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Come il Piano Mattei e l’Eni possono (ri)lanciare l’Italia in Africa

Intervenendo ieri sera a Cinque Minuti, ospite di Bruno Vespa, l’ad di Eni Claudio Descalzi ha elogiato il programma melograno di investimenti multisettoriali in Africa, dove il Cane a Sei Zampe domina da decenni come potenza energetica e quindi geopolitica

“Speriamo che dopo la complicata due giorni dedicata al Piano Mattei, per Giorgia Meloni l’agenda possa prevedere qualche ora di relax, prima dei prossimi impegni internazionali. Innanzitutto la Premier stamattina dovrà telefonare a Claudio Descalzi per ringraziarlo. Se il vertice Italia-Africa non è fallito, è tutto merito del capo dell’Eni. Lo stesso che Giorgia criticava quando fu nominato, definendo il governo di allora schiavo della lobby del gas”. Il solito Matteo Renzi ci è andato giù con il suo solito stile, stamani, nell’editoriale scritto per il Riformista.

Potrebbe trattarsi di un pensiero esagerato e caricaturale ma ci sono tanti elementi che, invece, dimostrano che la situazione descritta dall’ex premier non è poi così lontana dalla realtà.

COSA HA DETTO MELONI SUL PIANO MATTEI

“Questo nuovo approccio, del quale la nostra Nazione vuole farsi portatrice, si rispecchia anche nel titolo di questo Vertice: Italia-Africa, un ponte per crescere insieme. Perché è la naturale vocazione dell’Italia: un ponte tra l’Africa e l’Europa. Un ponte che noi italiani abbiamo il vantaggio di poter costruire non partendo da zero, ma dalle solide fondamenta che, molto tempo fa, un grande italiano come Enrico Mattei, fondatore di Eni, ha avuto la lungimiranza di saper immaginare”, ha spiegato ieri Meloni nel suo intervento di apertura al Senato.

“Mattei amava dire che l’ingegno è vedere possibilità dove gli altri non ne vedono. Dove altri vedevano difficoltà, Mattei vedeva un’opportunità. E ci ha insegnato che era possibile coniugare l’esigenza italiana di rendere sostenibile la sua crescita con quella delle Nazioni partner di conoscere una stagione di liberta, di sviluppo, di progresso. Noi oggi vogliamo ripartire da quella intuizione e scrivere insieme una nuova pagina di questo racconto”.

A livello energetico, uno dei “pilastri” del Piano, Meloni ha poi spiegato che “noi siamo sempre stati convinti che l’Italia abbia tutte le carte in regola per diventare l’hub naturale di approvvigionamento energetico per l’intera Europa. È un obiettivo che possiamo raggiungere se usiamo l’energia come chiave di sviluppo per tutti. L’interesse che persegue l’Italia è aiutare le Nazioni africane interessate a produrre energia sufficiente alle proprie esigenze e ad esportare in Europa la parte in eccesso, mettendo insieme due necessità. Quella africana di sviluppare questa produzione e generare ricchezza, e quella europea di garantirsi nuove rotte di fornitura energetica. Tra le iniziative in questo ambito voglio ricordare quella in Kenya dedicato allo sviluppo della filiera dei biocarburanti, che punta a coinvolgere fino a circa 400 mila agricoltori entro il 2027”. Infine, la Premier ha citato “l’interconnessione elettrica ELMED tra Italia e Tunisia, o al nuovo Corridoio H2 Sud per il trasporto dell’idrogeno dal Nord Africa all’Europa centrale passando per l’Italia”.

I FATTORI DI SCETTICISMO

Quanto agli investimenti, Meloni ha enfatizzato il primo pacchetto di risorse – in realtà già stanziate, non aggiuntive –  di 5,5 miliardi di euro di cui circa 3 dal Fondo italiano per il clima (da cui verranno quindi sottratte) “e circa due miliardi e mezzo dalle risorse della cooperazione allo sviluppo”. Meloni ha quindi chiamato a raccolta Cassa depositi e prestiti, “le Banche Multilaterali di Sviluppo, l’Unione Europea e altri Stati donatori”. Anche se il clima raccontato da chi ha seguito da vicino la giornata di ieri era più di scetticismo che di gran volontà di partecipare a questo “vaste programme”, soprattutto dai Paesi africani stanchi di assistere a mere vetrine senza reali segnali di progresso nelle relazioni con gli europei.

Lato Ue, invece, basti pensare al fine elettorale e quindi politico che ha visto partecipare ieri come in altre recenti occasioni (la visita in Emilia-Romagna) le due presidenti di Parlamento e Commissione, Roberta Metsola e Ursula von der Leyen.

