I combustibili fossili spariranno del tutto entro il 2050? Secondo l’ex premier britannico Tony Blair no. L’economista Jeremy Rifkin, invece, la pensa in modo opposto
Il blackout della Penisola Iberica ha sollevato dubbi riguardo l’affidabilità delle rinnovabili e la sostenibilità del processo di elettrificazione. Mentre le cause dell’apagòn sono ancora da ricercarsi, sorge spontanea una domanda: I combustibili fossili spariranno del tutto entro il 2050? Secondo l’ex premier britannico Tony Blair, l’obiettivo tracciato dal Green Deal è destinato a fallire. Una posizione che alcuni osservatori hanno visto come un avvicinamento a Trump. L’economista Jeremy Rifkin, invece, la pensa in modo opposto sull’addio ai combustibili fossili.
BLAIR: OBIETTIVO ELIMINARE FOSSILI AL 2050 DESTINATO A FALLIRE
L’obiettivo europeo di eliminare completamente i combustibili fossili entro il 2050 “è destinato a fallire” poiché l’opinione pubblica non è pronta ad affrontare i sacrifici necessario. È quanto scrive Tony Blair in uno recente studio della sua fondazione, suggerendo ai governi occidentali di non usare toni “allarmistici” sulla questione. L’ex premier propone poi di modificare il Green Deal puntando maggiormente sull’intelligenza artificiale e su investimenti in mini centrali nucleari per produrre energia rinnovabile.
Le parole di Blair hanno sollevato un polverone a Londra. I giornali hanno interpretato lo studio come una critica alla linea del governo laburista di Keir Starmer. Intervistato dalla BBC, l’ex premier ha provato a spegnere la polemica sottolineando che il dossier “è uno stimolo a maggiori ambizioni sul clima”, secondo quanto riporta La Repubblica.
RIFKIN: CAUSE DEL BLACKOUT IGNOTE MA LE RINNOVABILI SONO LE PIU’ ECONOMICHE
“Il Green Deal dovrebbe essere ancora più rigoroso”. Jeremy Rifkin, economista e consulente di diversi governi ha un’opinione opposta rispetto a Blair. “Anzi l’Europa dovrebbe dotarsi anche di un Blue Deal, per riscrivere il suo rapporto con l’acqua. Le due grandi emergenze della nostra epoca sono il cambiamento climatico e lo stravolgimento che esso sta provocando all’idrosfera”, ha detto in un’intervista a La Repubblica, sottolineando che le cause del blackout sono ancora ignote, ma dal 2019 le rinnovabili sono diventate le energie più economiche al mondo. La lobby dei fossili, però, non rinuncerà certo facilmente all’economia di gas e petrolio, che valgono un terzo del PIL mondiale.
“E il loro costo scende anno dopo anno. Ma il successo delle rinnovabili si basa anche sul fatto che non sono centralizzate. E che nessuno potrà mai centralizzarle. I combustibili fossili al contrario hanno generato una industria energetica centralizzata: i loro giacimenti si trovano in luoghi specifici e richiedono grandissimi investimenti per essere individuati e sfruttati”, ha aggiunto, sottolineando che “stiamo assistendo a una terza rivoluzione industriale, che porterà dalla globalizzazione alla“glolocalizzazione”.
La competizione cinese sulle rinnovabili non deve preoccupare, secondo Rifkin.
“È una buona cosa. E l’Occidente può essere competitivo. Tutto il mondo si sta orientando alle rinnovabili, perché sole e vento li hanno tutti, non sono risorse concentrate in pochi posti nel Pianeta. Il modello industriale centralizzato degli ultimi 200 anni è finito”, ha detto l’economista sottolineando che le posizioni di Trump non rischiano di danneggiare la transizione verso l’energia green.
“Non è il governo federale a possedere le infrastrutture: l’87% è nelle mani dei singoli Stati”.
LA CENTRALITA’ DELL’ACQUA
Il vero problema nel medio-lungo termine è l’acqua, secondo Rifkin,
“Anche in questo caso le rinnovabili danno un vantaggio. Per l’energia nucleare e quella fossile non serve solo il combustibile (uranio, carbone, petrolio, gas), ma occorre anche tanta acqua, quella di raffreddamento e quella che fa girare le turbine che poi generano elettricità. Le pale eoliche e i pannelli fotovoltaici non ne hanno bisogno: a parità di elettricità prodotta si risparmia il 95% di acqua. Il Green deal dovrebbe frenare le emissioni di gas serra più velocemente di quanto sta avvenendo ora, mentre il Blue Deal dovrebbe cambiare il nostro approccio all’acqua: da risorsa economica a sorgente di vita”, ha detto l’economista a La Repubblica, anticipando che nelle prossime settimane potrebbe vedere la luce una risoluzione chiamata “Planet aqua”.