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Nucleare

Il 2024 sarà l’anno del ritorno dell’energia nucleare?

Ad oggi solo 12 Paesi Ue si 27 producono energia nucleare: Francia (con 56 reattori), Spagna (7), Svezia (6), Repubblica Ceca (6), Finlandia (5), Belgio (5), Slovacchia (5), Ungheria (4), Romania (2), Bulgaria (2), Olanda (1) e Slovenia (1)

Quella dell’energia nucleare è, da sempre, una questione molto divisiva. Se infatti per alcuni, è indispensabile per il raggiungimento degli obiettivi net zero e per contrastare i cambiamenti climatici, secondo altri l’atomo è una tecnologia obsoleta e troppo costosa. Detto questo, il 2023 è stato indubbiamente un anno in cui il nucleare è tornato prepotentemente agli onori della cronaca.

Nel dicembre scorso, per la prima volta in modo esplicito, il nucleare è stato menzionato nel documento finale della COP28 di Dubai, con 20 Paesi che hanno firmato un accordo “per triplicare le capacità nucleari nel mondo entro il 2050”. Poche settimane dopo, l’Unione europea ha inserito l’energia nucleare tra le tecnologie considerate strategiche per raggiungere le zero emissioni nette entro il 2050. La Commissione europea ha annunciato inoltre che nei primi mesi del 2024 nascerà “un’alleanza industriale per i piccoli reattori modulari”. Ecco allora che, se nell’anno appena trascorso il nucleare è tornato di moda, ci sono forti segnali che lasciano presagire che il 2024 potrebbe essere l’anno della svolta.

L’ENERGIA NUCLEARE IN EUROPA

Ma com’è la situazione del nucleare nei Paesi europei? Ad oggi solo 12 Paesi Ue si 27 producono energia nucleare: Francia (con 56 reattori), Spagna (7), Svezia (6), Repubblica Ceca (6), Finlandia (5), Belgio (5), Slovacchia (5), Ungheria (4), Romania (2), Bulgaria (2), Olanda (1) e Slovenia (1).

Lo scorso aprile, la Germania ha spento i suoi ultimi 3 reattori, e pochi giorni fa anche la Spagna ha confermato che seguirà le orme di Berlino, annunciando che, entro il 2035, tutte le sue centrali nucleari verranno chiuse. Fino a pochi anni fa anche la Svizzera e il Belgio sembravano pronti a smantellare i propri reattori ma, a causa della crisi del gas innescata dalla guerra in Ucraina, i due governi hanno deciso di rivedere i propri piani.

Tra i favorevoli al nucleare, la Francia è leader in Europa. I nostri vicini possiedono infatti 56 dei 100 reattori attivi nell’Unione europea e Parigi ricava dal nucleare il 41% dell’energia che consuma. A voler puntare sull’atomo è anche la Finlandia, in cui lo scorso aprile è stato avviato il reattore nucleare più grande d’Europa. Anche la Polonia guarda con interesse al nucleare: nel 2022 Varsavia ha prodotto oltre il 40% della propria energia dal carbone, ma ha in programma di iniziare a costruire la sua prima centrale nucleare nel 2026, per poter produrre energia a partire dal 2033.

IL NUCLEARE IN ITALIA

C’è stato un tempo, non molto lontano, in cui l’Italia era considerata un Paese pioniere nell’energia nucleare. All’epoca si sfruttavano le 4 centrali di Trino (Vercelli), Caorso (Piacenza), Sessa Aurunca (Caserta) e Latina. Poi, dopo il disastro di Chernobyl del 1986, arrivò il referendum che portò alla chiusura di tutti gli impianti italiani e allo smantellamento del programma nucleare del governo.

A tentare di riportare in auge l’energia atomica fu il governo di Silvio Berlusconi, ma anche in quel caso gli italiani si opposero con un referendum abrogativo, che venne appoggiato a grandissima maggioranza. Dopo quasi 10 anni di sostanziale inattività, negli ultimi tempi il dibattito sull’atomo si è ravvivato, e diversi esponenti del governo Meloni si sono detti aperti a reinserire il nucleare nel mix energetico del nostro Paese. Lo scorso maggio il Parlamento ha approvato una mozione che impegna il governo a “valutare in quali territori al di fuori dell’Italia la produzione di energia nucleare possa soddisfare il fabbisogno di energia nazionale”. A settembre, poi, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha lanciato la Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile. Al termine del percorso – che coinvolge istituzioni, aziende ed esperti del settore – il governo dovrà presentare la sua strategia.

Stando ad alcune dichiarazioni fatte dal ministro Pichetto Fratin, il governo starebbe pensando non a costruire delle centrali nucleari tradizionali, ma piccoli reattori modulari che verrebbero utilizzati dalle aziende energivore.

GLI SMALL MODULAR REACTORS

Come dicevamo nei primi mesi di quest’anno la Commissione europea dovrebbe lanciare l’alleanza sui piccoli reattori modulari (small modular reactors – SMR), e l’Italia vuole giocare un ruolo da protagonista. Per farlo, il nostro Paese potrà affidarsi ad Ansaldo Nucleare e all’Enea, due tra le cinque maggiori aziende europee che si occupano di ricerca sugli SMR.

