Vi sono 5 condotte che non sono solo asset energetici per il trasporto di petrolio e gas, ma punti di pressione strategici il cui destino potrebbe contribuire a determinare i prezzi, le alleanze e i rischi di domani
Nell’attuale panorama energetico ad alto rischio, gli oleodotti e i gasdotti sono più che semplici condotti: sono dei veri e propri “cavi d’inciampo” geopolitici. Queste linee vitali in acciaio – scrive Tom Kool su Oilprice – trasportano gli idrocarburi che alimentano le economie globali e molte attraversano le regioni politicamente più instabili del pianeta. Con il restringimento dei mercati energetici e l’inasprimento delle rivalità globali, la vulnerabilità di queste rotte le trasforma in punti critici strategici.
Queste 5 condotte – che costituiscono la prima linea dell’attuale geopolitica energetica – non sono solo asset energetici, sono punti di pressione strategici il cui destino potrebbe contribuire a determinare i prezzi, le alleanze e i rischi di domani.
#1 CASPIAN PIPELINE CONSORTIUM (CPC)
Pochi oleodotti hanno un peso geopolitico così pesante come il Caspian Pipeline Consortium (CPC). Trasportando fino a 1,3 milioni di barili di greggio kazako al giorno dal giacimento di Tengiz al porto russo di Novorossiysk, sul Mar Nero, il CPC rappresenta la maggior parte delle esportazioni del Kazakistan. Non si tratta solo di volume: l’oleodotto attraversa il territorio russo, ponendolo sotto l’influenza indiretta del mutevole orientamento politico di Mosca verso l’Occidente. Qualsiasi attrito, dalle conseguenze delle sanzioni ai conflitti marittimi, potrebbe interromperne l’attività.
Nel 2022, problemi meteorologici e tecnici hanno ridotto i flussi dell’oleodotto, causando un breve ma brusco aumento dei prezzi. Una futura perturbazione politica sarebbe ancora più drammatica. Per i mercati già in bilico su stretti margini di domanda e offerta, una chiusura del CPC sarebbe un duro colpo. Questa perturbazione ha contribuito ad un’impennata dei prezzi del Brent di oltre il 5%, raggiungendo circa 121,60 dollari al barile. L’impennata dei prezzi si è verificata in un breve periodo, riflettendo le preoccupazioni del mercato per la perdita di una rotta di approvvigionamento critica che gestisce circa 1,2 milioni di barili al giorno, pari a circa l’1,2% della domanda globale di petrolio.
L’UTILIZZO GEOPOLITICO DELL’OLEODOTTO DA PARTE DELLA RUSSIA
A maggio 2025, si prevedeva un calo significativo delle esportazioni del CPC, passando da 5,3 milioni di tonnellate ad aprile a 4,5 milioni, a causa dei limiti di manutenzione e di capacità del porto di Novorossiysk. A complicare ulteriormente la situazione, un tribunale russo ha recentemente stabilito di mantenere operativa l’infrastruttura di esportazione del CPC, nonostante le controversie sui permessi ambientali, suggerendo che Mosca continui ad utilizzare l’oleodotto come leva geopolitica. La sentenza ha impedito una possibile chiusura, che avrebbe potuto ridurre le consegne di centinaia di migliaia di barili al giorno.
Mentre i flussi continuano, questi episodi hanno evidenziato la fragilità della rotta del CPC. Con la Russia che afferma un maggiore controllo normativo e la crescente dipendenza del Kazakistan, qualsiasi grave interruzione priverebbe i mercati globali di un’importante fonte di greggio leggero, innescando un’immediata volatilità dei prezzi.
#2 L’OLEODOTTO DRUZHBA
L’oleodotto Druzhba (detto anche “Oleodotto dell’Amicizia”) è il più grande e lungo d’Europa, e un tempo simboleggiava la cooperazione del dopoguerra. Oggi è un punto critico geopolitico: con una lunghezza di oltre 4.000 chilometri, Druzhba trasporta il greggio russo Urals all’Europa centrale e orientale, tra cui Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca.
Prima dell’invasione russa dell’Ucraina, l’oleodotto trasportava oltre 1 milione di barili al giorno. Da allora i flussi sono diminuiti, ma diversi Paesi europei senza sbocco sul mare continuano a dipendere. L’oleodotto Druzhba, un tempo pilastro delle esportazioni di petrolio russo verso l’Europa, ha subito un calo significativo della portata dall’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina nel 2022. Prima della guerra trasportava circa 800.000 barili al giorno di greggio. All’inizio del 2025 il volume è sceso a poco meno di 280.000 barili al giorno, con una riduzione di oltre il 65%, secondo Energy Intel.
