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Produzione gas italiana -3,4%, moratorie rinnovabili in Umbria e Calabria, il rapporto Draghi per l’Ue. La rassegna Energia

La produzione italiana di gas è calata del 3,4% negli ultimi 6 mesi, dopo la Sardegna anche Umbria e Calabria pronte a moratorie su rinnovabili, il rapporto Draghi. La rassegna Energia

Negli ultimi 6 mesi la produzione italiana è calata del 3,4%. Un trend legato all’assenza di investimenti in nuove ricerche e produzione, incertezze normative e iniziative che hanno scoraggiato gli operatori, che farà sì che quest’anno la produzione nazionale sarà ai minimi storici, secondo il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli. Dopo la Sardegna anche Umbria e Calabria si preparano a presentare una moratoria sulle rinnovabili. Sfruttare le economie di scala, individuare i beni comuni e le fonti di finanziamento, garantire l’approvvigionamento di materie prime critiche. Sono i tre pilastri del rapporto di Draghi che ispirerà le politiche di Ursula von der Leyen. La rassegna energia.

GAS, IN SEI MESI PRODUZIONE ITALIA -3,4%

“Per avere un’idea dell’entità del crollo della produzione nazionale di gas, basterebbe partire da un dato: i 232 milioni di metri cubi prodotti nel mese di giugno secondo la consueta fotografia scattata dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e, in particolare, dalla Direzione generale fonti energetiche e titoli abilitativi. Un quantitativo appena sufficiente a coprire un giorno e mezzo di consumi a livello nazionale, pari a 31,07 miliardi di metri cubi (-4,6%) nei primi sei mesi dell’anno. Mentre la produzione nazionale ha proseguito la sua lenta e inesorabile discesa, toccando a fine giugno gli 1,45 miliardi di metri cubi, il 3,4% in meno rispetto allo stesso periodo del 2023”, si legge su Il Sole 24 Ore.

“Un arretramento che è dovuto anche all’assenza di investimenti in nuove ricerche e produzione, alimentata dalle incertezze normative e da iniziative politiche, a partire dal Pitesai, il piano regolatore voluto dal governo Conte chiamato a definire le aree adatte alle trivellazioni, che hanno azzerato la ricerca di nuovi giacimenti spingendo gli operatori a fuggire dall’Italia o a ricorrere ai tribunali amministrativi dove quel piano è stato annullato. (…) La più rilevante è il recente avvio di Argo Cassiopea, il più importante progetto di sviluppo a gas sul territorio italiano (…). Il giacimento, operato da Eni in joint venture con il partner Energean, è entrato in produzione a soli tre anni dall’avvio dei lavori: le sue riserve sono stimate in circa 10 miliardi di metri cubi di gas e la produzione annuale di picco sarà di 1,5 miliardi di metri cubi di gas”, continua il giornale.

“E, man mano che il nuovo progetto entrerà a regime, sarà sempre più necessario irrobustire il sistema infrastrutturale di trasporto per trasferire questo gas verso le aree di maggior consumo, portando a termine opere come la Linea Adriatica, la nuova dorsale gas che sta realizzando Snam e che incrementerà di 10 miliardi di metri cubi l’anno la capacità di trasporto sull’asse sud-nord. «La produzione italiana, nonostante Argo Cassiopea, si manterrà anche quest’anno ai minimi storici di 3 miliardi di metri cubi l’anno. Livelli tipici dei primi anni’50 quando i consumi erano un decimo di quelli attuali (…)», commenta con il Sole 24 Ore il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli, che sposta poi lo sguardo sulla forte dipendenza dall’import. «È triste che importiamo ancora 63 miliardi di metri cubi l’anno su una domanda di 66 miliardi di metri cubi e che questo gas proviene spesso da oltre 10mila chilometri di distanza, con un costo che si aggira sui 18 miliardi di euro. E questo significa minore Pil e un danno economico per il Paese». Il cui potenziale, invece, è enorme come racconta la stessa Nomisma Energia, secondo la quale è possibile stimare in 40 miliardi di metri cubi le riserve di gas certe, in ulteriori 44 miliardi di metri cubi le riserve di gas “probabili” e in 26 miliardi di metri cubi le riserve di gas “possibili”. Assorisorse stima, invece, che, ottimizzando la produzione delle concessioni attualmente operative e accelerando lo sviluppo di nuovi progetti già predisposti per i titoli in essere, la produzione nazionale potrebbe raddoppiare entro il 2025 e salire a 7 miliardi di metri cubi l’anno dopo il 2025”, continua il giornale.

