L’intesa firmata ieri al Mimit sull’Ilva è un mezzo accordo. La sfida vera si giocherà a settembre, quando arriveranno le offerte vincolanti e si dovrà discutere la localizzazione del DRI e i meccanismi di approvvigionamento energetico
La riunione di ieri al Mimit ha portato alla firma del nuovo accordo per l’Ilva. L’intesa per “decarbonizzare” lo stabilimento di Taranto sottoscritta da governo, amministrazioni locali e commissari, è stato presentato come la svolta che concilia salute, ambiente e lavoro. Tuttavia, rappresenta una dichiarazione di intenti più che un piano programmatico. Infatti, all’appello mancano date vincolanti per lo spegnimento dei forni a carbone e la sostituzione con dispositivi elettrici. Anche il nodo di dove sorgerà il DRI resta aperto. L’insicurezza sull’energia allontanerà i potenziali acquirenti?
COSA DICE E COSA NON DICE L’INTESA PER L’ILVA
La decarbonizzazione è il filo rosso del nuovo accordo per l’Ilva. Un obiettivo che passa dallo spegnimento delle aree a caldo a carbone e sostituzione con forni elettrici ad arco (EAF). Tuttavia, nel testo firmato ieri non ci sono date vincolanti per lo switch né decisioni su dove sorgerà il polo DRI (Direct Reduced Iron), indispensabile ad alimentare gli EAF. Tutto rimandato a dopo il 15 settembre (termine per le offerte vincolanti), quando si terrà una nuova riunione per discutere dei dettagli. Ministro Adolfo Urso ha definito la bozza d’intesa come una “svolta” in grado di incoraggiare gli investitori e celebra la prima volta in cui la “squadra Italia” è unita in questa vicenda pluriennale.
Tuttavia, sembra più un mezzo accordo.
ILVA, ENERGIA TALLONE D’ACHILLE
L’energia è il tallone d’Achille del nuovo accordo sull’Ilva. Nel testo mancano date, informazioni sul sito DRI, su contratti energia e capex vincolati. Se il tavolo di settembre non chiuderà questi buchi, il progetto di decarbonizzazone dell’ex Ilva rischia di naufragare. Il primo nodo riguarda il DRI. La tecnologia richiede idrogeno rinnovabile a prezzi e quantità oggi non disponibili su scala siderurgica in Italia. Se il DRI parte “a gas” per mancanza di idrogeno verde, si crea un vincolo infrastrutturale (contratti, impianti, supply chain) difficile da superare. Già in precedenti discussioni locali erano emersi riferimenti a rigassificatore e persino dissalatore come tasselli energetici/acquedottistici. Opere che spesso incontrano il rifiuto della comunità locali, che aumenta il rischio di spingere su soluzioni fossili ponte, se la roadmap per la decarbonizzazione non è ben studiata. Un piano che dovrebbe prevedere volumi, fonte (elettrolisi vs. import), tempistiche e trigger per passare dal DRI a gas al DRI a idrogeno, con tappe obbligate (quote minime di H₂ nel mix). L’intesa firmata ieri sottolinea che il polo nazionale DRI nascerà solo se è garantito l’approvvigionamento. Tuttavia, rinvia a settembre la scelta sulla localizzazione. Nel corso della prossima riunione dovranno essere definiti fabbisogni di gas/idrogeno, elettricità (MW medi e di picco), acqua, connessioni di rete e tempi di allaccio.
IL NODO DEI FORNI ELETTRICI
Certo è che i forni elettrici avranno bisogno di elettricità abbondante, stabile e competitiva. A settembre il Mimit e gli enti locali dovranno definire il piano elettrico per gli EAF, indicando connessioni, eventuali accumuli, demand response, e copertura a lungo termine. Taranto dovrà assicurarsi una potenza di picco elevata per gli “heats” degli EAF e un profilo di carico compatibile con la rete. Inoltre, si dovranno realizzare nuove connessioni e adeguamenti della rete. Senza dimenticare l’importanza di stabilire prezzi prevedibili attraverso PPA rinnovabili, contratti a lungo termine, o meccanismi di stabilizzazione pubblici per far ripartire l’Ilva senza il sostegno statale. Tutti elementi necessari per far ripartire l’Ilva, ma che non trovano spazio nell’intesa.
ILVA, BASTA INCENTIVI A PIOGGIA
Negli ultimi anni lo Stato ha iniettato miliardi tra prestiti e sostegni, mentre Acciaierie d’Italia è entrata in amministrazione straordinaria nel 2024. Di conseguenza, l’accesso agli incentivi dovrebbe essere vincolato a KPI energetici e ambientali verificabili (MWh/Mt acciaio, tCO₂/Mt, quota rinnovabile). Servirebbe anche maggiore trasparenza sui costi: pubblicare LCOE/PPA target, curva di costo del DRI e stress test con scenari di prezzo elettrico e gas.
COSA FARANNO GLI INVESTITORI?
Dopo la rottura con ArcelorMittal nel 2024 e la crisi finanziaria di ADI, lo Stato ha continuato a sostenere il sito con nuovi stanziamenti fino al 2025; la procedura competitiva in corso punta ad attrarre nuovi soggetti. La “nuova” intesa serve anche a incoraggiare gli investitori, ma questi chiederanno sicurezza energetica prima di impegnare capitali seri.