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Europa

La stella polare della transizione energetica

L’articolo di Simone Togni tratto dal numero di novembre dicembre de “Il Pianeta Terra”

Il 2019 sta finendo e arriviamo finalmente a quel 2020 che nell’immaginario collettivo indicava la data entro la quale si sarebbero dovuti vedere i primi risultati significativi delle lotte ai mutamenti climatici, alla luce del Protocollo di Kyoto e delle varie Cop (conferenze organizzative delle parti). Purtroppo, proprio il 2020 sarà invece l’hanno nel quale la Cop 26 di Londra dovrà fare quel passo avanti indispensabile a far sì che si riguadagni tutto il tempo perso e si definiscano gli obiettivi chiari e non eludibili per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione totale al 2050.

Tanto è stato fatto a Parigi, tantissimo dovrà essere ancora fatto in termini di ambizione dei target, di predisposizione di strumenti e di attuazione dei piani nei singoli Paesi aderenti agli accordi internazionali. Il momento è quello giusto, ci sono movimenti di piazza come mai nel passato a chiedere ai governanti di fare tutto quello che è nelle loro possibilità per combattere in maniera drastica il “Global Warming”, le cui conseguenze ognuno di noi può purtroppo verificare quotidianamente indipendentemente dalla latitudine alla quale vive.

L’incremento sensibile degli eventi atmosferici estremi è oggettivamente sotto gli occhi di tutti ed è purtroppo il miglior sponsor per chi sta protestando contro l’inedia dei principali Governi che non dimostrano di avere quella visione e quel coraggio necessari a mettere in campo in maniera decisa ogni strumento utile al raggiungimento dello scopo di decarbonizzazione.

La trasformazione di un sistema produttivo è qualcosa di estremamente complesso, molto lungo e necessità di una costanza di interventi che consentano all’imprenditoria di organizzarsi nella riconversione dei processi con i tempi necessari. Nel settore energetico questo è ancor più vero alla luce delle tempistiche lunghe propedeutiche alla realizzazione delle infrastrutture che scontano ritardi delle Amministrazioni pubbliche nel rilascio dei titoli abilitativi e complessità tecniche.

Il continuo cambio di politiche energetiche, invece, genera ritardi e mancanza di fiducia che a loro volta si trasformano in inefficienza e quindi fallimento degli obiettivi. Il Piano nazionale energia e clima che l’Italia si accinge a inviare a Bruxelles in questi ultimi giorni dell’anno dovrà essere ben più ambizioso se veramente vogliamo combattere i mutamenti climatici ma soprattutto dovrà portare indicazioni su procedure e strumenti per la sua applicazione.

Il settore energetico tutto (quello elettrico in particolare) ha bisogno infatti di poter contare su meccanismi di stabilizzazione e di supporto pluriennali, con la garanzia delle misure individuate e della loro reale efficacia. In gioco, tra l’altro, non vi è soltanto la salute del nostro pianeta ma anche la sicurezza energetica e non solo dei nostri Paesi. La sicurezza degli approvvigionamenti è uno degli elementi centrali ai quali dobbiamo mirare per rendere stabile l’Italia e per sgonfiare le tensioni geopolitiche nelle aree meno stabili del globo. L’energia elettrica sempre più sarà alla base dello sviluppo industriale e civile del pianeta poiché solo tramite una elettrificazione spinta dei consumi potremo raggiungere la decarbonizzazione necessaria a combattere i mutamenti climatici. È per questo che dovremmo porci il problema di come Paese realizzare un grande piano strategico delle infrastrutture indispensabili allo sviluppo di un nuovo modello energetico che metta al centro la sicurezza degli approvvigionamenti, l’indipendenza energetica e lo sviluppo industriale.

Oggi la tecnologia ci consente in maniera efficiente e rispettosa dell’ambiente di elettrificare i consumi finali grazie alle soluzioni sempre più avanzate e disponibili che vanno dalla mobilità elettrica alle tecnologie a induzione per gli usi domestici, fino alle pompe di calore per il riscaldamento e il raffrescamento. Questo percorso di elettrificazione necessita tuttavia di un grande piano infrastrutturale che veda da un lato un significativo aumento delle autorizzazioni per la realizzazione di nuovi impianti alimentati da fonti rinnovabili e dall’altro le reti di trasmissione dell’energia elettrica al centro di un ulteriore sviluppo teso a magliare il territorio nazionale in maniera più adeguata rispetto alla rete di media, alta e altissima tensione. A ciò va aggiunto un grande piano di sviluppo della rete di distribuzione nelle città che consenta un significativo aumento della capacità e capillarità.

La penetrazione sempre maggiore del vettore elettrico, infatti, consente una semplificazione negli utilizzi finali dell’energia e al contempo, se abbinata all’utilizzo di energia elettrica da fonte rinnovabile, garantisce una decarbonizzazione e una significativa riduzione dell’inquinamento proprio nei punti dove l’energia viene consumata, aiutando quindi in modo rilevante la riduzione dei livelli di inquinamento dove la concentrazione della popolazione è maggiore.

In conclusione, il Piano nazionale energia e clima che il nostro Paese si impegna ad attuare per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e al 2050 necessita di alcuni elementi: da un lato lo sviluppo delle nuove infrastrutture energetiche da fonti rinnovabili e delle reti; dall’altro una serie di provvedimenti normativi e regolatori atti a semplificare la realizzazione di queste infrastrutture, con al centro sia l’aspetto ambientale, quindi di lotta ai mutamenti climatici, sia quello altrettanto importante di sicurezza degli approvvigionamenti e di indipendenza energetica cui il nostro Paese deve tendere.

Un piano industriale di questo tipo, che veda finalmente l’energia come strategica per l’Italia, deve per forza di cose essere coordinato a livello di Presidenza del Consiglio dei ministri, impegnando il Governo intero in un grande piano di sviluppo che coinvolga l’industria nazionale verso uno sforzo decennale di ammodernamento del sistema produttivo. Il risultato atteso dovrà essere anche quello di un significativo impatto benefico sui livelli di inquinamento atmosferico e quindi di raggiungimento degli obiettivi di mitigazione dei danni causati dai mutamenti climatici in corso. Il Green New Deal non può prescindere da un quadro strategico all’interno del quale muoversi che veda impegnati i campioni nazionali, le piccole e medie aziende e tutti quelli che nel settore delle rinnovabili, dell’energia e delle infrastrutture possono contribuire alla causa comune.

Tutti i comparti produttivi interessati devono essere coinvolti in quest’opera di ammodernamento del Paese. L’occasione è troppo importante per non essere sfruttata in maniera organica e con una visione strategica, per questo motivo è fondamentale che il coordinamento di tutte le componenti del Governo sia in capo alla Presidenza che può realizzare questo grande piano di sviluppo energetico del nostro Paese con la sensibilità giusta rispetto alle priorità da seguire. Ambiente, indipendenza energetica, sviluppo industriale e sicurezza degli approvvigionamenti dovranno essere la stella polare che nei prossimi anni dovrà guidare la transizione energetica già in corso.

Dal numero di novembre dicembre de Il Pianeta Terra

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