Ribera (UE) divisa tra ambientalismo e attenzione all’industria. Descalzi (Eni): “Servono capitali privati e competitività per transizione. Donnarumma (FS): “Non pronti per quotazione, allo studio ingresso capitali privati”. La rassegna Energia
L’agenda della nuova commissaria europea alla Transizione giusta e alla Concorrenza, Teresa Ribera, coniugherà politiche green coraggiose e attenzione all’industria. Obiettivi non semplici per la possibile futura numero due della Commissione Europea. Ribera, però, scrive Il Foglio, si distingue per “una certa radicalità, che piace ai sostenitori di un ambientalismo rigoroso. Ma dall’altro mostra una grande propensione al dialogo. La transizione energetica è irreversibile e avrà un ruolo centrale nello sviluppo futuro del Continente ma servono politiche in grado di conciliare abbattimento delle emissioni, sicurezza energetica e competitività. È il pensiero espresso da Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, su Il Sole 24 Ore. Dovremo attendere anche qualche tempo prima di assistere all’ingresso di FS in Borsa. “Non siamo pronti per la quotazione”, ha detto l’ad del gruppo, Stefano Donnarumma, in un’intervista a La Repubblica, aggiungendo che è allo studio l’apertura del capitale anche a privati. La rassegna Energia.
ENERGIA, L’AGENDA DI RIBERA: GREEN E INDUSTRIA
“Da quando Ursula von der Leyen l’ha inserita nella sua nuova squadra ancora in attesa di approvazione da parte del Parlamento di Strasburgo – con il ruolo di vicepresidente esecutiva della Commissione europea per una Transizione pulita, giusta e competitiva con competenza anche sulla Concorrenza – si fa un gran parlare della spagnola Teresa Ribera. L’attuale ministra per la Transizione ecologica e per la sfida demografica nel governo guidato dal socialista Pedro Sánchez, in cui ha anche il ruolo di vicepremier, viene infatti indicata, quantomeno in potenza, come la futura “numero due” della Commissione europea, dal momento che, in base alla sua composita delega, gestirebbe non soltanto l’“agenda verde”, che si annuncia centrale ancorché fonte di infinite controversie, ma anche il settore della Concorrenza, la cui formidabile rilevanza è stata ben illustrata dalla vigorosa azione della commissaria che se n’è occupata negli ultimi dieci anni, la liberale danese Margrethe Vestager. Per un ruolo del genere serve qualcuno sicuro di sé. Una caratteristica, questa, che alla ministra spagnola non fa certo difetto. (…) Ma Ribera non aveva dubbi neppure su quale avrebbe dovuto essere la nazionalità del prescelto: nel gruppo socialista al Parlamento europeo, spiegava in quell’intervista, il drappello degli spagnoli è secondo per consistenza solo a quello degli italiani (i deputati del Psoe sono venti, mentre quelli del Pd di Elly Schlein sono ventuno), ma i seggi spagnoli sono frutto di un rotondo 30 per cento dei voti a livello nazionale, mentre il Pd italiano, alle ultime europee, ha preso solo il 24,1 per cento. E, soprattutto, in Spagna il Psoe governa, mentre in Italia il Pd è all’opposizione. Ma non basta: in quella stessa intervista del giugno scorso, a poche ore dalla chiusura delle urne, Ribera dimostrava di sapere già che, tra tutti i socialisti spagnoli papabili, il secondo posto più prestigioso della Commissione europea sarebbe stato destinato proprio a lei. (…) Se confermata nel suo ruolo di vicepresidente di von der Leyen, Ribera sguarnirà il governo di Madrid della sua competenza ma andrà a completare il tridente di Sánchez in Europa, aggiungendosi alla presidente della Banca europea per gli investimenti Nadia Calviño, che in passato è stata ministro dell’Economia e vicepremier della Spagna, e a Iratxe García Pérez, capogruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento di Strasburgo. La presenza di Ribera nella Commissione, oltretutto, consentirà al premier spagnolo di avere più influenza in Europa, dal momento che il precedente commissario espresso da Madrid – il socialista catalano Josep Borrell, che è stato per cinque anni l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza – ha un’indole da battitore libero e, in ogni caso, non può essere annoverato tra i fedelissimi di Sánchez”, si legge su Il Foglio.
“(…) Ha iniziato come funzionaria e ha poi sviluppato un’intera carriera in quel settore. E’ stata infatti, in ordine cronologico, direttrice della Oficina española de cambio climático, segretaria di stato per il Cambiamento climatico e la biodiversità (nel secondo governo di José Luis Rodríguez Zapatero) e poi direttrice dell’Institut du développement durable et des relations internationales (un istituto di ricerca indipendente con sede a Parigi). Inoltre è fluent sia in inglese sia in francese. (…) Si sa inoltre che la sua è una famiglia numerosa: lei è la più grande di cinque fratelli e ha, a sua volta, tre figlie”, continua il giornale. Il Partito popolare spagnolo ha annunciato di non voler sostenere nel Parlamento di Strasburgo la conferma di Ribera a commissaria e a vicepresidente della Commissione: “Una persona che è stata una cattiva ministra per la Spagna non può essere una buona commissaria per l’Europa […]. E, in ogni caso, non siamo favorevoli a esportare il sanchismo”, ha dichiarato Miguel Tellado, portavoce del Pp. L’arma con cui il centrodestra spagnolo vuole intralciare la corsa di Ribera verso il vertice della Commissione europea è proprio suo marito. Nelle prossime settimane tutti i commissari in pectore dovranno affrontare, come da regolamento, un severo esame da cui non tutti, in passato, sono usciti indenni: si tratta di una interrogazione da parte degli eurodeputati”, continua il giornale.
