Il provvedimento definitivo è composto da 15 articoli e, tra le modifiche introdotte, quella più importante riguarda i tre regimi amministrativi, con conseguente eliminazione della comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA)
Il Testo Unico Rinnovabili (in seguito anche “TU FER”) avrebbe inteso introdurre un quadro normativo coordinato in relazione alle fonti di produzione di energia rinnovabile, così da favorire una semplificazione delle procedure amministrative per la costruzione e l’esercizio degli impianti. Tuttavia, al di là degli intenti, il Testo Unico presenta alcune gravi criticità.
Rispetto alla versione approvata in via preliminare, che aveva già fatto molto discutere, il testo finale ha subito alcune modifiche. Il provvedimento definitivo è composto da 15 articoli e, tra le modifiche introdotte, quella più importante riguarda i tre regimi amministrativi, con conseguente eliminazione della comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA).
IL TU FER NASCE PER RECEPIRE LA DIRETTIVA RED II
Il TU FER – scrive sulla rivista “Il Pianeta Terra” l’avvocato Massimo Ragazzo dello Studio Gerosa, Sollima e Associati – si inserisce in un quadro normativo complesso e stratificato che, prendendo le mosse dal d.l.vo n. 387/2003, è poi passato attraverso il d.l.vo n. 28/2011 e il d.l.vo n. 199/2021, adottato per recepire la Direttiva UE 2018/2001 (RED II). Va detto che il testo definitivamente licenziato non ha emendato del tutto alcuni “vizi” segnalati dal Consiglio di Stato, il quale aveva infatti lamentato, nel parere reso dalla Sezione Atti Normativi, n. 1216/2024, una tecnica “lacunosa” e “antitetica” rispetto all’obiettivo di semplificazione.
In particolare, il Consiglio di Stato aveva stigmatizzato la prassi di redazione postuma dell’Analisi tecnico-normativa (ATN) e dell’Analisi di impatto della regolamentazione (AIR) rispetto all’esame preliminare del Consiglio dei Ministri e alla trasmissione dello schema al Consiglio di Stato (dal punto di vista procedurale “una tale prassi – scrive il Consiglio di Stato – è foriera di “inspiegabili difformità di contenuti dei documenti”. Inoltre, “si constatano rilevanti scostamenti” rispetto a quanto previsto dal comma 7 della legge delega n. 118/2022, “atti a compromettere la conformità dell’iniziativa normativa al modello legale”.
RINNOVABILI: IL TU FER È INCOSTITUZIONALE?
In sostanza, lo schema di decreto redatto dal governo non perseguirebbe l’incarico dato dal Parlamento, con conseguenti profili di illegittimità costituzionale per eccesso di delega, ex art. 76 Cost. Dubbi che non si sono dissolti neppure con la pubblicazione del testo definitivo del decreto. Il CdS evidenziava anche “l’insufficienza di quanto comunicato ai fini della dimostrazione dell’effettività dell’esercizio del potere di proposta da parte di tutti i soggetti istituzionali” chiamati in causa. Le dichiarazioni utilizzate nel testo “costituiscono asserzioni formali che, sotto il profilo sostanziale, non rendono in alcun modo percepibile il contributo delle amministrazioni ai contenuti dello schema di decreto”.
Anche sotto questo profilo, il TU FER risulterebbe difforme rispetto alla volontà del legislatore delegante – il Parlamento – che ha richiesto il coinvolgimento di più soggetti istituzionali e non di un solo ministro. Il Decreto si compone di 15 articoli, suddivisi in quattro sezioni principali: principi generali e ambito di applicazione (artt. 1-3); regimi amministrativi (artt. 4-10), che includono l’introduzione della piattaforma SUER (Sportello Unico per le Energie Rinnovabili); sanzioni e misure transitorie (artt. 11-13); disposizioni finali e abrogazioni (artt. 14-15).
