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Oceani

Ecco come gli oceani rispondono alle crescenti minacce dell’uomo

Uno studio su oltre 200 ondate di caldo marino verificatesi negli oceani intorno al Nord America e in Europa tra il 1993 e il 2019 ha scoperto che la maggior parte di esse non ha avuto effetti significativi sull’abbondanza e sulla diversità delle comunità ittiche che vivono sui fondali

Lo stress delle ondate di caldo marino – che oggi globalmente sono a livelli record – sta rivelando che alcune parti dell’oceano sono particolarmente resilienti, mentre altre sono suscettibili alle pressioni di un mondo in via di riscaldamento.

LE AZIONI DELL’UOMO CHE MINACCIANO GLI OCEANI

Il punto di non ritorno dell’oceano – quando cioè non potrà più sostenere i miliardi di persone che sostiene – è difficile da determinare. La pesca eccessiva, l’inquinamento, le temperature record della superficie marina a livello globale e le ondate di caldo marino sempre più comuni stanno esercitando un’enorme pressione sul più grande ecosistema del mondo. Comprendere come la vita marina può riprendersi – e quando non può farlo – può aiutare a stabilire le priorità e a personalizzare gli sforzi di conservazione.

“Questa è una questione esistenziale sulla sopravvivenza umana sul pianeta. Il nostro rapporto con l’oceano è fragile”, spiega Ben Halpern, ecologo marino dell’Università di Santa Barbara, in California.

I DATI SUL RISCALDAMENTO DEGLI OCEANI

Attualmente, quasi il 50% degli oceani globali soddisfa i criteri per un’ondata di caldo marino, periodi di temperature oceaniche anomale e calde che sono superiori del 90% alle osservazioni precedenti per una data particolare. Si tratta della copertura di ondate di caldo marino più estesa mai registrata in questo periodo dell’anno, risalente al 1991.

Questi eventi possono influenzare profondamente la vita marina, in particolare le barriere coralline tropicali, che hanno un intervallo di temperature ristretto. Quando sono stressate, le barriere coralline espellono le alghe simbiotiche che conferiscono loro i brillanti colori e permettono loro di nutrire delle specie di pesci uniche, portando allo sbiancamento dei coralli. Se esposte a temperature elevate per un lungo periodo, le barriere coralline possono morire.

GLI EFFETTI DELLE ONDATE DI CALDO MARINO

Le ondate di caldo marino possono anche distruggere la pesca costiera, colpendo le economie nazionali. Le ultime previsioni della NOAA prevedono che le ondate di caldo marino rimarranno vicine al livello record fino a febbraio 2024, in parte a causa del crescente fenomeno meteorologico El Niño, unito con il cambiamento climatico a lungo termine.

Le temperature oceaniche più calde dovute alle ondate di caldo possono costringere pesci, balene e altri animali marini a migrare verso acque più fredde. L’impatto dell’aumento delle temperature può essere aggravato dall’acidificazione degli oceani, il calo del pH dell’oceano, poiché l’acqua di mare assorbe la quantità sempre crescente di anidride carbonica rilasciata nell’atmosfera dalle attività umane.

Acque più calde e inquinamento creano anche delle condizioni di basso ossigeno che aumentano il metabolismo degli animali marini, ma diminuiscono la quantità di cibo a loro disposizione, portando a delle massicce morie di pesci. Non è chiaro però se le ondate di caldo marino abbiano un impatto universale sugli ecosistemi.

LA SCOPERTA: LE ONDATE DI CALDO HANNO POCO IMPATTO SUI PESCI

Un nuovo studio su oltre 200 ondate di caldo marino verificatesi negli oceani intorno al Nord America e in Europa tra il 1993 e il 2019 ha scoperto che, nella maggior parte dei casi, non hanno avuto un effetto significativo sull’abbondanza e sulla diversità delle comunità ittiche che vivono sui fondali. Secondo lo studio, questi ecosistemi sostengono alcune delle attività di pesca più grandi del mondo.

“Sono rimasto davvero sorpreso. Ho pensato che sarebbe stato ovvio che, se si verifica una grande ondata di caldo, si avrà un impatto enorme”, afferma Malin Pinsky, biologo marino dell’Università di Santa Cruz (California) e co-autore dell’articolo pubblicato questa settimana sulla rivista Nature. Alcuni eventi importanti hanno causato delle grandi diminuzioni nella quantità di pesci, come il “blob” di acqua calda emerso alla fine del 2013 nel Pacifico settentrionale e che è durato oltre due anni, decimando il merluzzo giallo e altre popolazioni ittiche nel Golfo dell’Alaska. Una nuova ricerca indica che il movimento dei pesci dovuto a quella ondata di caldo persiste.

I RISCHI DEL RISCALDAMENTO DEGLI OCEANI E LE POSSIBILI SOLUZIONI

Inoltre, numerosi altri studi hanno documentato gli effetti drammatici delle ondate di calore marino su diverse specie. Il progetto del nuovo studio “esclude di fatto i letti di alghe e gli ecosistemi tropicali, due importanti ecosistemi su cui gli autori riconoscono che le ondate di caldo marino hanno già avuto un enorme effetto”, spiega il biologo marino Terry Hughes, della James Cook University. “Stiamo tirando a sorte: potrebbe essere una cosa negativo, oppure potrebbe andare bene”, afferma Pinsky.

Quest’ultimo suggerisce anche che un unico modo per gestire le ondate di caldo marino potrebbe non avere successo. “Ognuna è una storia a sé stante e dobbiamo analizzarle individualmente, perché non rileviamo una tendenza generale”, afferma Alexa Fredston, ecologista dell’Università di Santa Cruz e co-autrice del nuovo studio.

Halpern è più fiducioso nell’oceano, che nella terra. Secondo lui “la connessione dell’oceano e la capacità di molte specie di muovervisi liberamente lo rendono molto più resistente”. Anche Pinsky è dello stesso avviso: “da un lato lo studio è una buona notizia, poiché non tutte le ondate di caldo sono un disastro. L’oceano sembra avere una resilienza maggiore di quanto pensassimo; dall’altra parte, però, più il riscaldamento globale proseguirà, più spingeremo gli oceani verso dei punti critici che ancora non conosciamo”.

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