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Made Green In Italy

Made Green in Italy, Nesci: Mite continuerà a promuoverlo. Gallo (M5s): Pochi prodotti, serve strategia

“Il Ministero dello Sviluppo economico pone l’accento sull’opportunità di tenere in debita considerazione gli equilibri del commercio internazionale ed il vaglio degli organismi internazionali, quali la World Trade Organization e, sempre a beneficio degli interpellanti, depositerò il testo” sui meccanismi di premialità

Lo Schema volontario per la valutazione e la comunicazione dell’impronta ambientale dei prodotti (beni e servizi), denominato Made Green in Italy e basato sulla metodologia Product Environmental Footprint, PEF, “è stato disciplinato con il fine di valorizzare e promuovere la competitività del sistema produttivo nazionale in un contesto di sempre più crescente domanda di prodotti con un livello di qualificazione ambientale elevato. Con suddetta disposizione, pertanto, si è inteso promuovere l’adozione di tecnologie e disciplinari di produzione innovativi che consentano di ridurre gli impatti ambientali dei prodotti e servizi lungo tutto il ciclo di vita degli stessi”. Lo ha detto la sottosegretaria di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri Dalila Nesci rispondendo a un’interrogazione presentata da Luigi Gallo (M5s). Secondo la sottosegretaria il provvedimento è “uno strumento atto a rafforzare l’immagine, il richiamo e l’impatto comunicativo che distingue le produzioni nazionali, associandovi aspetti di qualità ambientale, oltre a consolidare la qualificazione ambientale dei prodotti agricoli”.

COME FUNZIONA LO SCHEMA MADE GREEN IN ITALY

L’attuazione dello schema volontario Made Green in Italy prevede due fasi, ha ricordato ancora Nesci. “La prima di esse contempla l’elaborazione delle Regole di categoria di prodotto necessarie affinché un soggetto possa aderire allo schema, che si sostanziano in documenti contenenti indicazioni metodologiche che definiscono regole e requisiti obbligatori e facoltativi necessari alla conduzione di studi relativi all’impronta ambientale per quella specifica categoria di prodotto – ha sottolineato -. Le Regole di categoria di prodotto possono essere proposte da soggetti, sia pubblici che privati, costituiti da almeno 3 aziende, di cui almeno una rientrante nella definizione di PMI di cui al decreto Map-Mise del 2015, che rappresentano la quota maggioritaria del settore della specifica categoria di prodotto interessata. La seconda fase consiste nell’adesione vera e propria allo schema Made Green in Italy, la cui richiesta può essere effettuata se è, appunto, in corso di validità la Regola di categoria di prodotto”.

“La licenza d’uso del logo Made Green in Italy viene ottenuta per i prodotti i cui benchmark ottengono, a seguito dello studio di valutazione dell’impronta ambientale seguendo la metodologia PEF, le classi A e/o B, ovvero superiori al benchmark o in linea con essi, e ha una durata di 3 anni, rinnovabile prima della scadenza – ha spiegato la sottosegretaria -. Per quanto concerne le azioni volte al supporto della strategia Made Green in Italy, si segnala che il Ministero della Transizione ecologica ha promosso un primo bando, conclusosi nel 2020, ed uno ulteriore nel mese di dicembre 2021, volti al finanziamento per l’elaborazione di Regole di categoria di prodotto nell’ambito dello schema che è stato oggetto dell’interpellanza. Il secondo bando, connotato dalla procedura a sportello, sarà attivo fino al 10 luglio prossimo. In particolare, in un’ottica di impegno nell’ottemperanza degli impegni assunti con l’Accordo di Parigi, oltre che degli obiettivi declinati dal Green Deal europeo, sono stati stanziati 410 milioni di euro per la promozione dello schema di Made Green, ovvero della predisposizione delle Regole di categoria di prodotto”.

NESCI: STRUMENTO DI MARKETING CONOSCIUTO E APPREZZATO DAI CONSUMATORI

Per quanto concerne le RCP pubblicate ad oggi, “si specifica che sono 15, di cui 7 afferenti al settore agroalimentare, ovvero il Grana Padano, il Provolone Tutela Valpadana, l’aceto, la pasta secca, le carni fresche di suino e di bovino e i gelati. I rimanenti 8 sono invece afferenti al settore industriale e riguardano le borse in PE, i servizi di lavanderia industriale, la lana cardata, la fabbricazione di imballaggi in legno, l’acciaio, i geotessili e i prodotti correlati, il tabacco greggio e le grandi casse in polietilene”, ha precisato Nesci.

