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Come funziona e che ruolo può avere la cattura della CO2 in Italia

Nel nostro Paese il principale progetto in fase di sviluppo è quello di Eni e Snam a Ravenna che, per la fase industriale, ha un obiettivo di catturare 4 milioni di tonnellate di CO2 all’anno a partire dal 2026
La CCS (Carbon Capture and Storage), la cattura, il trasporto e lo stoccaggio della CO2 può essere davvero una valida alleata delle altre tecnologie per supportare la transizione energetica e la decarbonizzazione?  Attualmente, a livello globale, sono presenti circa 40 impianti commerciali di cattura della CO2, che catturano ogni anno 45 milioni di tonnellate di anidride carbonica, che equivalgono allo 0,12% delle emissioni globali legate all’energia nel 2022.

Come ricorda il think tank ECCO, i costi d’investimento variano in base alla tecnologia adottata, e vanno dai 124 ai 317 euro/tonnellata di CO2. I costi operativi salgono fino a 120 euro/tonnellata di CO2, a cui andrebbero aggiunti quelli relativi ai rischi e ai costi di gestione che ricadono sulle future generazioni per la manutenzione e il monitoraggio dei siti.

CCS: GLI OBIETTIVI E I PROGETTI IN ITALIA

Attraverso la CCS, l’Italia prevede di abbattere entro il 2050 tra i 20 e i 40 milioni di tonnellate di CO2. Gli obiettivi sul medio periodo, invece, dovrebbero essere individuati nel PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima) a metà del 2024.

Seguendo le indicazioni dell’AIE e dell’IPCC (il Gruppo Intergovernativo di Esperti sul Cambiamento Climatico), il ruolo della CCS dovrebbe essere limitato alle sole emissioni altrimenti inevitabili, quelle cioè in cui non vi sono delle alternative disponibili, come ad esempio le emissioni derivanti da alcuni processi industriali.

Nel nostro Paese il principale progetto in fase di sviluppo è quello di Eni e Snam a Ravenna che, per la fase industriale, ha un obiettivo di 4 Mton/anno a partire dal 2026, con possibile incremento post-2030 di 16-20 Mton/anno.

LO STUDIO PRESENTATO ALLA COP28

La cattura e lo stoccaggio di carbonio (CCS) “potrebbe rilasciare una bomba da 86 miliardi di tonnellate in più di gas serra nell’atmosfera tra il 2020 e il 2050”, secondo una nuova analisi pubblicata oggi dal think tank Climate Analytics. Il rapporto calcola le emissioni aggiuntive che potrebbero derivare dall’uso continuato di combustibili fossili giustificato dalla scelta della Ccs.

L’IPCC raccomanda dei tassi di cattura del carbonio di circa il 95%. Se invece si arriva solo al 50% e le emissioni di metano venissero a monte ridotte a livelli bassi, si immetterebbero nell’atmosfera 86 miliardi di tonnellate di gas serra, equivalenti a più del doppio delle emissioni globali di CO2 nel 2023. “L’apertura ai combustibili fossili abbattuti (le cui emissioni, cioè, sono ridotte attraverso tecnologie di CCS) rischia di spingere fuori portata il limite di riscaldamento di 1,5 gradi fissato dall’Accordo di Parigi, in particolare considerando l’espansione dei progetti di petrolio e gas attualmente promossi in tutto il mondo”, spiega il rapporto pubblicato, mentre i governi si incontrano oggi al vertice sul clima delle Nazioni Unite a Dubai per discutere della gestione del carbonio.

L’Agenzia Internazionale dell’Energia ha rivisto al ribasso la stima del ruolo della CCS nella transizione energetica, ipotizzando per il 2023 il 38% in meno rispetto al 2021. Secondo Climate Analytics, ciò è dovuto alla diminuzione del costo dell’energia rinnovabile e alle maggiori alternative ai combustibili fossili nell’industria.

