Commissione Forze Armate del Senato, a tentare di far invertire la marcia alla FCC sono ora tre deputati dell’analoga commissione della Camera, convinti anch’essi che la FCC sia in torto quando ha deliberato che il progetto di Ligado “assicurerà che le operazioni adiacenti della banda, incluso il Global Positioning System (GPS), siano protette da interferenze dannose”.

Si tratta di Jim Cooper, Mike Turner ed Elise Stefanik – un democratico e due repubblicani – e hanno indirizzato una lettera lo scorso 11 giugno al presidente della FCC per esporgli i loro fatti.

Il tentativo dei tre deputati si impernia sulla richiesta all’Inspector General di condurre un’indagine – che avrebbe l’immediato effetto di bloccare l’implementazione del progetto di Ligado –  per possibile conflitto di interessi sull’azienda che ha condotto i test sulla rete GPS Ligado e presentato poi i risultati alla FCC, che su di essi ha basato la propria decisione di dare luce verde al progetto di Ligado.

La persona in conflitto d’interessi sarebbe Dennis Roberson, presidente del TAC, l’organo costituito da numerosi esperti di tecnologia il cui ruolo è fornire pareri tecnici alla FCC aiutandola – come recita il sito web della commissione – a “identificare importanti aree di innovazione e sviluppare politiche tecnologiche informate”.

Il problema di Roberson – che a occhio e croce appare grosso come una casa – è di essere anche il capo di una società di consulenza che oltre a portare il suo nome, la Roberson and Associates, nel 2016 fu assoldata proprio da Ligado per realizzare uno studio tecnico che verificasse potenziali interferenze fra il proprio segnale 5G e quello GPS.

Oltre a questa anomalia, i deputati hanno anche evidenziato che lo studio di Roberson and Associates viene citato “almeno ottanta volte” nel parere con cui la FCC ha dato il via libera al progetto di Ligado, da cui la deduzione che esso sia risultato decisivo nel consentire ai membri della FCC di formarsi un parere.

A conclusione della missiva, i deputati osservano inoltre che Roberson negli ultimi tempi si è ripetutamente esposto in prima persona, anche con articoli scritti, per benedire il progetto di Ligado.

Tutti questi elementi, scrivono i ricorrenti, sollevano più di qualche ombra sulla figura di Roberson e sulla neutralità della decisione della FCC.

Ma quello che più ha mandato su tutte le furie i deputati è che un problema colossale come le interferenze col segnale GPS – che negli Usa ha innescato una vera zuffa tra chi è pro e chi è a favore del progetto di Ligado – venga risolto con un unico test, salvo scoprire che questo test è minato alla radice da un colossale conflitto di interessi.

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