ENERGIA, MORATORIE REGIONALI PER RINNOVABILI IN UMBRIA E CALABRIA

“Dopo la moratoria sulle fonti rinnovabili voluta dalla governatrice grillina della Sardegna, Alessandra Todde, col supporto del locale Pd, altre due regioni discuteranno provvedimenti simili: l’Umbria e la Calabria. Come in Sardegna, la proposta arriva da sinistra – in particolare da esponenti del Pd – ma, in questo caso, trattandosi di regioni governate dal centrodestra difficilmente troverà accoglimento. Questo però suscita due domande per il partito di Elly Schlein. La prima domanda riguarda le modalità con cui perseguire la decarbonizzazione. (…) Ma in che modo si possono concretamente ridurre le emissioni se si ostacolano gli investimenti nelle fonti pulite? Il partito del Nazareno è ideologicamente contrario al nucleare e ostentatamente favorevole all’eolico e al fotovoltaico: solo che poi, quando si tratta di passare dalle parole ai fatti, prende posizioni quanto meno ambigue. Il caso sardo è solo la punta dell’iceberg: a Cagliari, Todde – col convinto sostegno dell’intera sua maggioranza – ha caratterizzato la guerra all’eolico come una politica di contrasto alla “speculazione energetica”, si legge su Il Foglio.

“(…) Nel 2021, nel decreto di recepimento della direttiva Red-2, il governo Draghi aveva previsto l’individuazione in ciascuna regione di “aree idonee” nelle quali si sarebbero applicate procedure semplificate. Nelle more del decreto attuativo che avrebbe dovuto stabilire i criteri per la loro definizione, furono identificate delle aree ex lege. Per dar seguito alla norma ci sono voluti più di due anni: l’attesissimo decreto attuativo, firmato dal ministro Gilberto Pichetto Fratin lo scorso 21 giugno, è però arrivato come una doccia fredda sul settore. Infatti, abbandona la logica delle aree ex lege (che molti speravano di vedere consolidate)”, continua il giornale.

“(…) né il Pd né il M5s né Avs hanno fiatato. In compenso, essi hanno avallato la stretta sul fotovoltaico in campo firmata dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida e hanno apertamente sostenuto la mossa sarda, che oggi chiedono di replicare in altre regioni. Ma c’è anche un altro piano su cui la richiesta di moratorie mette in crisi l’identità del Pd: la campagna contro l’autonomia differenziata. Già è paradossale che, tra i grandi sponsor dei ricorsi costituzionali e delle raccolte firme per il referendum, vi sia Todde, presidente di una regione a statuto speciale che gode di un grado di autonomia incomparabilmente maggiore rispetto a quello concesso dalla legge Calderoli. Ma la cosa diventa ancora più intricata se si considera che proprio quelli che agitano il rischio di frantumazione del paese invochino la regionalizzazione della politica energetica, sia dove stanno all’opposizione (Umbria e Calabria) sia dove sono al governo (Sardegna). Eppure, vi sono pochi dubbi che le moratorie siano incostituzionali, con o senza l’autonomia in qualunque sua forma. Lo confermano innumerevoli sentenze della Corte costituzionale succedutesi negli anni in seguito ai ricorsi da parte dei governi (di destra e di sinistra)”, continua il giornale.

ENERGIA, IL PIANO DRAGHI CHE ISPIRA VON DER LEYEN

“Energia, Industria, Difesa e Innovazione, con una solida base fornita dal pilastro sociale. Sono le parole d’ordine nel rapporto sulla competitività realizzato da Mario Draghi per conto della Commissione europea. Un’analisi dettagliata della situazione attuale condensata in circa 400 pagine che offre chiare vie d’uscita in dieci macro-settori cruciali dell’economia europea attraverso la definizione di beni pubblici e delle modalità per reperire gli investimenti necessari. È il piano per quel “cambiamento radicale” che l’ex premier italiano ha già pubblicamente evocato per superare la frammentazione interna e spingere l’Ue verso una maggiore integrazione. Un’Europa sovrana, nel senso più federalista del termine, contro le pulsioni sovraniste che indeboliscono il Vecchio Continente sullo scacchiere globale. (…) le lettere d’incarico che verranno distribuite ai nuovi commissari tra due settimane rifletteranno proprio le “missions” indicate nel rapporto Draghi. Che con ogni probabilità andrà a Bruxelles per presentarlo pubblicamente nel corso di una conferenza stampa”, si legge su La Stampa.