Come si domanda oggi su Policy Maker Riccardo Pennisi, “condizionare il settore dell’energia e quello delle risorse verso una transizione energetica più rapida e pulita sarebbe fantastico, vera geopolitica – dal punto di vista strategico e industriale Europa e Italia ne avrebbero enorme bisogno. Per farlo però serve una quantità di investimenti pari alle enormi quantità che in quest’ambito muovono gli Usa o la Cina”. Quanto al progetto complessivo c’è poi un “nodo credibilità. Simbolicamente ci siamo. Ma se non segue niente di concreto? Dove sono le risorse? Il resto della Ue è disposto ad appoggiare il governo italiano? Non possiamo proprio permetterci una figura da opportunisti o superficiali”.

GLI ELOGI DI CLAUDIO DESCALZI AL PIANO MATTEI

Tutto da buttare, allora? Certo che no. Come richiamato ieri da Meloni stessa, Plinio il Vecchio sosteneva che “dall’Africa sorge sempre qualcosa di nuovo”.

Intervenendo ieri sera come ospite di Cinque Minuti su Rai Uno, l’ad di Eni, Claudio Descalzi ha detto che il Piano Mattei “è un approccio di interesse, di andare verso le popolazioni africane con l’obiettivo di sviluppo. Non c’è l’obiettivo di andare a prendere qualcosa ma c’è quello di andare a dare qualcosa e dando a loro riceviamo anche noi”. Descalzi ha spiegato che “noi non abbiamo energia ma abbiamo un grande mercato. Noi abbiamo molto da dare e nel momento in cui cresce l’Africa cresciamo anche noi”.

Per l’ad, sebbene sul gas “la cosa migliore sarebbe esportarlo perché si corrono meno rischi e c’e’ un profitto maggiore”, ma “avendo noi molti investimenti, investendo nei paesi africani ci prendiamo un rischio, partecipiamo alla crescita di un grande continente. Dando energia a chi non ce l’ha ci ha fatto assumere un posizionamento diverso dando valore alla nostra presenza”.

L’OPPOSIZIONE DEGLI AMBIENTALISTI

Non sono, ovviamente, d’accordo con questa visione troppo centrata sui combustibili fossili le organizzazioni ambientaliste. Se ieri i partiti d’opposizione al governo parlavano di piano-scatola vuota (oltre che di piano Eni-Meloni), oggi Wwf, Legambiente, Kyoto Club e Greenpeace hanno detto che “nel Piano Mattei le rinnovabili non sono protagoniste, protagonista è ancora il gas, insieme ai disegni Eni sui biocarburanti. È una visione miope sul futuro energetico del Paese e sul concetto di transizione ecologica. Il suo unico obiettivo pare essere quello di trasformare l’Italia in un hub energetico del gas attraverso una cooperazione che passa dall’Africa e dalle fonti inquinanti, aumentando la dipendenza energetica del Paese. Una scelta insensata e anacronistica che sa di neocolonialismo, come è stato sottolineato anche in una lettera aperta della società civile africana. Inoltre, il Piano rischia seriamente di compromettere gli impegni esistenti per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C e quelli presi nelle due ultime COP sul clima. […] Per questo chiediamo un incontro all’Esecutivo Meloni per confrontarci sul tema e per presentarle il vero piano energetico green e sostenibile che serve al Paese”.

LA PRESENZA DI ENI IN AFRICA E LA RELAZIONE TRA CLAUDIO DESCALZI E GIORGIA MELONI

Insomma, a prescindere dai punti di vista, parlare di Italia in Africa è parlare di Eni, il vero protagonista della nostra politica estera a quelle latitudini. Come spiega oggi a Start Magazine il generale Carlo Jean, “le nostre relazioni sono facilitate dalla presenza di Eni in Paesi come Nigeria, Algeria, Libia, Egitto, Mozambico, ma la stessa cosa vale in un altro quadrante come il Medio Oriente dove abbiano ottimi rapporti con produttori come Iran e Iraq. E non dimentichiamo l’Asia Centrale, il Turkmenistan, il Tagikistan dove l‘opera di Eni è molto apprezzata”.

Ma lo stesso generale ammette che se da un lato quella presentata da Meloni è un’iniziativa apprezzabile, ancor più se beneficerà del supporto europeo, dall’altro bisogna restare coi piedi per terra: “all’Africa interessano in realtà due cose in particolare: soldi, e nel piano Mattei ce ne sono pochini, e soprattutto armi. E all’Africa in questo momento i soldi li sta dando la Cina, e la Russia le armi”. Come ricorda sul Riformista Matteo Giusti nella rubrica del martedì Mama Africa, “il rapporto con il continente africano negli ultimi 20 anni ha visto un lento deterioramento degli storici legami con l’Europa, soprattutto a causa di politiche di vecchio stampo e della mal riposta fiducia su classi dirigenti corrotte e screditate”. Tutto a vantaggio di Mosca, Pechino, Ankara.

Soluzione, allora? Tornare a cooperare con i Paesi, dalla Libia alla Turchia stessa, cercando di recuperare peso politico e quindi influenza strategica.

Pubblicato anche su Policy Maker

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