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Prezzi Energia

Caro energia, tutti i dati dell’impatto sulle imprese e sui consumatori italiani

Una simulazione dell’ISTAT fornisce una stima del numero di imprese che potrebbero registrare margini di profitto negativi, mentre per Confcommercio nel terziario ci sarebbero circa 120mila imprese a rischio chiusura da qui ai primi sei mesi del 2023

I rincari dei prezzi energetici costituiscono un elemento di forte rischio per l’operatività delle piccole imprese italiane. Nel settembre scorso l’ISTAT ha rilasciato una nota sull’andamento dell’economia italiana in cui segnalava che il perdurare, nei prossimi mesi, di livelli dei prezzi energetici così elevati determinerebbe l’accentuazione dei rischi – già ad oggi osservabili – sulla redditività delle imprese, costituendo un elemento di forte preoccupazione per la tenuta del sistema produttivo e dell’occupazione.

All’interno della nota, ISTAT effettua una simulazione che fornisce una stima del numero di imprese che potrebbero registrare margini di profitto negativi a seguito di incrementi dei costi energetici.  Utilizzando i dati disponibili sulla struttura dei costi e sui ricavi delle imprese relativi al 2019, la simulazione ha stimato la distribuzione del MOL (margine operativo lordo) delle imprese al 2019 con quella che si sarebbe ottenuta nello stesso anno, considerando un aumento dei costi energetici pari a quello reale osservato tra il 2019 e 2022.

Secondo le stime ISTAT, l’incremento dei prezzi dei beni energetici avrebbe determinato un MOL negativo per oltre 355.000 imprese, pari all’8,2% del complesso del sistema produttivo; di queste, oltre 307.000 nel comparto dei servizi (9,1%) e 47.600 nell’industria (5,4%), per un totale di 3,4 milioni di addetti coinvolti ( oltre 2,5 milioni nei servizi, e più di 854.000 nell’industria).

Si parla di imprese anche di grandi dimensioni: nel 2019 queste unità impiegavano in media 17,9 e 8,3 addetti rispettivamente nell’industria e nei servizi, con dimensioni medie superiori di 3 e 2,4 volte alle rispettive medie di comparto. Per quanto riguarda il comparto industriale e per quello dei servizi, di seguito riportiamo i primi 10 settori il cui MOL sarebbe divenuto negativo.

Nell’industria, i primi 7 settori presentano un’elevata quota di imprese con margini negativi: dal 57,9% della carta al 41,7% della metallurgia. Anche in un settore come quello del tessile, dove l’incidenza sarebbe più bassa (21,2%), la quota di addetti delle imprese che registrerebbero profitti negativi appare ragguardevole, il 41,5%. Nei servizi, i primi 9 settori presentano una quota di imprese con MOL negativo inferiore rispetto ai primi 9 comparti industriali; tuttavia l’aspetto occupazionale risulta comunque rilevante.

Le analisi ISTAT mostrano chiaramente che – anche in un periodo ancora non interessato dai due shock della pandemia Covid e dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia – i fortissimi rincari delle materie prime energetiche avrebbero avuto un impatto esteso e significativo sui margini di profitto delle imprese italiane. In alcuni dei settori industriali in cui le spese energetiche pesano in misura più elevata sui costi intermedi, tali aumenti potrebbero rappresentare un serio rischio per la capacità operativa di oltre la metà delle aziende; un fenomeno che non rimarrebbe confinato alle classi delle micro e piccole imprese (rispettivamente da 1-9 e 10-49 addetti).

LE AZIENDE A RISCHIO CHIUSURA SECONDO CONFCOMMERCIO

Nell’agosto scorso Confcommercio ha elaborato nuove stime sull’impatto dell’aumento significativo dei prezzi delle materie prime energetiche e dell’inflazione, con il forte aumento di quest’ultima dovuto per l’80% proprio all’impennata del prezzo dell’energia.

Secondo Confcommercio si tratta di una situazione emergenziale che rischia di portare al rallentamento, se non addirittura alla chiusura, di numerose attività: nel settore terziario sarebbero circa 120mila imprese a rischio chiusura da qui ai primi sei mesi del 2023, con relativi 370mila posti di lavoro a rischio. Tra i settori più esposti, il commercio al dettaglio (in particolare la media e grande distribuzione alimentare, che a luglio ha visto quintuplicare le bollette di luce e gas), la ristorazione e gli alberghi (che hanno avuto aumenti tripli rispetto a luglio 2021), i trasporti, che oltre al caro carburanti (+30-35% da inizio pandemia) rischiano di dover fermare i mezzi a gas metano per i rincari della materia prima.

A risentire pesantemente della situazione sono anche i liberi professionisti, le agenzie di viaggio, le attività artistiche e sportive, i servizi di supporto alle imprese e il comparto dell’abbigliamento. Secondo le stime Confcommercio, la spesa complessiva in energia per i comparti del terziario nel 2022 è ammontata a 33 miliardi di euro, il triplo rispetto al 2021 (11 miliardi) e più del doppio rispetto al 2019 (14,9 miliardi).

IL CONFRONTO TRA ITALIA , FRANCIA E SPAGNA

Ulteriori evidenze mostrano, inoltre, il divario significativo dei prezzi dell’energia che pesano sulle imprese italiane rispetto alla situazione che si registra in altri Paesi europei. In particolare, Confcommercio, in collaborazione con Nomisma Energia, ha effettuato un’analisi comparativa confrontando la spesa teorica annuale delle bollette elettriche del mercato libero delle imprese del commercio, del turismo e della ristorazione italiane con quelle pagate dalle medesime tipologie di imprese in Francia e Spagna.