“La traccia di cosa conterrà era già stata svelata nei discorsi che l’ex numero uno della Banca centrale europea ha tenuto all’inizio dell’anno durante una riunione del collegio dei Commissari, all’Ecofin di Gand e anche davanti agli eurodeputati. Ma soprattutto nel suo intervento alla Conferenza di alto livello sul pilastro europeo dei diritti sociali tenutasi in aprile in Belgio. Dai pochi dettagli che vengono fatti trapelare, si può anticipare che il rapporto fornirà una sorta di guida pratica e pragmatica per rafforzare la competitività dell’Ue, attraverso l’investimento politico su alcuni pilastri”, continua il giornale.

“Nessun dogma se non uno: serve un’Europa più integrata, dunque lontana dall’Unione spezzettata, di nazioni autosufficienti in molti settori, sognata e difesa dai sovranisti(…) «Se diventa ininfluente – è il pensiero di Draghi – l’Europa, come soggetto istituzionale, rischia di scomparire». Secondo le parole attribuibili all’ex premier la sola «sovranità da difendere adesso è quella europea».
Spazio fiscale maggiormente integrato, debito comune, finanziamenti mirati, ma commisurati alla dimensione epocale delle nuove sfide: questi gli strumenti che verranno tradotti in politiche concrete da mettere in atto. Mentre gli ambiti di intervento più urgenti sono: una politica industriale comune, meno dipendente dalle catene di approvvigionamento esterne, spinta all’innovazione, transizione digitale e green, da accompagnare con decisione sul mercato, ma senza smarrire la bussola del lavoro e delle garanzie occupazionali. In un mercato in evoluzione, (…) per Draghi è da considerare “non-negoziabile” il livello di protezione sociale e di capacità di redistribuzione economica del modello europeo. In uno dei suoi discorsi degli ultimi mesi aveva esplicitamente elogiato il modello svedese proprio per la sua capacità di combinare innovazione tecnologica, produttività e una forte protezione dei diritti sociali”, continua il giornale.

“Tre i punti sui quali il rapporto Draghi suggerirà all’Europa di insistere. Il primo: la necessità di sfruttare le economie di scala, in contrapposizione con la concorrenza interna che spesso finiscono per farsi gli Stati membri. Un discorso che secondo l’ex premier vale soprattutto per la Difesa, dove è necessario adottare sistemi sempre più integrati, ma anche nel campo delle telecomunicazioni e in quello farmaceutico. Il secondo: l’individuazione dei beni comuni (secondo Draghi l’energia è tra quelli che meritano maggiore attenzione) e la necessità di trovare adeguate fonti di finanziamento per i relativi investimenti. Draghi non nasconde la sua preferenza per gli strumenti di debito comune, ma riconosce che la maggior parte degli investimenti dovrà arrivare dal privato e dunque bisogna accelerare con l’unione dei mercati di capitali. E infine c’è l’esigenza di garantire l’approvvigionamento di materie prime critiche, il che passerà anche da una rivisitazione delle relazioni commerciali con alcuni Paesi terzi e dalle nuove dinamiche geopolitiche. (…) È evidente che il grande cambiamento sollecitato da questo studio, Draghi lo intende realizzabile solo attraverso un serio ripensamento del senso dell’Europa, della sua leadership e della sua governance. Cioè, la domanda da farsi è: l’attuale assetto delle istituzioni comunitarie è in grado di reggere la sfida della competitività globale, in uno scenario geopolitico mutato che rischia di schiacciare l’Ue? Commissione, Consiglio e Parlamento dovranno prendersi carico degli obiettivi non più rinviabili”, continua il giornale.

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