Al vertice sul clima di novembre in Azerbaigian, i governi dovranno concordare un nuovo quadro per la finanza climatica e “un nuovo obiettivo quantificato collettivo” che stabilirà quanto i Paesi ricchi dovranno fornire ai più poveri e come raccogliere e spendere il denaro
L’ONU ha ammesso che trovare i finanziamenti necessari per evitare gli impatti peggiori della crisi climatica “sarà una montagna molto ripida da scalare”, poiché due importanti conferenze internazionali non sono riuscite a produrre i progressi necessari per generare fondi per i Paesi poveri. A meno di cinque mesi dal vertice sul clima COP29 delle Nazioni Unite che si terrà in Azerbaigian a novembre, non esiste ancora un accordo su come colmare il divario – pari a trilioni di dollari – tra quello che i Paesi in via di sviluppo ritengono necessario e i circa 100 miliardi di dollari all’anno di finanziamenti per il clima che oggi fluiscono dalle fonti pubbliche del mondo ricco verso i Paesi in via di sviluppo.
IL TEMA DELLA FINANZA CLIMATICA
Finora i Paesi ricchi hanno dato pochi segnali di essere all’altezza della sfida. Il vertice dei Capi di Stato dei Paesi del G7 – che si è svolto in Italia lo scorso fine settimana – ha aggirato il tema della finanza climatica, parlando dell’importanza dello spazio fiscale e della mobilitazione di risorse da tutte le fonti per una maggiore azione sul clima e sullo sviluppo, in particolare per i Paesi a basso reddito e i Paesi vulnerabili”.
Gli attivisti hanno affermato che le promesse del gruppo di “lavorare su un approccio coordinato” erano troppo vaghe e avevano poca sostanza. Harjeet Singh, global engagement director dell’Iniziativa del Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili, ha dichiarato che “i Paesi del G7 hanno fallito ancora una volta nei loro obblighi nel rispondere alla crisi climatica. I Paesi ricchi hanno una responsabilità significativa nei confronti dei Paesi in via di sviluppo per i danni che hanno inflitto in anni di sfruttamento estrattivo delle risorse e per i conseguenti impatti causati dai cambiamenti climatici. Devono trilioni di dollari ogni anno a centinaia di milioni di persone, che soffrono e muoiono a causa degli impatti climatici”.
Secondo Sima Kammourieh, responsabile del programma del think tank E3G, “i leader del G7 non sono riusciti a presentare il piano d’azione economico e finanziario completo, strutturato e specifico necessario per la sicurezza climatica globale. In questo frangente, è necessario qualcosa di più che una serie di opzioni o strutture di alto livello”.
LA RIUNIONE SUL CLIMA A BONN
Giovedì scorso, un estenuante incontro, durato due settimane, tra ministri e funzionari a Bonn, la sede delle Nazioni Unite sul clima, si è concluso con dei risultati concreti altrettanto scarsi. Mohamed Adow, direttore del think tank Power Shift Africa, ha avvertito che, senza finanziamenti, i Paesi in via di sviluppo non potranno sperare di ridurre le proprie emissioni e fronteggiare l’impatto della crisi climatica. “Ci si aspetta che i Paesi in via di sviluppo uccidano il drago del clima con delle spade invisibili, non avendo alcuna garanzia sui finanziamenti a lungo termine di cui hanno bisogno”, ha spiegato Adow.
Simon Stiell, responsabile clima delle Nazioni Unite, ha avvertito che “non possiamo continuare a rimandare i problemi di quest’anno al prossimo anno. I costi della crisi climatica – per le persone e per l’economia di ogni nazione – non fanno altro che peggiorare”.
Questi fallimenti hanno distrutto le già fragili speranze di raggiungere una soluzione globale che fornirebbe i fondi necessari ai Paesi poveri per ridurre le emissioni di gas serra e fronteggiare gli effetti del peggioramento delle condizioni meteorologiche estreme.
LA COP29 IN AZERBAIGIAN
Il prossimo novembre, alla COP29 in Azerbaigian, i governi dovranno concordare un nuovo quadro per la finanza climatica e un “nuovo obiettivo quantificato collettivo” che stabilirà quanto i Paesi ricchi dovranno fornire ai più poveri e come raccogliere e spendere il denaro.
Una ricerca condotta nel 2022 dagli economisti Nicholas Stern e Vera Songwe ha suggerito che sarebbero necessari circa 2,4 trilioni di dollari all’anno per affrontare la crisi climatica da parte dei Paesi in via di sviluppo, esclusa la Cina. Di questa somma, circa 1,4 trilioni di dollari potrebbero provenire dai bilanci nazionali dei Paesi, lasciando circa 1 trilione di dollari da fonti di finanziamento per il clima, come la Banca Mondiale e altre banche di sviluppo.
IL RUOLO DEL SETTORE PRIVATO NELLA FINANZA CLIMATICA
I Paesi sviluppati concordano ampiamente sulla necessità di tali somme, ma resistono al suggerimento di alcuni di loro, secondo cui dovrebbero provenire tutti dai loro contribuenti. Vorrebbero invece vederne alcuni provenire dal settore privato e altri da altre fonti, come i mercati del carbonio o “misure innovative”, come le tasse sui combustibili fossili, sui frequent flyer o sulle spedizioni internazionali.
Sottolineano inoltre il fatto che i ricchi petro-Stati come l’Arabia Saudita, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti non hanno alcun obbligo di contribuire ai finanziamenti per il clima, né lo hanno i Paesi con economie in crescita che sono ancora classificati come in via di sviluppo, tra cui Cina, Corea del Sud e Singapore.
Non c’è chiarezza su come eventuali nuove forme di finanziamento potranno essere messe in atto. Alla conferenza di Bonn è stata ventilata la prospettiva di una qualche forma di tassa sui combustibili fossili, ma l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti ed altri Paesi si sono opposti a discutere dell’idea. Sebbene Bonn abbia fornito un po’ di chiarezza su alcune questioni tecniche, c’è stato poco terreno comune politico. “Da qui alla fine della COP, avremo molto da fare”, ha concluso Stiell.