IL PRINCIPIO DI “INTERESSE PUBBLICO PREVALENTE”
Significativa e assai rilevante la riproduzione in seno all’art. 3 del principio di “interesse pubblico prevalente”. Invero, in sede di ponderazione degli interessi, nei singoli casi e salvo giudizio negativo di compatibilità ambientale o prove evidenti che tali progetti abbiano effetti negativi significativi sull’ambiente, sulla tutela della biodiversità, sul paesaggio, sul patrimonio culturale e sul settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, anche tenendo conto di quanto previsto ai sensi dell’art. 20 del d.l.vo 8 novembre 2021, n. 199, gli interventi di cui all’art. 1, comma 1, sono considerati di interesse pubblico prevalente ai sensi dell’articolo 16-septies della direttiva (UE)2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018.Dunque, come detto, i regimi amministrativi per l’installazione degli impianti sono i seguenti tre: Attività Libera, Procedura Abilitativa Semplificata (PAS) e Autorizzazione Unica. Ovviamente, per ragioni di sintesi, non si può che far rinvio agli allegati corrispondenti.
IL REGIME DI ATTIVITÀ LIBERA
Il regime di Attività Libera, disciplinato dall’art. 7 del TU FER, rappresenta la procedura amministrativa più semplificata e meno onerosa, consentendo l’esecuzione di interventi senza la necessità di presentare “alcuna comunicazione, certificazione, segnalazione o dichiarazione alle amministrazioni pubbliche [fermo restando quanto previsto dall’articolo 1, comma 1, secondo periodo e ai commi 2, 3, 4 e 6]”. Tra gli interventi che possono rientrare in Attività Libera figurano (allegato A):- impianti fotovoltaici integrati su edifici esistenti, con potenza fino a 12 MW, a condizione che non alterino significativamente la destinazione d’uso dell’immobile; – impianti agrivoltaici sotto i 5 MW, a condizione che garantiscano la continuità dell’attività agricola e pastorale; – turbine eoliche di piccole dimensioni, come quelle con altezza complessiva inferiore a 5 metri e potenza fino a 20 kW.
Tuttavia, il regime non si applica in presenza di vincoli specifici, quali quelli paesaggistici o culturali. In questi casi, l’intervento è soggetto al rilascio di un parere obbligatorio, che deve essere espresso entro il termine di 30 giorni.
I SUOLI NON ANTROPIZZATI
Un’ulteriore innovazione riguarda gli interventi su suoli non antropizzati. Sebbene non tutti possano rientrare nel regime di Attività Libera, per quelli ammissibili è previsto l’obbligo per il proponente di fornire una garanzia finanziaria, sotto forma di fideiussione bancaria o assicurativa, a copertura delle spese necessarie al ripristino del suolo al termine della vita utile dell’impianto. Proprio l’introduzione di nuove garanzie finanziarie per il ripristino dei luoghi potrebbe rappresentare un ulteriore costo a carico degli operatori, specialmente per i progetti di piccole dimensioni.
LA PROCEDURA AMMINISTRATIVA SEMPLIFICATA (PAS)
La Procedura Amministrativa Semplificata (PAS) è applicabile, invece, a interventi di media grandezza. La PAS prevede una serie di nuovi obblighi documentali, attestanti la disponibilità delle superfici per l’installazione dell’impianto, la compatibilità degli interventi con gli strumenti urbanistici approvati e i regolamenti edilizi vigenti e la non contrarietà agli strumenti urbanistici adottati; la relazione relativa ai criteri progettuali, che dimostri l’osservanza dei criteri di minimizzazione dell’impatto ambientale e paesaggistico e, infine, la polizza fideiussoria, obbligatoria per garantire il ripristino dei luoghi al termine della vita utile dell’impianto. Rispetto alla PAS, l’innovazione più importante introdotta dal Testo Unico è il meccanismo del “silenzio-assenso”, che sostituisce il precedente regime di “silenzio-inadempimento”.
GLI INTERVENTI CHE RIENTRANO NELL’AUTORIZZAZIONE UNICA
Per quanto concerne gli interventi rientranti nell’Autorizzazione Unica, tale categoria è riservata a interventi di maggiore complessità tecnica o impatto ambientale o territoriale. Tale regime prevede che la richiesta venga presentata alla Regione competente per impianti sotto i 300 MW; per impianti che invece superano questa soglia la richiesta va presentata al Ministero dell’Ambiente, che è comunque l’unico ente competente, invece, per gli impianti offshore. Il procedimento prevede l’indizione di una conferenza di servizi, che deve concludersi entro un termine massimo di 420 giorni per i progetti più complessi, comprensivi di VIA e verifica di assoggettabilità. Per interventi non sottoposti a valutazione ambientale, il termine si riduce a 175 giorni. Le diverse tipologie di interventi assoggettate ai tre diversi regimi dianzi indicati sono specificamente elencate agli allegati al TU FER, sub lett. A), B) e, rispettivamente, C). Tra le modifiche introdotte, su richiesta delle Regioni, figura la possibilità per le Regioni stesse di continuare a fare ricorso al procedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR) per i progetti sottoposti a VIA di competenza regionale.