Lo scorso ottobre sul tavolo del ministro Pichetto Fratin è arrivato un programma, di 35 pagine, che spiega la roadmap dell’Italia sul nucleare. Nel documento si parla di un investimento di 30 miliardi di euro per costruire 15-20 mini centrali, con il primo cantiere che dovrebbe essere aperto nel 2030 per poi proseguire, fino al 2050, ad una media di un reattore all’anno. A presentare la roadmap sono state Edison, Ansaldo Nucleare, ENEA, il Politecnico di Milano e Nomisma Energia. Al documento è seguita poi una mozione della maggioranza alla Camera, che impegna il governo a “valutare l’opportunità di inserire nel mix energetico nazionale anche il nucleare”.

L’obiettivo del governo adesso sarà quello di arrivare a stilare un programma, comprensivo di linee guida ad hoc, condiviso con le altre forze politiche. Un altro obiettivo sarà poi la creazione di un Gruppo tecnico interministeriale, sotto la regia della Presidenza del Consiglio, per definire il quadro normativo e per istituire l’Autorità di Sicurezza Nucleare Italiana.

IL DEPOSITO NAZIONALE DELLE SCORIE NUCLEARI

Una delle questioni più spinose riguarda i rifiuti, le scorie nucleari. L’Italia da decenni deve trovare un sito idoneo per la discarica nazionale dei rifiuti radioattivi, e deve realizzarla. Finora, però, non è stato fatto nulla. Ad inizio 2021 la Sogin ha pubblicato la carta dei siti idonei – la CNAPI -, che indica 67 siti possibili, ma quello definitivo non è stato ancora scelto.

Dopo una prima fase di consultazione e partecipazione dei territori interessati, tenuta sempre da Sogin, il 15 marzo 2022 il MASE ha ricevuto la CNAI (Carta delle aree idonee), sulla quale l’Ispettorato della sicurezza nucleare (ISIN) ha richiesto delle integrazioni e degli approfondimenti sui criteri di esclusione adottati da Sogin rispetto alle aree potenzialmente idonee. Il governo, in risposta ad un’interrogazione parlamentare, ha poi comunicato che la procedura autorizzativa del deposito contempla anche una Valutazione ambientale strategica (VAS), la cui mancanza è alla base della procedura d’infrazione che l’Unione europea ha comminato all’Italia.

LE CARATTERISTICHE TECNICHE DEL DEPOSITO DELLE SCORIE NUCLEARI

Secondo i dati Ansa, il progetto ufficiale del deposito nazionale occuperà complessivamente 150 ettari: 110 ettari per il deposito vero e proprio e 40 ettari per un Parco tecnologico dedicato alla ricerca e alla formazione sul nucleare. Il deposito sarà costituito da 90 costruzioni in calcestruzzo armato – le cosiddette “celle”, di 27 metri per 15,5 e alte 10 metri – a cui interno verranno conservati grandi contenitori in calcestruzzo speciale (moduli), che a loro volta conterranno i bidoni metallici dei rifiuti radioattivi stabilizzati. Nelle celle verranno sistemati circa 78.000 metri cubi di rifiuti ad attività molto bassa o bassa. Una volta riempite, le celle verranno poi coperte da una collina artificiale di materiali inerti e impermeabili. Il deposito riceverà rifiuti per 40 anni, dopodiché li custodirà fino al decadimento.

Secondo Sogin, le barriere ingegneristiche del deposito e le caratteristiche del sito dove sarà realizzato garantiranno l’isolamento dei rifiuti radioattivi dall’ambiente per oltre 300 anni, finché scenderanno a livelli trascurabili per la salute dell’uomo e per l’ambiente. Nei 300 anni necessari a far decadere la radioattività, il deposito verrà monitorato per garantire la massima efficienza delle barriere.

In un’apposita area del deposito sarà creato un complesso di edifici per lo stoccaggio di lungo periodo di circa 17.000 metri cubi di rifiuti a media e alta attività, ovvero le scorie più pericolose, che rimangono radioattive per migliaia di anni. Queste ultime resteranno temporaneamente al deposito, per essere poi sistemate definitivamente in un deposito geologico sotterraneo (ancora da individuare).

I COSTI E LE COMPENSAZIONI PER I TERRITORI

Il deposito nazionale delle scorie nucleari costerà 900 milioni di euro, che saranno finanziati con le bollette elettriche. Per le altre tipologie di rifiuti – come ad esempio i rifiuti medicali – si applicherà una tariffa di conferimento, pagata da chi li produce. Secondo i calcoli di Sogin, la mancata costruzione del deposito costerebbe al nostro Paese da 1 a 4 milioni all’anno per ciascun sito dove si trova un deposito. Si genererebbero 4.000 posti di lavoro l’anno per 4 anni di cantiere.

Durante la fase di esercizio, invece, l’occupazione diretta è stimata in circa 700 addetti, fra interni ed esterni, con un indotto che può incrementare l’occupazione fino a circa 1.000 posti di lavoro. Il territorio che ospiterà il Deposito nazionale riceverà un contributo economico (compensazione). Ad inizio novembre, agli Stati generali della Green economy di Rimini, il ministro Pichetto Fratin ha dichiarato che avrebbe allocato il deposito entro il Natale 2023, realizzandolo entro la vigente legislatura.

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