Per il presidente del prossimo vertice ONU sul clima “il settore energetico deve lavorare come partner con altri settori per aiutare a decarbonizzare intere economie”
Il mondo ha bisogno di una “mentalità imprenditoriale” per affrontare la crisi climatica. È l’opinione del presidente della COP28, Sultan Al Jaber. Al Jaber – che presiederà il prossimo vertice Onu sul clima, in programma negli Emirati Arabi Uniti dal 30 novembre al 12 dicembre – ha affermato di voler utilizzare i colloqui per stabilire come il settore privato può limitare le emissioni di gas serra e offrire alle imprese e ai governi un chiara serie di compiti e obiettivi.
“Abbiamo bisogno di un’importante correzione di rotta e di uno sforzo enorme per riaccendere il progresso. Questo non può essere fatto solo dai governi”, ha detto Al Jaber un’intervista al Guardian. “La portata del problema richiede che tutti lavorino in modo solidale. Abbiamo bisogno di partenariati, non di polarizzazione, e dobbiamo affrontare questo problema con una logica chiara e un piano d’azione eseguibile. La COP28 si impegnerà a proseguire sui progressi compiuti alla COP26 e alla COP27 e a proporre una mentalità aziendale, dei KPI concreti e un programma ambizioso e orientato all’azione”.
L’IMPORTANZA DEL BACKGROUND MANAGERIALE DI AL JABER
Al Jaber, oltre ad essere il ministro dell’Industria degli Emirati Arabi Uniti, è anche l’amministratore delegato di ADNOC, la compagnia petrolifera nazionale del Paese e uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio e gas, oltre che fondatore e CEO della società di energia rinnovabile Masdar.
Ha promesso di trasformare il suo background imprenditoriale in una risorsa per i colloqui, affermando che nessun precedente presidente della COP era venuto con una tale esperienza imprenditoriale e gestionale. Al Jaber ha sottolineato i risultati degli Emirati Arabi nelle energie rinnovabili, negli aiuti allo sviluppo all’estero, nella diversificazione del petrolio in modo che il 75% del suo PIL oggi non sia basato sul petrolio, e ha detto che ciò gli consentirà di motivare altri Paesi produttori di petrolio ad elaborare dei piani simili.
IL RUOLO DEL SETTORE PRIVATO NELLA CRISI CLIMATICA
“Gli Emirati Arabi – ha spiegato – vogliono costruire lo stesso business case per l’azione per il clima alla COP28. Sappiamo che dobbiamo coinvolgere completamente il settore privato e sbloccare i trilioni di dollari necessari. Ciò richiede un piano aziendale che delinei i risultati principali, con KPI concreti; richiede capitali affidabili e sufficienti e un’azione collettiva coordinata”. Il presidente della COP28 vuole che il settore privato svolga un ruolo significativo al vertice, sostenendo che le aziende – incluse quelle del petrolio e del gas – saranno fondamentali per affrontare la crisi climatica. “Il settore energetico deve lavorare come partner con altri settori per aiutare a decarbonizzare intere economie”.
L’IDROGENO E IL CCS
Al Jaber ha parlato anche della necessità di investire in nuove tecnologie, come l’idrogeno e la cattura e stoccaggio del carbonio (CCS), che alcuni attivisti trovano controverse. “Voglio assicurarmi che la COP28 diventi un punto di incontro per le partnership in ogni regione per commercializzare la produzione, il trasporto e l’uso industriale dell’idrogeno”, ha affermato.
Le tecnologie CCS sono state viste da molti scienziati ed esperti del clima come una distrazione sostenuta dall’industria petrolifera per continuare le sue operazioni. Al Jaber non è d’accordo, indicando le recenti scoperte del gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici, che nel suo rapporto del mese scorso ha rilevato che la cattura del carbonio sarà necessaria, in qualche forma, in particolare nel caso di superamento del limite di 1,5°C.
“Dobbiamo espandere anche in modo esponenziale le tecnologie di cattura del carbonio”, ha affermato Al Jaber. “L’IPCC afferma dal 2016 che la CCS è uno strumento essenziale per tenere sotto controllo l’aumento della temperatura, eppure ogni anno vengono catturate solo 44 milioni di tonnellate di carbonio. Dobbiamo moltiplicare questo importo per 30. È un’impresa enorme, che attualmente non è conveniente. C’è bisogno di una regolamentazione e di politiche governative progressiste e intelligenti per incentivare gli investimenti privati su scala industriale”.
REVISIONE DELLA BANCA MONDIALE E DELLE ISTITUZIONI FINANZIARIE
Al Jaber ha chiesto anche la revisione della Banca mondiale e di altre istituzioni finanziarie internazionali, una spinta che potrebbe essere ampiamente sostenuta prima della COP28, poiché molti governi di Paesi sviluppati e in via di sviluppo e gruppi della società civile chiedono a gran voce un cambiamento fondamentale nel modo in cui le istituzioni finanziarie pubbliche trattano con la crisi climatica.
IL FONDO LOSS AND DAMAGE
Alla COP27 dello scorso anno si arrivò ad un accordo sul “loss and damage”, un fondo assicurativo internazionale a compensazione di perdite e danni per risarcire i Paesi più poveri e vulnerabili agli effetti dei cambiamenti climatici. Il fondo loss and damage nasce dal principio che la crisi climatica è stata innescata dall’industrializzazione sfrenata dei Paesi più sviluppati, che ora devono saldare un “debito climatico” che colpisce soprattutto i più deboli.
L’istituzione del loss and damage venne accolta con entusiasmo da politici, dai media e dalla comunità scientifica, se non fosse che il fondo ad oggi ancora non esiste. Le risorse previste potrebbero essere intorno ai 300 miliardi di dollari l’anno, ma restano molte questioni aperte: da chi dovrà pagare di più (e su quali criteri) a se parteciperanno anche le aziende fossili o solo i Paesi, fino allo stabilire se sarà un sistema totalmente a fondo perduto o meno.
La COP28 sarà quindi anche l’occasione per definire il piano d’azione del fondo, a cui lavorerà un “comitato di transizione” composto dai rappresentanti di 10 Paesi sviluppati e 14 Paesi in via di sviluppo. A capo del gruppo di lavoro ci sono Richard Sherman (delegazione ONU del Sudafrica) e Outi Honkatukia (delegazione ONU della Finlandia). Ad affiancarli vi sarà un’unità di supporto tecnico (TSU), composta da dipendenti dell’ONU ed esponenti delle istituzioni finanziarie internazionali e delle banche multilaterali di sviluppo.