Rinnovabili +7 GW nel 2024, è record. Il sottosuolo dell’Ucraina contiene il 5% dei minerali critici, ma vengono estratti solo il 15%. Sorgenia punta a 1 milione di clienti e pensa all’integrazione con EF Solare a polo energetico. La rassegna Energia
Le rinnovabili toccano un nuovo record: 7 gigawatt installati nel 2024. La quantità totale installata sale così a circa 76 GW (+15% sul 2023). Una crescita che dovrebbe confermarsi anche nel 2025, secondo le stime del Polimi. Nel sottosuolo dell’Ucraina c’è il 5% dei minerali critici, con almeno 20 delle 50 materie prime ritenute essenziali per le economie di tutto il mondo. In Ucraina ci sono 20 mila giacimenti con 116 tipi di minerali strategici che contengono materiali critici. Le riserve ammontano a ben 2,6 miliardi di tonnellate, ma vengono estratte solo al 15%. Sorgenia punta a un milione di clienti. La strategia prevedrebbe anche l’integrazione con EF Solare, gruppo attivo nel fotovoltaico, che dando così vita a un polo energetico in Italia e Spagna che porterebbe a un cambio nell’azionariato, secondo l’Economia de Il Corriere della Sera. La rassegna Energia.
RECORD 7 GW CAPACITA’ DA RINNOVABILI
“Il 2024 è stato un anno record per le fonti energetiche rinnovabili in Italia: quasi 7 gigawatt (GW) installati, con 6 GW di fotovoltaico e 614 MW di eolico, che fanno salire l’installato complessivo a circa 76 GW. Numeri che si traducono in una crescita di poco superiore al 15% rispetto al 2023, quando si sono installati 5,7 GW. (…) Invece l’eolico è aumentato del 48% sul 2023, anche se l’energia prodotta dal vento ha un peso ancora marginale rispetto a quella prodotta dal sole: vale circa il 10% dell’installato fotovoltaico. Per il 2025, le stime del Polimi prevedono una crescita vicina o quasi ai livelli del 2024. «I primi mesi dell’anno stanno dando segnali più ottimistici rispetto al pessimismo che avevamo interpretato lo scorso maggio, anche se la frenata rispetto al ritmo di crescita dell’ultimo triennio è indubbia. Con buona probabilità, potremmo ripetere i risultati complessivi dello scorso anno attorno ai 6 GW, con una prevalenza decisa del fotovoltaico», dichiara Davide Chiaroni, co-fondatore e vicedirettore di Energy& Strategy School of Management del Politecnico di Milano”, si legge su La Repubblica Affari & Finanza.
“«Se guardiamo agli obiettivi Pniec di 107 GW tra fotovoltaico ed eolico, ad oggi mancano all’appello circa 57 GW. Per raggiungerli nei 6 anni ‘scarsi’ che mancano alla fine del 2030 dovremmo installare quasi 10 GW all’anno, di cui 2,5 di eolico. È quindi oggettivamente difficile raggiungere questi numeri», obietta Chiaroni. Il paradosso è che i dati di Terna, aggiornati al 28 febbraio, dicono che in Italia ci sono più di 354 GW di richieste di connessione alla rete in alta tensione per nuovi impianti da fonte rinnovabile, cioè più di tre volte la potenza prevista dal Pniec al 2030. Richieste che si traducono in 6.110 “pratiche” in attesa di essere approvate, di cui quasi la metà (153,23 GW) riguarda il fotovoltaico, poi eolico onshore (109,77 GW), offshore (88,59 GW), idroelettrico (2,82 GW), geotermico (0,10 GW) e biomasse (0,30 GW, 12). Nella black list, la Puglia è al primo posto (94,93 GW), Sicilia seconda (86,85 GW) e Sardegna terza (54 GW). (…) «I problemi riguardano il processo autorizzativo e il successivo allaccio degli impianti alla rete – spiega Chiaroni -. Se pensiamo che l’intero Fer 1 dal settembre 2019 al giugno 2024 ha ammesso un contingente di grandi impianti pari a soli 6 GW, ossia quegli impianti che avevano nel frattempo ottenuto la certezza dell’autorizzazione e dell’allaccio». «Come in un circolo vizioso – prosegue l’esperto – le molte richieste di autorizzazione e di connessione ingolfano il processo e creano anche incertezza in merito alle esigenze di potenziamento delle infrastrutture”, continua il giornale.
