Uno studio shock della Camera di Commercio tedesca avverte: senza un cambio di rotta, la competitività industriale del Paese e il consenso sociale sono a rischio.
La transizione energetica potrebbe costare alla Germania oltre 5 mila miliardi di euro nei prossimi 25 anni se non verrà intrapreso un deciso cambio di rotta nella politica energetica. È quanto emerge da uno studio commissionato dalla Camera di commercio e dell’industria tedesca (Deutsche Industrie- und Handelskammer, DIHK) e realizzato dalla società di consulenza Frontier Economics, che mette in guardia sugli effetti di obiettivi troppo rigidi e misure frammentarie. Le recenti decisioni del governo tedesco di ridurre alcune tasse e alleggerire i costi dell’elettricità non sarebbero sufficienti a frenare l’aumento delle spese e a garantire la competitività della Germania come sede industriale.
LE MISURE DEL GOVERNO
Negli ultimi anni il costo dell’energia in Germania è aumentato in misura più marcata rispetto ad altri paesi industrializzati, mettendo in difficoltà imprese e cittadini. Il governo ha quindi varato un pacchetto di provvedimenti che prevede la riduzione permanente dell’imposta sull’elettricità per l’industria manifatturiera e l’agricoltura al livello minimo consentito dall’Unione Europea. Questa misura dovrebbe garantire un risparmio annuo di circa 3 miliardi di euro per le aziende.
Parallelamente, l’esecutivo ha deciso di ridurre le tariffe di rete attraverso sussidi statali, con un beneficio stimato in 6,5 miliardi di euro all’anno. I fondi per finanziare tali agevolazioni proverranno però dal Fondo per il clima e la trasformazione, alimentato dalla tassa sulle emissioni di CO2, con l’effetto di rendere più onerose le fonti fossili. A completare l’intervento, è stata abolita la tassa per lo stoccaggio del gas, introdotta nel 2022 dopo lo scoppio della guerra in Ucraina per garantire l’approvvigionamento delle riserve, che pesava per 3,4 miliardi di euro all’anno.
COSTI DELLA TRANSIZIONE FINO A 5,5 MILA MILIARDI DI EURO
Secondo lo studio pubblicato dalla DIHK, le misure decise dal governo non bastano però a riportare la Germania su un percorso di competitività. Le proiezioni indicano che, mantenendo l’attuale politica energetica basata su obiettivi temporali stringenti, tasse sui combustibili fossili e incentivi parziali alle rinnovabili, i costi complessivi della transizione potrebbero oscillare tra 4,8 e 5,5 mila miliardi di euro entro i prossimi venticinque anni.
Una quota rilevante, stimata tra 2 e 2,3 mila miliardi, deriverebbe dalle importazioni di energia dall’estero. Alla costruzione e gestione delle reti spetterebbero 1,2 mila miliardi, mentre la produzione di nuova energia comporterebbe investimenti compresi tra 1,1 e 1,5 mila miliardi. A questi si aggiungono oneri burocratici valutati in circa 10 miliardi all’anno. Secondo Peter Adrian, presidente della DIHK, l’attuale approccio porta a costi crescenti, allocazioni inefficaci e un clima di incertezza che spinge sempre più imprese a trasferire attività e posti di lavoro oltre confine.
DECLINO COMPETITIVO E FRATTURA SOCIALE
La pressione economica generata dalla transizione, sostiene lo studio, rischia di erodere non solo la competitività industriale ma anche il consenso sociale attorno agli obiettivi climatici. Nel 2024 gli investimenti privati in Germania hanno raggiunto i 770 miliardi di euro, ma per rispettare i target fissati sarebbe necessario un incremento del 41%. Poiché gran parte di questi investimenti non garantisce un ritorno diretto, il loro finanziamento richiede ulteriori risorse che gravano su imprese e famiglie.
Il caso del colosso chimico BASF, che ha ridotto la produzione in Germania per concentrare nuovi investimenti all’estero, è uno degli esempi più citati. La prospettiva, avvertono le associazioni imprenditoriali, è che altri grandi gruppi possano seguire la stessa strada, riducendo il peso industriale della Germania e con esso la sua capacità di creare occupazione e innovazione.
UNA REVISIONE RADICALE DELLA POLITICA ENERGETICA
Per scongiurare questo scenario, la DIHK suggerisce una revisione radicale della politica energetica. In primo luogo, lo studio propone di estendere il sistema europeo di scambio delle quote di emissione (ETS) a tutti i settori, con un meccanismo di adeguamento regolare in base agli sviluppi nei paesi del G20. L’idea è che la Germania riduca le emissioni in misura comparabile a quella dei principali partner economici, evitando iniziative isolate che ne penalizzino la competitività.
Un secondo punto riguarda la necessità di ridurre gradualmente i sussidi diretti alle tecnologie rinnovabili, lasciando che la concorrenza tecnologica stabilisca soluzioni più efficienti. Inoltre, la DIHK invita ad alleggerire la pressione normativa eliminando la legge sull’efficienza energetica, giudicata troppo onerosa sul piano burocratico, e semplificando la normativa sugli edifici. Per quanto riguarda il riscaldamento, la sostituzione degli impianti esistenti dovrebbe avvenire solo quando rappresenta un’opzione economicamente vantaggiosa.
Secondo le stime dello studio, un riorientamento sistemico delle politiche consentirebbe di ridurre i costi complessivi della transizione energetica di almeno 530-910 miliardi di euro, pari a un risparmio compreso tra l’11 e il 17% rispetto agli scenari attuali.