IL COMMENTO DEL MINISTRO URSO SULLA CCS

A fine novembre sul tema si era espresso anche il ministro della Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Intervenendo all’evento “Carbon Capture & Storage: una leva strategica per la decarbonizzazione e la competitività dell’Italia”, organizzato da The European House-Ambrosetti in collaborazione con ENI e SNAM, Urso aveva spiegando che “la CCS è l’unica a coniugare maturità, sicurezza e accessibilità economica, è la sola opzione praticabile per abbattere le emissioni di processo nei settori hard to abate, che in Italia generano 94 miliardi di euro di valore aggiunto, 1,25 milioni di posti di lavoro ed emettono 63,7 milioni di tonnellate di CO2”.

LA POSIZIONE DI ARERA, ENEA E GSE

Allo stesso evento, il presidente di Arera, Stefano Besseghini, aveva detto che la CCS “è un tema ricorrente, ma la cosa interessante è che oggi i numeri sembrano tornare e ci mostrano che ci sono ottime prospettive nel settore”, per poi aggiungere che “bisogna andare dai produttori e supportarli in una tecnologia che non è così facilmente realizzabile” e di essere molto interessato a “vedere come evolverà il settore, che darà un contribuito nel parco delle tecnologie da mettere in campo nella grande partita della decarbonizzazione”.

Secondo il presidente di Enea, Gilberto Dialuce, “sugli obiettivi al 2050, se superiamo l’80% di penetrazione di rinnovabili nel mix energetico, tutti i modelli internazionali ci mostrano che avremo bisogno di una quota parte di energia programmabile, e questo si può fare utilizzando centrali a gas con la CCS”. Dialuce aveva sottolineato poi che “dal punto di vista tecnologico bisogna fare ancora ricerca sulla cattura, che è l’ambito più costoso”.

Infine, sempre all’evento organizzato da Snam ed Eni, il presidente del GSE, Paolo Arrigoni, aveva ricordato che “nei giorni scorsi la Commissione europea ha rilasciato l’elenco dei PIC e, su 166 progetti, 14 riguardano la CCS. Tra questi c’è il progetto Callisto, che vede Eni e  Snam protagonisti”. Arrigoni aveva anche aggiunto che il GSE “potrebbe avere un ruolo nel sostenere la tecnologia CCS e per gestire lo stoccaggio”.

IL PROGETTO CCS DI ENI E SNAM A RAVENNA

Il progetto CCS integrato Callisto (CArbon LIquefaction transportation and STOrage) Mediterranean CO2 Network, proposto da Eni e Snam con la collaborazione di Air Liquide – che fa perno sul polo di stoccaggio CO2 di Ravenna CCS – è stato selezionato dalla Commissione Europea per entrare a far parte della lista dei Progetti di Interesse Comune (PCI).

Nel dettaglio, si legge sul sito di Eni, “Callisto ha l’obiettivo di sviluppare una catena del valore della CCS nell’Europa sud-occidentale, focalizzandosi sulla decarbonizzazione delle aree industriali italiane, a partire da quella di Ravenna e Ferrara e dell’Hub di Fos-Marseille, in Francia. Il progetto ha come referenti in Italia Eni e Snam e Air Liquide per il cluster industriale di Fos-Marseille in Francia. L’iniziativa è inoltre promossa da altre 16 aziende operanti nei cluster industriali interessati”.

Il progetto, “facendo leva sulla grande capacità totale di stoccaggio dell’hub di CCS di Ravenna, stimata in oltre 500 milioni di tonnellate, mira a sviluppare il più grande network nel Mediterraneo per la cattura, il trasporto e lo stoccaggio di CO2, offrendo una soluzione di decarbonizzazione per le industrie hard to abate, proponendosi come riferimento per il Sud Europa”.

L’avvio della Fase 1 del progetto CCS Ravenna è previsto per l’inizio del 2024 con l’iniezione ai fini dello stoccaggio permanente di 25.000 tonnellate all’anno di CO2, catturate dalla centrale a gas di Casal Borsetti di Eni. Lo sviluppo industriale della Fase 2, il cui avvio è previsto entro il 2026, permetterà di raggiungere, al 2030, una capacità di stoccaggio di 4 Mton/anno, ma “ulteriori espansioni potranno portare i volumi fino a 16 Mton/anno”. Il progetto Ravenna CCS, conclude la nota di Eni, “favorirà la creazione di una filiera nazionale ad alto contenuto tecnologico nel settore della decarbonizzazione, valorizzando le competenze e capacità realizzative locali e più in generale del Paese”.

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