“Anche sul decreto Fer X transitorio, che mette a disposizione 9,7 miliardi di euro per aumentare la produzione di energia da fonti rinnovabili “mature” entro il 31 dicembre 2025, Chiaroni solleva qualche dubbio: «Questa misura ha un contingente potenziale di 14 GW per le procedure di bando che verranno aperte entro la fine dell’anno, ragionevolmente una sola per i tempi tecnici necessari, e poi si dovrà attendere il Fer X a regime per vedere i successivi. Pertanto, è improbabile che si saturi questo contingente nel 2025». Quali misure servirebbero? «Passare alla condizione di regime sul Fer X; risolvere le controversie con le Regioni sulle aree idonee, rinegoziando il contributo di installazioni atteso per il raggiungimento degli obiettivi su un orizzonte almeno 2035”, si legge sul giornale.
QUANTE TERRE RARE HA DAVVERO L’UCRAINA?
“«L’Ucraina ha terre rare fantastiche per 500 miliardi di dollari e io le voglio!». Lo ha detto e ripetuto il presidente Donald Trump ponendole come condizione per mantenere il sostegno militare e avviare negoziati di un cessate il fuoco. In realtà l’Ucraina non figura fra i Paesi con riserve di terre rare. Ma cosa sono esattamente? (…) Parliamo di riserve, cioè le quantità individuate e oggi potenzialmente estraibili calcolate (e relative al 2023) dall’United States Geological Survey (Usgs), un’agenzia statunitense tra le fonti più autorevoli e citate in tema di risorse naturali: al primo posto c’è la Cina, seguono Brasile, India, Australia, Russia, Vietnam, Stati Uniti, Groenlandia, Tanzania, Thailandia, e altri con quantità minori. Nella complessa filiera dell’estrazione, raffinazione e commercio di terre rare, domina la Cina. Il 70% dell’attività estrattiva globale avviene sul territorio cinese. La capitale mondiale è la Mongolia interna. La Cina però controlla anche i giacimenti del Sudest asiatico, e in parte quelli in Tanzania e Groenlandia. Di fatto oggi gestisce il 90% del mercato globale. (…) Prima della guerra, Putin ha nazionalizzato le imprese russe per 15 miliardi di dollari, affidandone il controllo all’amico Mikhail Kovalchuk del colosso Rosatom. Le zone più avvantaggiate con le risorse sono quelle semi-disabitate, come la Mongolia interna o l’Australia. O dove i regimi fanno quel che vogliono. La città cinese di Baotou, a 80 km dal confine mongolo e dove l’attività di estrazione è partita verso la fine degli anni ’70, è una delle più avvelenate al mondo. Sono state aperte 95 società per l’estrazione e raffinazione e oggi la crescita del Pil di Baotou è del 18,5%, più di tre volte quella cinese. Però l’esposizione agli inquinanti ha portato a un aumento del 46,5% di casi di tumore al polmone, crescono i malati di diabete e osteoporosi, ed è calata la vita media degli animali. A Baotou è nato un lago artificiale di 13 km quadrati dove galleggiano 200 milioni di tonnellate d’acido solforico e cloridrico, assieme a 70 mila tonnellate di sostanze radioattive presenti nei minerali estratti. E i paesini limitrofi vengono comunemente chiamati «cancer villages», i villaggi del cancro. (fonte: Researches and Market Report on China’s Rare Earths Industry). (…) Tornando all’Ucraina: non sono state mappate le terre rare, ma invece nel suo sottosuolo c’è il 5% dei minerali critici, con almeno 20 delle 50 materie prime ritenute essenziali per le economie di tutto il mondo. La società canadese di consulenze geopolitiche SecDev sostiene che sono «il fondamento dell’economia del XXI secolo», al pari dell’oro e del petrolio nei secoli scorsi. In Ucraina ci sono 20 mila giacimenti con 116 tipi di minerali strategici che contengono materiali critici. Ben 2,6 miliardi di tonnellate di riserve che vengono estratte solo al 15% (fonte: Iupac). Parliamo di caolino, gallio, manganese, germanio e soprattutto della grafite e del litio, che servono a fabbricare le batterie per le auto elettriche, Pc, smartphone e di cui l’Ucraina è fra i 5 produttori leader. O del titanio per costruire gli aerei. E poi il rame, il piombo, lo zinco, l’argento, il cobalto, il nichel. (…) I minerali del Donbass, secondo il ministero dell’Economia ucraino, valgono almeno 350 miliardi di dollari. Tutte queste risorse sono state un buon motivo per scatenare una guerra, e l’incentivo per Trump per tentare di fermarla mettendoci le mani sopra. Però non c’entrano nulla con le terre rare”, si legge su Il Corriere della Sera.
