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Nave Petroliera

Greggio pronto a schizzare oltre i 325 dollari in caso di conflitto nel Golfo Persico

Tre scenari possibili, nel peggiore dei quali, in caso di danni significativi alle infrastrutture di produzione e di esportazione del Golfo Persico oltre alla chiusura dello Stretto di Hormuz per tre mesi, “i prezzi del petrolio greggio finirebbero letteralmente per esplodere”.

La possibilità che l’Iran tenti di chiudere lo Stretto di Hormuz al traffico delle petroliere è aumentata significativamente nelle ultime settimane, così come la possibilità di una guerra nel Golfo Persico, specialmente dopo la distruzione di un drone di sorveglianza statunitense il 20 giugno scorso. Questa serie di fatti fa correre alla mente all’embargo petrolifero del 1951-53 che rovesciò il governo del primo ministro Mohammed Mossadegh portando al potere lo Shah Mohammad Reza Pahlavi. Ma la vera domanda da porsi in questi giorni è quale potrebbe essere l’impatto sui mercati petroliferi determinato da un’eventuale chiusura dello Stretto di Hormuz.

L’IRAN È UNA MINACCIA CREDIBILE PER LO STOP ALLA NAVIGAZIONE NELLO STRETTO DI HORMUZ

IranA rispondere alla domanda ci ha pensato Vincent Lauerman, presidente di Geopolitics Central, una società di consulenza energetica con sede a Calgary. “La leadership della Marina iraniana e della Guardia Rivoluzionaria, sapendo di non poter sfidare gli Stati Uniti in un contesto navale convenzionale, ha accumulato notevoli capacità asimmetriche per consentire alla Repubblica Islamica di chiudere lo Stretto di Hormuz dopo la ‘guerra delle petroliere’ nel Golfo Persico tra Iran e Iraq del 1980-88 – ha scritto su Oil Price -. Queste capacità includono mine, siluri, missili da crociera avanzati, mini sommergibili, e una flotta di piccole imbarcazioni per assalti, la maggior parte delle quali sono concentrate nella regione dello stretto. Gli strateghi del Pentagono ritengono che l’Iran possa utilizzare tutte queste ‘capacità’ in modo integrato sia per interrompere il traffico marittimo nello Stretto di Hormuz, sia per cercare di negare l’accesso delle forze americane e alleate alla regione. Le forze navali iraniane sono viste dunque come una ‘minaccia credibile’ alla navigazione internazionale nello stretto”.

I RISCHI COLLEGATI

Non solo. “Al comando CENTCOM tra il 2010 e il 2013, l’ex segretario alla Difesa Jim Mattis ha sviluppato un piano multinazionale per ridurre al minimo le interruzioni del traffico marittimo nello Stretto di Hormuz, con particolare attenzione alle mine, presupponendo che fossero il mezzo principale per ostacolare il traffico – ha evidenziato Lauerman -. Uno degli obiettivi principali del piano è quello di creare passaggi sempre più ampi e sicuri attraverso i campi minati. Naturalmente, le ostilità potrebbero estendersi anche ad altre parti della regione del Golfo Persico – e una guerra regionale potrebbe scoppiare anche senza che l’Iran abbia prima chiuso lo stretto – nel qual caso la produzione di petrolio e gas e le infrastrutture di esportazione potrebbero subire danni significativi. Se attaccata dagli Stati Uniti e dalle forze alleate, o in caso si ritenga imminente l’attacco, Teheran potrebbe scegliere di lanciare attacchi aerei e missilistici contro le forze militari americane e alleati regionali come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti mentre ha ancora la capacità di farlo. Questa strategia di ‘usare le armi prima di perderle’ si baserebbe in gran parte sull’esperienza di Saddam Hussein in Iraq”, ha spiegato l’esperto.