Questa sostanziale diminuzione è attribuibile a una combinazione di fattori, tra cui le sanzioni dell’Unione europea, gli sforzi di diversificazione dei Paesi membri e le tensioni geopolitiche. Paesi come Germania e Polonia hanno cessato le importazioni tramite l’oleodotto Druzhba, mentre altri, come la Repubblica Ceca, hanno investito in infrastrutture alternative come l’oleodotto Transalpino (TAL) per ridurre la dipendenza dal petrolio russo. Nonostante queste riduzioni, alcuni Paesi senza sbocco sul mare, in particolare Ungheria e Slovacchia, continuano a dipendere dall’oleodotto Druzhba a causa dell’accesso limitato a rotte di approvvigionamento alternative.
LA RILEVANZA GEOPOLITICA DELL’OLEODOTTO DRUZHBA
Geopoliticamente, Druzhba è un simbolo di influenza energetica. L’Ucraina controlla una sezione chiave dell’oleodotto e ha utilizzato le tariffe di transito per fare pressione su Mosca. All’inizio del 2023 e di nuovo alla fine del 2024, i flussi di petrolio attraverso il ramo meridionale sono stati interrotti a causa del mancato pagamento delle tasse di transito e di danni presumibilmente legati a sabotaggi e instabilità legati alla guerra. Il ramo settentrionale verso Polonia e Germania nel 2022 è stato in gran parte bloccato, poiché entrambi i Paesi si sono allontanati dal petrolio russo.
Le sanzioni statunitensi hanno aggiunto un ulteriore livello di complessità. Le recenti misure volte a colpire gli intermediari finanziari che facilitano le esportazioni di energia russa potrebbero limitare i meccanismi di pagamento per le spedizioni tramite oleodotto. Sebbene l’Ue abbia concesso alcune esenzioni per mantenere le forniture a Ungheria e Slovacchia, l’inasprimento dei controlli da parte di Washington alla fine potrebbe costringere l’Europa ad eliminare gradualmente Druzhba.
Tecnicamente, l’oleodotto resta funzionante, ma sta diventando sempre più fragile. I funzionari ucraini hanno avvertito che i continui attacchi russi in prossimità di infrastrutture critiche, uniti all’obsoleta infrastruttura di epoca sovietica, aumentano il rischio di interruzioni prolungate. Se Druzhba venisse completamente chiuso, Paesi come l’Ungheria sarebbero costretti ad assicurarsi forniture alternative tramite l’oleodotto Adria dalla Croazia, che non ha una capacità sufficiente per una transizione fluida. Le conseguenze sarebbero costi di trasporto più elevati, interruzione delle operazioni di raffinazione e rinnovate tensioni politiche all’interno dell’Unione europea.
#3 I GASDOTTI NORD STREAM 1 E NORD STREAM 2
Sebbene offline dal sabotaggio del 2022, il gasdotto Nord Stream 1 getta ancora una lunga ombra sulla politica energetica europea. Prima della sua brusca interruzione, forniva 55 miliardi di metri cubi di gas russo all’anno alla Germania, diventando così un’arteria centrale dell’infrastruttura energetica del continente. La sua chiusura ha catalizzato una trasformazione nella strategia energetica europea, stimolando un’impennata nella costruzione di terminali GNL e una ricalibrazione della dipendenza energetica dall’estero. Se Russia o Germania avessero anche solo avviato trattative per la riattivazione, i prezzi del gas sarebbero aumentati vertiginosamente. Il gasdotto, sebbene inattivo, resta il fulcro dell’ansia energetica europea.
Nel 2025 la Russia ha ufficialmente confermato l’interruzione permanente di tutti i flussi di gas attraverso il gasdotto, chiudendo il capitolo su uno dei corridoi energetici più importanti al mondo. Ciononostante, il dibattito sul suo futuro resta controverso.
LA POSIZIONE DI GERMANIA E FRANCIA
Il ministro dell’Economia tedesco di recente ha promesso di opporsi a qualsiasi tentativo di rilancio, definendo il gasdotto una passività strategica. Al contrario, personalità del settore come Patrick Pouyanné, CEO di TotalEnergies, hanno suggerito che un ritorno del gas Nord Stream “non può essere escluso”, riflettendo le persistenti divisioni all’interno dell’establishment energetico europeo.
Anche il Nord Stream 2 – il gasdotto gemello completato, ma mai operativo a causa di blocchi normativi e dell’invasione russa dell’Ucraina – è diventato un simbolo geopolitico. Sebbene fisicamente intatto, resta inattivo, senza piani ufficiali di attivazione. Ciononostante, qualsiasi menzione del Nord Stream 2 negli ambienti diplomatici tende a scatenare reazioni immediate nei mercati energetici.