LE “ZONE DI ACCELERAZIONE”
Un elemento di forte innovazione introdotto dal Testo Unico FER è rappresentato dalle zone di accelerazione, pensate per velocizzare e semplificare i processi autorizzativi per gli impianti FER (art. 12). Queste aree, che verranno individuate dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE) entro il 21 maggio 2025, sono destinate prioritariamente a superfici già antropizzate o, comunque, adatte allo sviluppo di impianti rinnovabili. Tra le aree candidate figurano siti industriali dismessi, parcheggi, superfici edificate, siti di smaltimento rifiuti e terreni degradati non utilizzabili per attività agricole. Entro il 21 febbraio 2026 le Regioni saranno chiamate ad adottare piani specifici per la definizione delle zone di accelerazione, sottoponendoli a Valutazione Ambientale Strategica (VAS).
Dal punto di vista procedurale, le zone di accelerazione promettono una significativa riduzione dei tempi per gli iter autorizzativi. Per i progetti sottoposti a PAS o Attività Libera, eventuali vincoli paesaggistici richiederanno solo un parere obbligatorio, ma non vincolante da parte dell’autorità competente. Per i progetti soggetti ad Autorizzazione Unica (AU), invece, le tempistiche saranno ulteriormente abbreviate rispetto agli standard normativi, assicurando una maggiore rapidità nell’approvazione.
IL RISCHIO DI DISPARITÀ DI APPLICAZIONE TRA LE DIVERSE REGIONI
Tuttavia, questa innovazione non è priva di criticità. La mancata integrazione delle zone di accelerazione con il Decreto “Aree Idonee” 21 giugno 2024 e l’assenza di criteri uniformi a livello nazionale rischiano di generare disparità di applicazione tra le diverse Regioni. Entro il 2025 verrà creato uno sportello unico digitale utile a centralizzare le procedure amministrative. Il sistema sanzionatorio delineato nel TU FER, regolato dall’art. 11, risponde alla finalità di garantire la conformità normativa e promuovere una gestione responsabile degli impianti da fonti rinnovabili. Si tratta di intenti lodevoli, ma è necessario che trovino attuazione senza tradursi in un ulteriore peso per gli operatori.
Da sottolineare, infine, che – come peraltro già disposto dall’art. 12 del decreto n. 387 del 2003 – gli effetti delle nuove dichiarazioni o delle verifiche di cui agli articoli 12, 13 e 140 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, non si applicano agli interventi di cui al decreto che, prima dell’avvio del procedimento di dichiarazione o verifica: a) siano abilitati o autorizzati ai sensi degli articoli 7, 8 e 9;b) abbiano ottenuto, nei casi di cui all’articolo 9, comma 14, il provvedimento favorevole di valutazione ambientale (cfr. art. 14).
RINNOVABILI: I PUNTI DI DEBOLEZZA DEL TU FER
Come accennato, il TU FER non è esente da critiche e presenta punti di debolezza che sollevano interrogativi circa la sua capacità di tradurre le finalità dichiarate in risultati concreti ed efficaci. Tra le principali perplessità evidenziate vi è il rischio che alcune delle innovazioni introdotte possano generare nuovi ostacoli burocratici. Ad esempio, la generalizzazione dell’obbligo di ottenere un titolo edilizio (per le opere edilizie costituenti opere connesse o infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti) – anche per interventi che dovrebbero rientrare nell’ambito dell’edilizia libera – appare come la disposizione più problematica.
Invero, il TU FER ha previsto l’introduzione, per tutti i regimi amministrativi, del titolo edilizio ai fini della costruzione degli impianti. Più precisamente, tutte le disposizioni relative ai diversi regimi abilitativi previsti dal Testo Unico (attività libera, procedura abilitativa semplificata e autorizzazione unica: articoli 7, 8 e 9, rispettivamente) prevedono, allo stesso modo, che la realizzazione degli interventi indicati negli allegati corrispondenti ai suindicati articoli (allegati A, B e C) sia subordinata “all’acquisizione del titolo edilizio necessario alla realizzazione delle costruzioni e delle opere edilizie costituenti opere connesse o infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti”. E ciò, con l’introduzione di un identico inciso, inserito al primo comma dei citati articoli 7, 8 e 9: “(…) fermo restando quanto previsto dall’articolo 1, comma 1, secondo e terzo periodo (…)”.
