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Ilva

Ex Ilva, per Regioni e sindacati il ruolo dello Stato sarà essenziale per il rilancio industriale

Rappresentanti delle Regioni interessate e dei sindacati oggi hanno partecipato alle audizioni in Commissione Industria al Senato sul ddl sulla continuità operativa degli stabilimenti Ex Ilva

Per il rilancio dell’Ex Ilva il ruolo del soggetto pubblico – e quindi dello Stato – è essenziale, nell’ottica di far ripartire la produzione a pieno ritmo, scongiurare la chiusura totale e salvaguardare quindi migliaia di lavoratori.

Questa, in sintesi, la posizione condivisa dalle Regioni e dai sindacati che oggi in Commissione Industria al Senato hanno partecipato alle audizioni sul ddl n. 1731 (D-l n. 180/2025 – Continuità operativa stabilimenti ex ILVA).

CHIORINO (PIEMONTE): PRODUZIONE A 4 MLN TON SALVAGUARDA IMPIANTI NOVI LIGURE E RACCONIGI

Dopo aver ricordato che “quello della settimana scorsa col ministro Urso è stato un confronto sicuramente significativo, importante e molto concreto, nel corso del quale il governo ha confermato la volontà di riportare la produzione complessiva a 4 milioni di tonnellate”, la vicepresidente della Regione Piemonte, Elena Chiorino, ha spiegato che la produzione dell’Ex Ilva “è fissata a 4 milioni proprio per l’impossibilità di ipotizzarne 6, come potrebbe essere invece ritenuto ottimale, a causa del sequestro probatorio dell’altoforno 1, che da 8 mesi ne blocca l’attività. Ad ogni modo, per il Piemonte 4 milioni di euro sono una cifra significativa per garantire la capacità e la continuità produttiva degli stabilimenti di Novi Ligure e di Racconigi. È anche una salvaguardia dell’occupazione, e le famiglie possono quindi guardare al futuro con un po’ più di serenità”.

EMILIANO (PUGLIA): FORNITURA DI COILS PER STABILIMENTI DEL NORD DEVE PROVENIRE DA TARANTO

È intervenuto poi il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, secondo cui “è assolutamente indispensabile un coordinamento tra le competenze dei vari Ministri coinvolti e, con la Presidenza del Consiglio, di tenere un forte coinvolgimento dei sindacati in tutti i passaggi della transizione industriale. Nel metodo, consideriamo la decarbonizzazione degli impianti con l’intervento di un soggetto pubblico un elemento essenziale”.

“È evidente – ha spiegato Emiliano – che le difficoltà che stiamo trovando nell’individuazione dell’acquirente dell’impianto industriale dimostrano che questa transizione in realtà è molto complessa. Richiede una responsabilità pubblica, nelle forme consentito dalla legge, che eviti quello che è accaduto con la precedente gestione, cioè che qualche soggetto privato assuma su di sé compiti strategici di transizione ambientale e industriale e che poi non sia all’altezza di reggere il ruolo che gli viene assegnato dalla gara.

Chiediamo poi che sia garantita la continuità produttiva di tutta l’azienda, e che le forniture di coils per gli stabilimenti del Nord provengano esclusivamente dallo stabilimento di Taranto. Sentiamo con grande preoccupazione interventi da parte di progetti politici che, pur di salvare gli impianti di Genova, sarebbero disponibili anche ad una opzione di spacchettamento (spezzatino), che però consideriamo contraddittoria rispetto alla dimensione strategica dello stabilimento e in contrasto con l’interesse industriale nazionale che viene garantito dalle norme”.

SALIS (GENOVA): LA NAZIONALIZZAZIONE DEVE CONTINUARE AD ESSERE IL PIANO A

Parlando dello stabilimento Ilva di Genova, la sindaca Silvia Salis ha spiegato che “la crisi di Cornigliano non è un’anomalia di questo momento, fa parte di una strategia industriale che negli anni ha visto progressivamente crescere la tensione ed è un tema di fallimento sistemico. Quello che da sindaca ho sostenuto in queste settimane e mesi, fino a quando il ministro Urso mi ha chiesto la disponibilità come città a puntare sul forno elettrico, è il fatto che la nazionalizzazione continui ad essere il piano A, un piano che dia una sicurezza definitiva, o transitoria, del fatto che gli impianti vengano valorizzati e utilizzati continuativamente. È stato stimato che chiudere gli impianti di Genova, Taranto e Novi Ligure avrebbe un costo di circa 11 miliardi di euro, perché si parla di bonifiche, di cassa integrazione, e sarebbe un costo che non produrrebbe alcun valore. La riconversione industriale e la nazionalizzazione, invece, tra i 3 e i 10 miliardi. Credo che questo si debba tenure presente quando si cerca di capire quale potrà essere il futuro dell’acciaio in Italia. La chiusura non porterebbe alcun tipo di valore e darebbe il via ad un tema occupazionale di massa, a Genova come a Taranto.