Questi gasdotti permangono geopoliticamente potenti: qualsiasi segnale di una possibile riattivazione o di rinnovate minacce di sabotaggio probabilmente farebbe crollare i prezzi del gas in Europa. Anche se dormienti, il Nord Stream 1 e il Nord Stream 2 fungono da barometri delle tensioni energetiche tra Ue e Russia e da simboli duraturi della vulnerabilità e della transizione dell’Europa.
#4 L’OLEODOTTO DI ESPORTAZIONE NIGER-BENIN
L’oleodotto di esportazione Niger-Benin è un nuovo corridoio ad alto rischio che mira a trasportare fino a 90.000 barili di petrolio al giorno dal bacino di Agadem, in Niger, al porto atlantico di Sèmè, in Benin. Fortemente sostenuto dalla cinese CNPC, l’oleodotto di 2.000 chilometri è fondamentale per le ambizioni del Niger di diventare un importante esportatore di petrolio dell’Africa occidentale.
Le difficoltà politiche e di sicurezza minacciano però la stabilità del progetto. Poche settimane dopo la sua inaugurazione, l’oleodotto è stato attaccato da gruppi armati che si oppongono alla giunta militare nigerina, sollevando allarmi sul suo futuro operativo. L’oleodotto attraversa regioni afflitte da violenze jihadiste e conflitti interetnici, rendendolo estremamente vulnerabile.
I RAPPORTI TRA NIGER E CINA
A complicare ulteriormente la situazione c’è il drastico raffreddamento dei rapporti diplomatici tra Niger e Cina. Nell’aprile scorso il Niger ha bruscamente interrotto i rapporti con Pechino, accusandola di pratiche di sfruttamento. I critici sostengono che il predominio della CNPC nei settori petroliferi upstream e midstream del Niger abbia lasciato al Paese africano un controllo economico limitato sulle proprie risorse. Questa frattura solleva interrogativi su chi in ultima analisi trarrà beneficio dai ricavi dell’oleodotto e se la morsa di Pechino si allenterà o si rafforzerà.
Secondo gli analisti qualsiasi interruzione prolungata avrebbe effetti limitati sul mercato globale a causa dei modesti volumi coinvolti. Tuttavia, per l’economia del Niger – dove il petrolio rappresenta una via cruciale per l’indipendenza econcomica – le conseguenze sarebbero profonde. Inoltre, un eventuale fallimento del progetto rappresenterebbe un’ulteriore battuta d’arresto geopolitica per le ambizioni cinesi della Belt and Road in Africa.
#5 IL GASDOTTO EASTMED
Sebbene non ancora realizzato, il gasdotto EastMed è riemerso come una delle proposte infrastrutturali energetiche di maggiore impatto geopolitico al mondo. Il gasdotto collegherebbe i giacimenti di gas offshore di Israele e Cipro con la Grecia e potenzialmente con il più ampio mercato europeo, offrendo un’alternativa al gas russo e rafforzando l’integrazione energetica nel Mediterraneo.
Originariamente accantonato a causa dei costi e della complessità regionale, il rilancio dell’EastMed nel 2025 è guidato da una convergenza di interessi strategici: un disegno di legge bipartisan statunitense presentato quest’anno mira ad integrare il gasdotto nel Corridoio Economico India-Medio Oriente-Europa (IMEC), a dimostrazione di un forte sostegno transatlantico.
Allo stesso tempo, l’allentamento delle sanzioni contro la Siria da parte di Regno Unito e Stati Uniti a sostegno dello sviluppo del Mediterraneo orientale sottolinea la più ampia svolta dell’Occidente verso questa rotta come contrappeso geopolitico sia alla Russia che alla Cina.
I PROBLEMI CHE OSTACOLANO LA REALIZZAZIONE DEL GASDOTTO
Tuttavia, il progetto resta impantanato in controversie territoriali e diplomatiche irrisolte. La Turchia continua a opporsi al gasdotto, sostenendo che aggiri la sua giurisdizione marittima e minacci gli interessi turco-ciprioti. La presenza militare di Ankara a Cipro del Nord e i suoi crescenti legami con la Libia aggravano la tensione. Cipro, in quanto hub geografico, oggi è diventata un punto critico geopolitico, con attori provenienti da Ue, Stati Uniti e Regno Unito che intervengono.
Se realizzato, l’EastMed potrebbe trasportare fino a 10 miliardi di metri cubi all’anno, rimodellando significativamente i flussi di gas verso l’Europa meridionale. Il suo completamento ridurrebbe la leva energetica russa, rafforzerebbe i legami tra Israele e l’Europa e potenzialmente altererebbe le dinamiche navali nel Mediterraneo orientale. D’altra parte, i ritardi o l’escalation del conflitto potrebbero destabilizzare ulteriormente la regione e rendere l’Europa meridionale vulnerabile dal punto di vista energetico.