“Da commissaria Ribera dovrà per forza trovare accordi con chi la pensa in modo diverso da lei: timorosa che i notevoli poteri che sta per conferirle potessero rivelarsi eccessivi, von der Leyen ha infatti spezzettato le competenze in modo che, per quanto riguarda il mondo produttivo, la vicepresidente spagnola dovrà relazionarsi con il vicepresidente per la Prosperità e la strategia industriale, il francese Stéphane Séjourné (macroniano), e per quanto riguarda i temi ambientali dovrà collaborare con il commissario per l’Azione per il clima, le emissioni zero e la crescita economica pulita (il popolare olandese Wopke Hoekstra), con il commissario per l’Energia e l’edilizia abitativa (il socialista danese Dan Jørgensen) e con la commissaria per l’Ambiente, la resilienza idrica e un’economia circolare competitiva (la popolare svedese Jessika Roswallm). (…) “Una delle mie responsabilità nei prossimi anni sarà questa: guidare la famiglia socialdemocratica, la famiglia verde, la famiglia di sinistra, che è meno rappresentata di altre volte nella Commissione, ma che difenderà le sue proposte”. “Guidare”, dice Ribera. Ma in spagnolo il verbo è ancora più esplicito: “liderar”. Praticamente un’autoinvestitura a presidente-ombra della Commissione europea”, continua il quotidiano.
“Il Pp medita di sollevare in quella sede il tema della presunta incompatibilità di Ribera con la carica di commissaria alla Concorrenza, facendo leva sul fatto che in Spagna suo marito Mariano Bacigalupo, dopo essere stato consigliere della Commissione nazionale per i mercati e la concorrenza, siede attualmente nel consiglio della Commissione nazionale del mercato azionario (che corrisponde alla nostra Consob). (…) E’ improbabile però che la popolare tedesca von der Leyen possa permettere che la vicepresidente da lei selezionata venga immolata sull’altare della competizione politica interna alla Spagna: d’altronde, tra i popolari europei, guidati dal suo connazionale Manfred Weber, la sua voce conta ben di più di quella del leader dei popolari spagnoli, Alberto Núñez Feijóo. Non bisogna però dimenticare che il passato da politica-attivista di Ribera non garbi per nulla anche ad altri, dalla Francia di Emmanuel Macron, che non apprezza la sua posizione ostile al nucleare, a tutti i paesi che vogliono proteggere il settore automotive.(…) Ribera, d’altronde, si è spesso dimostrata un’artista del doppio binario. Da un lato mostra una certa radicalità, che piace ai sostenitori di un ambientalismo rigoroso. Ma dall’altro mostra una grande propensione al dialogo, comportandosi come un’interlocutrice ragionevole con chi ha idee più gradualiste. Il risultato è una certa efficacia quando si tratta di negoziare. In occasione dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, ad esempio, insieme con il suo omologo portoghese Duarte Cordeiro riuscì a ottenere proprio dalla commissaria europea alla Concorrenza Vestager, che sarà proprio lei a sostituire) la cosiddetta “eccezione iberica”, ovvero la possibilità di stabilire politicamente un tetto al prezzo del gas da utilizzare per la produzione di energia termoelettrica. (…) Ribera ha citato più volte il rapporto di Mario Draghi, definendo “corretta” la diagnosi dell’ex premier italiano sull’economia europea. Citare Draghi, peraltro, è la maniera più rapida per accreditarsi come una futura commissaria e vicepresidente intenzionata a spingere per un’azione vigorosa senza però appiattirsi sui diktat dell’ambientalismo più ideologico, che spaventerebbero eccessivamente i colleghi che appartengono al Partito popolare europeo. Si può dialogare e perfino governare anche con chi ha posizioni decisamente diverse, dà a intendere la vicepremier spagnola. L’importante, sostiene, è isolare la destra estrema”, continua il giornale.
ENERGIA, DESCALZI (ENI): “SERVONO COMPETITIVITA’ E CAPITALI PRIVATI”
“L’Europa non si deve più illudere. E non deve più illudere. Come emerge dall’ampiezza e profondità del Rapporto Draghi, la transizione energetica è vitale e irreversibile, è alla base dello sviluppo futuro del Continente ma deve essere condotta da una regìa che contemperi abbattimento delle emissioni, sicurezza energetica e competitività, consentendo agli attori libertà strategica per raggiungere gli obiettivi comuni. Il tempo di indicare per legge i target e – soprattutto – gli strumenti per arrivarci, tramite regolamentazioni “a prescindere”, è finito: ce lo sta dicendo la storia recente, con una velocità di accadimenti e con una intensità forse senza precedenti”, scrive Claudio Descalzi, ad di Eni, su Il Sole 24 Ore.