Noi pensiamo quindi ad una riconversione verso la produzione di acciaio green, che credo che sia l’obiettivo che ogni Paese nel 2025 dovrebbe avere. Per noi l’acciaio è strategico e la produzione a Genova è strategica di nota. Siamo la città con l’età media più alta d’Italia, e 1.200 persone occupate con un lavoro altamente qualificato e con un buon reddito, se dovessero essere messe in cassa integrazione, diventerebbero anche un tema sociale fortissimo”.

MULIERE (NOVI LIGURE): UNA CRISI TOTALE DELLO STABILIMENTO NON SAREBBE SOPPORTABILE

Un altro stabilimento interessato dalla crisi del polo siderurgico di Taranto è quello di Novi Ligure. Il sindaco Rocchino Muliere, dopo aver ricordato che “oggi lo stabilimento occupa 554 lavoratori, e altri 200 fanno parte dell’indotto”, ha spiegato che “una crisi totale dello stabilimento non sarebbe sopportabile per una città di 27.400 abitanti, sia dal punto di vista economico che sociale. Negli ultimi due anni 120 lavoratori si sono licenziati, perché è da 12 anni che prosegue questa crisi. Come Comune di Novi Ligure, abbiamo sempre sostenuto, insieme agli altri enti locali e alle forze sindacali, che la questione dell’Ex Ilva ha bisogno di una soluzione unitaria. Il futuro dell’acciaio nel nostro Paese non si difende per pezzi, ma come sistema. Tutti diciamo che la produzione dell’acciaio è un asset strategico per il Paese, e quindi io credo che dovremmo essere conseguenti con le azioni, ad ogni livello, nel considerare appunto questo asset davvero strategico”.

ODERDA (RACCONIGI): IL NOSTRO STABILIMENTO RICHIEDE RISPOSTE IMMEDIATE

Parlando invece dello stabilimento di Racconigi, il sindaco Valerio Oderda ha affermato che “oggi è fermo. Ciononostante, è al centro dell’attenzione di molti soggetti che hanno partecipato alle varie gare e ipotesi di riorganizzazione. Il valore produttivo – ha spiegato Oderda – è riconosciuto da tutti, anche dai competitor, però purtroppo non è adeguatamente valorizzato all’interno del gruppo. Oggi siamo veramente in difficoltà. Comprendiamo le difficoltà legate al quadro generale e alla delicatissima situazione di Taranto, tuttavia, la crisi dello stabilimento di Racconigi ha caratteristiche diverse e richiede risposte immediate”.

BITETTI (TARANTO): CHIEDO AL GOVERNO COSA INTENDE FARE PER RISOLVERE LA QUESTIONE DI TARANTO

Parola poi al sindaco di Taranto Pietro Bitetti che, rivolgendosi al governo, chiede “cosa intende fare per risolvere la questione di Taranto, una città che si è sempre sacrificata per il bene del Paese e che oggi si sente piuttosto isolata. Dico una cosa su tutte: nel precedente accordo veniva stanziato un milione di euro a favore dei Comuni di Taranto e Statte in riferimento al ristoro ambientale. Sostanzialmente, un potenziamento della pulizia delle scuole a ridosso della fabbrica e un lavaggio più frequente delle strade, sulle quali c’era e c’è ancora uno spolverio che non è legato soltanto a polvere da minerale, ma probabilmente deriva dalle lavorazioni in fabbrica”.

CONVERTINO (AIGI): DEVE RAGGIUNGERE CONDIZIONI PRODUZIONE PER L’AUTOSOSTENIBILITÀ

“Noi di AIGI siamo favorevoli alle misure messe in atto con l’attuale disegno di legge in discussione. Bene lo smobilizzo degli ulteriori 109 milioni destinati all’Ex Ilva; bene tutti gli adempimenti e le misure previste per far fronte ai periodi di cassa integrazione che il fermo di alcuni impianti imporrà fino alla loro riparazione”. Così il presidente dell’Associazione indotto e general industries (AIGI), Nicola Convertino.