Tutte le categorie economiche prese a riferimento, infatti, pagano in Italia, a parità di consumi e di potenza impegnata, una bolletta elettrica notevolmente più elevata: alberghi, bar, ristoranti e negozi alimentari hanno una spesa elettrica mediamente superiore del 27% rispetto alle imprese spagnole e addirittura di quasi il 70% rispetto a quelle francesi.

Meno severo il divario relativo ai negozi non alimentari che pagano, rispettivamente, l’11% e il 16% in più. Il dato è tanto più significativo se si considerano le risorse complessivamente stanziate dai singoli Paesi nel 2022 per far fronte ai rincari energetici, con l’Italia al primo posto con quasi 60 miliardi, quasi il doppio di quanto stanziato dalla Spagna. In sostanza, l’Italia ha speso più sia della Francia che della Spagna, pur continuando a registrare costi delle bollette elettriche decisamente più elevati rispetto ai due Paesi presi come benchmark.

L’IMPATTO DEI RINCARI ENERGETICI SUI CONSUMATORI

Secondo l’analisi ISTAT, in un contesto di tensioni inflazionistiche che attraversano quasi tutti i comparti merceologici (rallentano solo i Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona) sono per lo più i beni energetici, sia quelli regolamentati sia quelli non regolamentati, ad incidere sulla straordinaria accelerazione del livello dei prezzi. Anche i prezzi dei Beni alimentari (sia lavorati sia non lavorati) continuano ad accelerare.

A questo proposito, l’Unione Nazionale Consumatori ha elaborato i dati Istat sull’inflazione di ottobre 2022 per stilare le classifiche dei rialzi annui e mensili dei prodotti alimentari e prodotti non alimentari. Il dato più significativo si registra all’interno della classifica dei rialzi annuali per i prodotti non alimentari: al primo posto si colloca l’energia elettrica del mercato libero che, con un prezzo quadruplicato rispetto ad ottobre 2021 (+329%), sale oltre tre volte rispetto al mercato tutelato (+91,5%). La luce del mercato libero si colloca al secondo posto anche per i rialzi mensili, con +62,7% su settembre 2022, un aumento maggiore rispetto al tutelato, al 3° posto con +51,9% sul mese precedente.

Tornando ai rialzi annuali, al 2° posto si collocano i Voli internazionali con un aumento del 113,2% su base annua. Al terzo posto, il gas di città (libero + tutelato) con +96,2%, ma con il tutelato che si blocca ad appena +3,4%. Inoltre il gas del mercato libero è al primo posto dei rincari mensili con +63,5%, mentre il gas del tutelato è sul versante opposto, al primo posto dei ribassi con -18,3% sul mese precedente.

LE CONSEGUENZE SUL “CARRELLO DELLA SPESA”

Oltre ai beni energetici, aumenta anche il “carrello della spesa”. Secondo l’ISTAT, la spesa per i prodotti alimentari, destinati alla cura della casa e della persona ha infatti accelerato da +10,9% a +12,6% mentre quelli ad alta frequenza d’acquisto si sono apprezzati ulteriormente da +8,4% a +8,9%. Dall’analisi dei dati esposti si evince che non solo l’inflazione non rallenta la sua corsa, ma accelera in maniera esponenziale (+3,5% in appena un mese). Secondo le stime UNC, in termini di aumento del costo della vita questo contesto si traduce in un aumento a famiglia pari in media a 975 euro su base annua, 107 per cibo e bevande, 874 per abitazione, elettricità e combustibili. Se poi si considera l’inflazione tendenziale, pari a +11,9%, l’aumento annuo vola in media a 3.324 euro, 2.016 per l’abitazione, 761 per mangiare e bere.

Inoltre, nell’ottobre scorso l’associazione Altroconsumo ha analizzato la variazione della stima della spesa annua di energia elettrica (mercato tutelato) calcolata rispettivamente nell’ultimo trimestre del 2021 e negli ultimi tre mesi del 2022, che scontano un aumento del 59% per il costo dell’energia elettrica secondo i dati comunicati a fine settembre dall’ARERA.

L’analisi prende come esempio tre tipologie di famiglie che rappresentano casi molto comuni in Italia ed elabora una stima di spesa per i tre diversi profili di consumo:

1) un nucleo familiare di due persone con consumi annui di 1.900 chilowattora e un contatore di potenza pari a 3 kw;

2) una famiglia di tre persone con un consumo annuo di 2.700 chilowattora e una potenza di 3 kw;

3) un nucleo costituito da 4 componenti con grandi consumi (4.000 chilowattora annui) e un contatore da 6 kw.

In base ai calcoli effettuati da Altroconsumo, per una famiglia di due persone la stima della spesa annua nel 2021 era pari a 441,4 euro che salgono a 1.231,97 euro considerando i dati degli ultimi tre mesi del 2022, con una differenza di 790 euro (+179%). Nel caso di un nucleo familiare di tre persone con consumi medi di energia elettrica, il divario supera i 1.135 euro: nel 2021, infatti, lo stesso nucleo aveva pagato per la luce 590,94 euro, mentre nel 2022 ne spenderà 1.726,6 euro (+192%). Anche nell’ultimo caso, per un nucleo famigliare di quattro persone il confronto è molto pesante: si passa dai 946,96 euro del 2021 ai 2.646,94 euro di quest’anno. Quasi 1.700 euro in più (+171%).

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