Le citate disposizioni, che figurano nel testo del decreto legislativo, parrebbero contrastare con le disposizioni degli allegati corrispondenti (A-B-C, in relazione alle disposizioni 7, 8 e 9 del TU, dove si afferma che “sono soggetti al regime di attività libera (…) ovvero al regime di PAS (…), o a quello dell’autorizzazione unica (…) anche (…) le opere connesse”. Ma resta pur sempre fermo quanto previsto dai menzionati articoli del TU FER, che prefigurano la necessità di richiedere ai competenti uffici dell’ente comunale il rilascio del titolo edilizio per le costruzioni e le opere costituenti opere connesse o infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti. Tali disposizioni delineano un aggravio per gli operatori, ma anche per gli stessi Comuni, che sino ad ora non si erano mai trovati a gestire direttamente procedimenti intesi alla realizzazione degli impianti finalizzati alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, se non con riferimento alla P.A.S. e solo attraverso l’esercizio di poteri di verifica e di controllo ex post, e con la formazione del silenzio-assenso in un termine di 60 giorni. Figuriamoci ora come potranno essere in grado di attrezzarsi per tali opere, in relazione ad interventi necessitanti financo dell’attualizzazione unica…
L’OBBLIGO DI OTTENERE UN TITOLO EDILIZIO
Più in particolare, l’introduzione dell’obbligo di ottenere un titolo edilizio (ripetiamo: per le opere edilizie costituenti opere connesse o infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti), anche per interventi che dovrebbero rientrare nell’ambito dell’edilizia libera, appare poi del tutto paradossale; rectius: irragionevole e in contrasto con gli obiettivi di semplificazione amministrativa, oltre che con la stessa qualificazione di un’attività come “libera”, e che dovrebbe infatti consentire l’esecuzione di interventi senza la necessità di presentare “alcuna comunicazione, certificazione, segnalazione o dichiarazione alle amministrazioni pubbliche”, come recita l’art. 7 in questione; ma, purtroppo, non senza la necessità (a questo punto) di chiedere e ottenere il titolo abilitativo di natura edilizia per le opere connesse o comunque indispensabili per la costruzione e l’esercizio di degli impianti in questione.
Un altro elemento di criticità riguarda le zone di accelerazione, che pure rappresentano un’innovazione di notevole potenziale. Sebbene concepite per velocizzare i procedimenti autorizzativi, la loro efficacia dipenderà dalla capacità delle Regioni di adottare piani adeguati entro i termini stabiliti e dalla coerenza di tali piani con le disposizioni nazionali e locali già in vigore. L’assenza di criteri uniformi a livello nazionale per la definizione delle aree idonee potrebbe portare a disparità applicative tra territori, compromettendo la finalità di omogeneità del quadro normativo.
Infine, altra grave criticità è costituita dal fatto che il TU FER non si spinge molto al di là di un’attività meramente compilativa e non effettivamente semplificativa. Un esempio è costituito dalle (presunte) misure di coordinamento con la disciplina in materia di valutazioni ambientali, nelle quali vengono introdotte previsioni, distinguendo tra competenze statali e regionali, che assoggettano gli impianti fotovoltaici a valutazione di impatto ambientale, ovvero a verifica di assoggettabilità a V.I.A., sulla base di tipologie impiantistiche e soglie di potenza tra le più disparate (0 MW, 10 MW, 12 MW, 15 MW, 25 MW, 30 MW), senza alcun tentativo (visibile) di dare senso, uniformità e coordinamento con i procedimenti abilitativi applicabili e senza coordinare fra loro le diverse soglie e le diverse competenze nazionali e regionali, che si riferiscono spesso a fattispecie fra loro sovrapponibili.
Non sembra inoltre che sia stata effettuata una adeguata riflessione sulla ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni. In particolare, le valutazioni ambientali sono affidate allo Stato al di sopra di determinate soglie di potenza, ma spetta sempre alle Regioni il rilascio dell’autorizzazione, salvo per impianti offshore o di potenza assai elevata, ben superiore alle soglie che discriminano le valutazioni ambientali.