TRE SCENARI: IL PIU’ OTTIMISTA VEDE PREZZI IN RIALZO FINO A 100 DOLLARI

L’impatto della chiusura dello Stretto di Hormuz sui prezzi globali del greggio dipenderà ovviamente dalla quantità di petrolio che verrebbe tagliata fuori dal mercato mondiale. “Nello scenario più ottimistico, di chiusura per pochi giorni dello Stretto di Hormuz, l’impatto sulle forniture globali di petrolio potrebbe essere minimo, ma porterebbe con sé, comunque, un breve picco superiore a 100 dollari al barile a causa dell’incertezza iniziale sul suo esito – ha sottolineato Lauerman -. I prezzi del greggio scenderebbero poi rapidamente ai livelli precedenti la crisi”. La spiegazione del perché è molto semplice, secondo il presidente di Geopolitics Central: “Il flusso di 20,7 milioni di barili di greggio giornalieri e di prodotti petroliferi si ridurrebbe in caso di chiusura dello Stretto di Hormuz ma il taglio verrebbe mitigato da quasi 4 milioni di barili giornalieri trasportati tramite gli oleodotti di riserva che spediscono combustibile in Arabia Saudita verso gli impianti di esportazione del Mar Rosso e di Abu Dhabi che bypassa lo Stretto di Hormuz”. A ciò vanno aggiunte le riserve “strategiche” di Riad in vari impianti di stoccaggio in tutto il mondo “tra cui Rotterdam in Europa, Okinawa per Cina e Asia e la costa del Golfo degli Stati Uniti”.

LO SCENARIO PESSIMISTA VEDE RIALZI FINO A 325 DOLLARI AL BARILE

Nello scenario più pessimistico, “il sistema mondiale di risposta alle emergenze petrolifere sarebbe gravato al massimo nei primi due mesi della crisi – nell’ipotesi che lo Stretto di Hormuz sia completamente chiuso per i primi 45 giorni, e ci sia poi una ripresa del traffico petrolifero nei seguenti 45 giorni – portando a prezzi del greggio più elevati per un periodo prolungato. Le riserve strategiche globali di petrolio sarebbero più che sufficienti a coprire il deficit in senso generale, con il 40% del totale degli 1,9 miliardi di barili rimanenti dopo la crisi. Ma il tasso di ritiro giornaliero dalle riserve strategiche costituirebbe comunque una sfida”, ha spiegato l’esperto. Alcuni studi precedenti, ha scritto ancora Lauerman su Oil Price “suggeriscono che un massimo di 14,4 milioni di barili di greggio giornalieri potrebbero essere immessi sul mercato dalle riserve dei paesi membri dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (Aie) nel primo mese e circa 12,5 milioni nel secondo mese, a fronte di interruzioni, rispettivamente, di 16,9 milioni e 15,5 milioni, sulla base delle nostre ipotesi. La Cina e l’India rappresentano attualmente circa un quinto delle riserve strategiche globali e i prelievi dalle loro riserve contribuirebbero agli sforzi dell’Aie”. In tale contesto, sulla base di uno studio dell’aprile 2018 del King Abdullah Petroleum Studies and Research Center (KAPSARC) di Riad, “in un mondo senza capacità di riserva petrolifera – che in effetti sarebbe il caso di uno Stretto di Hormuz chiuso – i prezzi del petrolio potrebbero superare i 325 dollari al barile, come sarebbe potuto succedere al culmine della crisi libica nel giugno 2011. Per ragioni di scala, 60 milioni di barili furono liberati dalle scorte dei paesi dell’Aie durante la crisi”.

AlgeriaNELLO SCENARIO APOCALITTICO PREZZI ANCORA PIU’ SU

Infine, in uno scenario apocalittico, in cui si registrano danni significativi alle infrastrutture di produzione e di esportazione del Golfo Persico oltre alla chiusura dello Stretto di Hormuz per tre mesi, “i prezzi del petrolio greggio finirebbero letteralmente per esplodere. La loro spirale finirebbe per non scendere fino all’avvio di una recessione mondiale. Basti pensare che un solo colpo diretto all’impianto di lavorazione petrolifera di Abqaiqaiq di proprietà di Aramco potrebbe privare il mercato mondiale di 7 milioni di barili al giorno per un anno o più – ha concluso Lauerman -. L’impatto di questa e di altre perdite di produzione del Golfo Persico potrebbe essere mitigato dal restante 40% delle riserve strategiche mondiali, così come dai 200 milioni di barili al giorno di greggio che l’Arabia Saudita detiene in patria, a condizione però che gli impianti di esportazione sauditi rimangano relativamente intatti”.

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