“La Cina è leader anche nello sfruttamento dei minerali critici. In Africa, dove è il principale finanziatore di strade, porti e reti di telecomunicazione, nel 2020 ha anche acquistato un terzo della produzione di questi minerali per 15 miliardi di euro. Il 71% del business viene dal Sudafrica, Angola, Congo, Zambia e Repubblica Democratica del Congo. Dal 2022, le società cinesi hanno investito 4 miliardi di euro nelle miniere di litio in Namibia, Zimbabwe e Mali. E nella Repubblica Democratica del Congo sono appaltati ai cinesi 15 dei 17 giacimenti di rame ricchi di cobalto, cruciale per la produzione di batterie e leghe magnetiche (fonte: State Council, The Situation and Policies of China’s Rare Earth Industry). (…) Il presidente Trump, preoccupato che le riserve russe finiscano nelle mani dei cinesi e della loro tecnologia d’estrazione, ha messo gli occhi sulla Groenlandia, che vorrebbe annettere agli Usa «in un modo o nell’altro». La grande isola possiede 43 «materiali critici»: dal cobalto alla grafite, dal litio al nichel, dal titanio al tungsteno che servono a creare le superleghe, oltre a petrolio, gas naturale e oltre 1,5 milioni di tonnellate di riserve di terre rare. Ghiacci e temperature rendono enormi le difficoltà di sfruttamento dei giacimenti, ma le grandi potenze contano cinicamente sugli effetti del riscaldamento climatico. E puntano anche sul Polo Sud, dove si trovano cobalto e giacimenti di «noduli polimetallici», che contengono manganese, ferro, rame, nichel e terre rare (fonte: Comnap). L’Antartide è considerato un bene dell’umanità, e in base a un trattato del 1959 nessun Paese può sfruttarlo, ma le violazioni del divieto sono continue. (…) L’Europa importa il 98% delle terre rare dalla Cina. Quelle appena scoperte in Norvegia potrebbero soddisfare il 10% del fabbisogno, ma non siamo nel mezzo del deserto mongolo, e la sensibilità ambientale è diversa. Chi, come noi, ha poche risorse e un’alta densità abitativa potrebbe investire nelle attività di recupero: uno smartphone può contenere fino a 10 terre rare, mischiate a 40 elementi chimici diversi. (…) Nulla impedisce all’Europa di organizzare filiere su larga scala per trasformare questa montagna di «rifiuti informatici» in risorsa”, continua il giornale.