“Per delineare la questione, occorre partire dalle tecnologie, che sono gli strumenti per decarbonizzare i nostri sistemi. Ne abbiamo diverse già a disposizione, e altrettante ne stiamo sviluppando. I diversi Paesi e i molteplici ambiti dei loro sistemi economici e industriali su cui dobbiamo intervenire per abbattere le emissioni hanno peculiarità tali in termini di budget, livello di sviluppo, composizione della domanda energetica e potenziale velocità di trasformazione industriale e tecnologica, da richiedere mix tecnologici differenti, che non soltanto implichino una modifica dell’offerta in senso low e zero carbon, ma anche la possibilità di un rapido adeguamento della domanda per poterla accogliere. Occorre quindi lavorare sulla prioritizzazione delle tecnologie, utilizzando da subito quelle implementabili in tempi rapidi, che consentano costi sostenibili e siano immediatamente assimilabili dal lato della domanda”, continua Descalzi.
“(…) il mercato va lasciato libero, affinché possa attrarre gli investimenti necessari per creare business in grado di creare valore in modo autonomo, nonché crescere indipendentemente dai sussidi. Le aziende devono essere libere e messe in grado scegliere come affrontare la transizione con i propri modelli di business e le proprie soluzioni, e di creare partenariati pubblico-privati sinergici. Il percorso di decarbonizzazione deve essere economicamente accessibile attraendo capitali privati. Questo è il motivo per cui spesso vediamo progetti che rischiano di non essere mai perseguiti: perché non sono redditizi. Un altro tema importante è il ruolo che le politiche di decarbonizzazione promosse dall’Unione Europea hanno avuto nel penalizzare con costi pesantissimi l’industria pesante ed energivora del Continente a favore di uno sviluppo preponderante del settore terziario, tenendo conto che le emissioni che abbiamo abbattuto in Europa indebolendo le nostre industrie sono state generate da altre parti del globo, portandoci peraltro verso dipendenze talvolta rischiose dalle importazioni di beni rilevanti (come acciaio, alluminio e cemento). (…) Questo perché il gas, la fonte tradizionale con minori emissioni, abbia il tempo per sostituire il carbone, la più emissiva e ancora molto diffusa a livello globale; perché le rinnovabili proseguano nel loro percorso di sviluppo tecnologico e di diffusione; perché i sistemi industriali completino la loro trasformazione; perché si possa diffondere l’utilizzo della CCS (la cattura e lo stoccaggio del carbonio) presso gli impianti delle industrie energivore; perché le nuove tecnologie diventino più competitive e quelle “breakthrough” possano emergere; perché il settore dei trasporti assorba laddove possibile la trazione elettrica e si diffonda l’utilizzo dei biocarburanti; perché i cittadini cambino progressivamente le proprie abitudini di consumo energetico e il cerchio si possa chiudere”, continua il giornale.
TRASPORTI, DONNARRUMA (FS): “ALLO STUDIO COME APRIRE CAPITALE A PRIVATI”
“Lo sbarco di Fs in Borsa può attendere. Il passo resta prudente. «Non siamo pronti per la quotazione perchè non c’è un progetto di quotazione», spiega l’amministratore delegato del gruppo ferroviario, Stefano Donnarumma. Toni perentori. Ma su un’eventuale privatizzazione, le parole si fanno più morbide”, si legge su La Repubblica.
“«Stiamo studiando la maniera di poter aprire il capitale anche a privati, questo chiaramente riguarda un perimetro ancora da definire », spiega durante un punto stampa a InnoTrans 2024, la fiera internazionale per le tecnologie dei trasporti in corso a Berlino. L’ad chiarisce che «sono state fatte delle ipotesi, che però non sono state validate» perché «bisogna capire se c’è una quota di minoranza che possa essere condivisa con dei fondi privati». (…) E nel caso in cui dovesse essere lui ad occuparsi del progetto lo farebbe «solo a determinate condizioni che blindassero la società». I tempi, tra l’altro, non sarebbero immediati: almeno due anni”, continua il giornale.
“L’attenzione resta focalizzata sul piano industriale a 5 anni che il gruppo sta predisponendo e che contempla ipotesi di partnership, «anche internazionali ». Intanto bisogna spendere i fondi del Pnrr. «Il dubbio “finiamo o no le opere” non si pone: quelle iniziate saranno finite», rassicura il manager, spiegando che il gruppo è «già a quota dieci miliardi sui venticinque totali» e che se alcune opere non dovessero essere completate entro il 30 giugno 2026, «sono comunque finanziabili».(…) «I cantieri aperti in estate – dice – sono quasi tutti completati, ora ne partiranno altri, alcuni più impattanti, altri meno». «In Germania – spiega preferiscono chiudere per 6-7 mesi le tratte interessate dai lavori: noi non facciamo così, la linea rimane aperta anche se produce disservizi». Questione di scelte”, continua il giornale.