Per Convertino, però, “serve fare di più, molto di più, e bisogna farlo nel più breve tempo possibile. Serve che la più grande fabbrica siderurgica d’Europa raggiunga velocemente le condizioni di produzione, tali da garantire la sua completa autosostenibilità e ripresa. Acciaierie d’Italia e il suo indotto sono realtà complementari, complesse e fortemente interconnesse tra loro: i loro interessi coincidono con quelli dell’intero Paese: produrre acciaio e trasformare il polo siderurgico Ex Ilva nella più grande acciaieria green d’Italia; che alla provvisorietà e alla ricerca ogni mese della liquidità necessaria per far funzionare le macchine, pagare i fornitori e le aziende dell’indotto possa sostituirsi una stagione di certezza e stabilità. Per questo serve che lo Stato faccia lo Stato e metta in atto tutte le azioni necessarie per il bene del Paese, perché una materia così complessa e strategica per l’economia italiana non può essere risolta demandandola all’imbarazzo e alla non preparazione della comunità locale”.

I SINDACATI: LE RISORSE STANZIATE NON BASTANO

“Abbiamo preso atto di questo dpcm. Ci risultano questi 108 milioni che verranno utilizzati come fondi residui per la continuità industriale degli stabilimenti più altri 20 milioni. In merito ai 108 milioni, noi diciamo che sono cifre che vengono utilizzate a tampone e che non servono per una ripartenza effettiva degli stabilimenti, è come raschiare il barile rispetto alla situazione”. Così Loris Scarpa, segretario generale della Fiom-Cgil, che ha aggiunto: “stiamo chiedendo e continuiamo a chiedere da due anni a questa parte che, invece di pensare a una vendita degli stabilimenti a soggetti privati che non sono interessati alla continuità industriale, si possa intervenire, con risorse a capitale pubblico, per avere un’azienda partecipata pubblica, oppure delle aziende partecipate pubbliche che intervengano in amministrazione straordinaria per una ripartenza degli impianti. Questa per noi resta l’unica strada percorribile”.

Per Valerio D’Alò, della Fim-Cisl “le risorse sono insufficienti a quello che è l’obiettivo finale perché, sebbene, vogliano garantire una continuità industriale nell’immediato, quelle risorse, così utilizzate, non garantiscono assolutamente investimenti importanti sugli impianti perché possano essere rilanciati secondo il piano originario.

La cassa integrazione, “per come è stata disegnata nel decreto, va in continuità con il piano di chiusura, per cui non possiamo essere favorevoli quel piano perché ne abbiamo chiesto il ritiro. L’abbiamo chiesto con forte mobilitazione e, nonostante tutto, non abbiamo visto un passo in avanti per poter riprendere la discussione a Palazzo Chigi”.

“La Uil e la Uilm – ha dichiarato Guglielmo Gambardella, della Uilm Nazionale – ritengono che le risorse previste dall’articolo numero 1 del ddl 1731 saranno sufficienti solo per evitare la chiusura immediata dell’Ex Ilva, che di fatto è completamente ferma, con un solo altoforno in funzione, tra l’altro a marcia ridotta e discontinua”.

Per Gambardella, “i circa 100 milioni di euro residui previsti dal finanziamento del dl 92 del 26 giugno scorso, adesso utilizzabili dall’amministrazione straordinaria di ADI con questo disegno di legge, saranno appena sufficienti per far fronte ai costi di gestione ordinaria e per evitare lo spegnimento, visto che, da quanto ci risulta, il gruppo perderebbe fino a 60 milioni di euro al mese.

Inoltre, queste risorse non eviteranno il collasso del sistema dell’indotto in corso, di cui già si registrano i primi avvii di procedure di licenziamento per centinaia di lavoratori, soprattutto a Taranto. Il piano di rilancio non è stato realizzato. Il prospettato piano di ripartenza di tutti gli impianti è rimasto incompiuto e ad oggi è in vigore la cassa integrazione per un massimo di 4.550 unità, approvata senza l’accordo sindacale, con la previsione di arrivare fino a 6.000 unità con l’attuazione del piano corto presentato dal ministro Urso e dai commissari straordinari nell’incontro a Palazzo Chigi dell’11 novembre scorso”.

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