ENERGIA, SORGENIA PUNTA A 1 MILIONE DI CLIENTI
“La marginalità in rialzo. La crescita nella vendita di luce e gas, con il traguardo di un milione di clienti. La pulizia del bilancio con la svalutazione di Tirreno Power. Sorgenia mostra di aver fatto bene i compiti a casa in vista delle svolte attese quest’anno. La prima per il gruppo controllato al 72,4% da F2i — per ora un’indiscrezione — dovrebbe essere l’integrazione con EF Solare, gruppo attivo nel fotovoltaico anch’esso controllato da F2i, che darebbe vita a un polo energetico in Italia e Spagna che porterebbe a un cambio nell’azionariato, con l’uscita di Asterion e l’ingresso del fondo Usa Sixth Street. La seconda è il riassetto di Tirreno Power, che Sorgenia partecipa al 50% con il socio paritetico francese Engie. (…) Sorgenia, nata nel 1999 con la liberalizzazione del mercato dell’energia, si presenta con risultati in crescita. Ad anticiparli al Corriere è Michele De Censi, che guida la società da quasi due anni e prima era ceo di 2i Rete Gas. «Chiudiamo il 2024 con ricavi in aumento del 23% a 3,8 miliardi, un margine operativo lordo in crescita del 67% a oltre 300 milioni e un debito in calo a 370 milioni dai 425 di fine 2023. L’esercizio chiude in perdita di 27 milioni per la svalutazione contabile pari a 100 milioni degli asset di Tirreno Power, perché il valore prospettico degli impianti è inferiore rispetto al valore messo a bilancio a suo tempo. Senza la svalutazione avremmo registrato profitti per circa 98 milioni». (…) «I valori di bilancio vanno aggiornati rispetto allo scenario di mercato: la gestione comune tra due competitor come noi ed Engie non risponde più alla configurazione del mercato elettrico attuale. La separazione dovrebbe avvenire nel secondo semestre di quest’anno (…) Nel primo semestre potrebbe arrivare la fusione con EF Solare. Posto che si tratta di un’operazione di competenza degli azionisti, quali infrastrutture porterebbe in dote Sorgenia? «Abbiamo quattro centrali a ciclo combinato da 800 megawatt ad altissima efficienza e flessibilità che producono 6 terawattora all’anno. Sempre nella produzione a gas abbiamo contrattualizzato circa 2.700 megawatt nel mercato della capacità (capacity market) per la messa a disposizione degli impianti quando la rete lo richiede, che rappresenta potenzialmente una componente stabile di ricavi pari a 110 milioni all’anno rispetto a una capacità totale di 3.200 megawatt. Poi ci sono il milione di contratti tra imprese e famiglie e le rinnovabili»”, si legge su L’Economia de Il Corriere della Sera.
“«Abbiamo un parco di campi eolici per 300 megawatt a Sud che danno tra i 550 e i 600 gigawattora all’anno e 70 megawatt di biomasse solide, impianti programmabili che lavorano quasi 8 mila ore (praticamente full time, ndr) e generano 550 GWh. A questo si aggiungeranno altre rinnovabili: abbiamo in pipeline diverse centinaia di megawatt tra sole e vento, alcuni autorizzati altri già in costruzione». (…) «Le prossime aste per gli incentivi (il Fer X, ndr) creano le premesse per una buona competizione e la garanzia di avere ricavi di lungo termine». La novità di quest’anno saranno le prime gare, a settembre, per il mercato degli accumuli elettrici, che in Italia avrà un modello regolato gestito da Terna, il Macse (Meccanismo di Approvvigionamento di Capacità di Stoccaggio Elettrico). (…) Per quanto riguarda la vendita, con la fine del mercato tutelato arriverà la concorrenza? I clienti saranno ancora un asset appetibile? «Nel mercato retail c’è già concorrenza. Se il cliente vuole può trovare offerte competitive. Ormai la maggior parte dei consumatori è già passata sul mercato libero e il 20% di clienti all’anno cambia fornitore. Si comincia a vedere una buona mobilità e i clienti, per chi è un operatore integrato come noi, sono un ottimo asset». (…) «I futures sul gas sui mercati europei mostrano prezzi in calo. Per quanto riguarda le bollette, più rinnovabili saremo in gradi di mettere in esercizio e maggiore sarà la possibilità che le quotazioni dell’energia scendano, perché saranno il solare e l’eolico, oggi meno costosi del gas, a fare il prezzo finale in Borsa»”, continua il giornale.