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Come le piattaforme petrolifere abbandonate possono aiutare nella lotta al cambiamento climatico

Oltre alla loro funzione di barriere coralline di riserva, le piattaforme petrolifere abbandonate potrebbero diventare doppiamente vantaggiose per l’ambiente, se venissero adattate per catturare e sequestrare il carbonio dall’atmosfera e dagli oceani
Gli oceani del mondo ospitano decine di migliaia di piattaforme petrolifere offshore abbandonate. Ce ne sono più di 32.000 nelle sole acque degli Stati Uniti, ma anche nel Mare del Nord del Regno Unito sempre più impianti di perforazione vengono smantellati, mentre i giacimenti petroliferi sviluppati invecchiano e i mercati energetici globali e le politiche energetiche si allontanano sempre più dai combustibili fossili. Queste piattaforme abbandonate, se gestite in modo improprio o inadeguato, possono comportare dei gravi rischi ambientali.

La convenzione internazionale Ospar impone che queste piattaforme petrolifere siano rimosse dalle nostre acque in tutto il mondo, ma alcuni scienziati stanno scoprendo che, se adeguatamente smantellate, mantenute e/o adattate, queste piattaforme possono offrire dei notevoli benefici ambientali.

LE PIATTAFORME PETROLIFERE ABBANDONATE E I RISCHI CHE COMPORTANO

Negli Stati Uniti, oltre la metà (circa il 58%) dei 55.000 pozzi gestiti dal Bureau of Ocean Energy Management (BOEM) sono permanentemente o temporaneamente abbandonati. Per fare un esempio, la BOEM gestisce oltre 2.000 contratti di locazione attivi di petrolio e gas su 10,9 milioni di acri della piattaforma continentale esterna del Nord America.

La portata delle infrastrutture abbandonate è direttamente correlata alla portata del rischio posto dagli impianti abbandonati. I pozzi disattivati o mantenuti in modo improprio “hanno maggiori probabilità di perdite o sversamenti di petrolio o gas nell’oceano, il che mette in pericolo la vita e i delicati ambienti marini, minaccia le comunità costiere ed ha un impatto anche sull’economia”, ha riportato Arnold & Itkin, spiegando che “la corrosione, i danni causati dalle tempeste e l’esposizione ambientale possono rendere le piattaforme e i pozzi abbandonati delle bombe a orologeria”.

LA FUORIUSCITA DI PETROLIO DELLA TAYLOR ENERGY

In effetti, la fuoriuscita di petrolio della Taylor Energy – la fuoriuscita di petrolio più lunga di tutta la storia degli Stati Uniti – ebbe origine da un pozzo offshore abbandonato nel Golfo del Messico. La fuoriuscita iniziò nel 2004, quando la piattaforma fu colpita dall’uragano Ivan, e continua ad avere delle perdite ancora oggi. Secondo il Bureau of Safety and Environmental Enforcement (BSEE), se la perdita non verrà contenuta, le riserve sfruttate potranno continuare a fuoriuscire oltre il 2100.

Queste esternalità ambientali negative – scrive Haley Zaremba su Oilprice – non solo potrebbero essere ridotte con una gestione adeguata, ma potrebbero anche essere ribaltate. Già le piattaforme petrolifere abbandonate nel Mare del Nord e nel Golfo del Messico – tra le altre acque di tutto il mondo – stanno fornendo delle barriere coralline sintetiche di grande valore per la vita marina locale. Nel Regno Unito infatti, così come negli Stati Uniti, gli attivisti hanno protestato contro la rimozione di queste piattaforme abbandonate nell’interesse della preservazione dell’ecosistema marino. Nel 2021 Future Planet ha affermato che “per alcune specie le piattaforme sono vivai ancora migliori delle barriere coralline naturali. Gli imponenti piloni sono il terreno di deposizione perfetto per minuscole larve di pesci”.

LA CCS SULLE PIATTAFORME PETROLIFERE

Oltre alla loro funzione di barriere coralline di riserva, le piattaforme petrolifere abbandonate potrebbero diventare doppiamente vantaggiose per l’ambiente, se venissero adattate per catturare e sequestrare il carbonio dall’atmosfera e dagli oceani. “Gli impianti possiedono la capacità di immagazzinare CO2 utilizzando le apparecchiature di bordo precedentemente utilizzate per estrarre petrolio e gas naturale, che, con piccole modifiche, verrebbero azionate al contrario”, ha recentemente riportato The Conversation, citando i risultati scientifici del progetto danese Greensands. E secondo il Massachusetts Institute of Technology (MIT) estrarre il carbonio direttamente dalle acque oceaniche potrebbe essere ancora più efficiente.

Anche se si tratta di una promettente riconversione di impianti abbandonati potenzialmente pericolosi, ci sono alcuni seri inconvenienti nel sequestro del carbonio in un quadro più ampio. Molti esperti sostengono che lo scopo principale della CCS è il greenwashing aziendale, poiché è una pratica che consentirebbe alle aziende di rivendicare il bene ambientale continuando ad estrarre combustibili fossili e ad emettere sempre più emissioni di carbonio, utilizzando come scusa la compensazione del carbonio.

Un dibattito articolato sul riutilizzo degli impianti abbandonati è essenziale per il ridimensionamento e la gestione responsabile di questi elementi che, se gestiti correttamente, eticamente e in modo trasparente, potrebbero fornire una riduzione essenziale del danno ambientale e persino dei benefici.

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