Il logo Made Green in Italy risulta essere insomma “uno strumento di marketing già apprezzato e conosciuto dai consumatori, in associazione ad altre etichette ambientali più diffuse, i quali ritengono che intrinsecamente convogli un’informazione relativa alla credibilità e affidabilità del prodotto e/o servizio a cui è associato, condizionando in parte anche la scelta di acquisto”. Per questo, ha chiarito Nesci “il Ministero della Transizione ecologica continuerà a promuovere lo schema di Made Green in Italy congiuntamente con tutti gli attori interessati e coinvolti, nella convinzione che esso rappresenti un’eccellenza nello scenario delle certificazioni ambientali, nonché una peculiarità, dal momento che riesce a coniugare la dimensione della performance ambientale dei prodotti nell’arco dell’intera catena del valore con la dimensione del made in Italy, strettamente correlata all’immagine del sistema produttivo nazionale”.

AL VAGLIO DEGLI ORGANISMI INTERNAZIONALI MECCANISMI PREMIALITA’

Infine, per quanto riguarda l’ipotesi di adottare iniziative tese a promuovere meccanismi di premialità nella scelta di prodotti e servizi, attesa la competenza ripartita fra diverse amministrazioni, “si segnala che il Ministero dello Sviluppo economico pone l’accento sull’opportunità di tenere in debita considerazione gli equilibri del commercio internazionale ed il vaglio degli organismi internazionali, quali la World Trade Organization e, sempre a beneficio degli interpellanti, depositerò il testo” ha concluso Nesci.

GALLO (M5s): IN UNDICI ANNI SOLO 15 PRODOTTI ALIMENTARI E 8 INDUSTRIALI, TROPPO POCO, SERVE STRATEGIA

Non soddisfatto della risposta il firmatario dell’interrogazione Gallo. “Perché non posso essere soddisfatto? Perché con una strategia che, come abbiamo detto, è partita nel 2011, noi oggi ci troviamo – non credo con eccessivi sforzi dei vari Ministeri che, in questo momento, sono attivi su questa proposta – semplicemente con 15 prodotti alimentari, 8 industriali e poco altro; rendiamoci conto che, rispetto al paniere di un qualsiasi cittadino che la mattina si reca al supermercato a fare la spesa, se trova un prodotto ‘made in green’ e lo mette nel suo carrello è già festa, ossia è riuscito diciamo a portare a casa un solo prodotto che riesce a entrare nella strategia della transizione ecologia – ha precisato -. Allora, noi dobbiamo essere chiari: questa transizione ecologica, che è entrata a forza all’interno di questo Governo, con un Ministero a sé, è entrata a forza nel PNRR, con un capitolo corposo, chiesto dall’Unione europea, di finanziamenti, se vuole essere portata avanti seriamente e con forza, se si vuole portare avanti seriamente il conforto, non bastano gli sforzi del Ministero della Transizione ecologica e i vari solleciti; bisogna trovare strategie sistemiche. Usiamo i fondi che sono ben elencati, quindi messi a disposizione, dal lavoro del Parlamento, al Governo; sono ben elencati i fondi che si possono utilizzare per attuare strategie che spingano in questa direzione”.

SECONDO GALLO INACCETTABILE APPELLARSI ANCORA AL WTO, BISOGNA GUARDARE A BANCA MONDIALE

“Poi, sottosegretaria – ha aggiunto l’esponente M5s -, io non posso accettare la parte che riguarda il Ministero dello Sviluppo economico, che ancora si appella alle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio; forse è sfuggito al Ministero dello Sviluppo economico che è la Banca mondiale che oggi, nei sistemi di finanziamento che fa ai Paesi-Stato, utilizza dati e parametri molto precisi sull’impatto ambientale. Quindi, noi ci dobbiamo ispirare a chi sta scegliendo di ascoltare le urla del pianeta e delle devastazioni ambientali, a chi sta scegliendo di ascoltare l’Organizzazione delle Nazioni Unite; non possiamo rimanere bloccati in un sistema economico, con le sue regole. I report che ci sono arrivati quest’anno, dell’IPBES e dell’IPCC, ci dicono che dobbiamo stravolgere il sistema economico e sociale, per salvare questo pianeta. E cosa risponde il Ministero dello Sviluppo economico, in un Governo che ha abbracciato, comunque, la transizione ecologica? Che siamo fermi alle regole attuali, quando tutti gli allarmi internazionali vanno in un’altra direzione? È questa la chiarezza che deve trovare il Governo, sulla transizione ecologica, perché o si fa sul serio o non si fa sul serio, non esiste una mezza via, in questo quadro; lo dice il presidente dell’IPCC, non esistono mezze misure per salvare il pianeta e l’ecosistema; quindi, o ce lo mettiamo in testa o stiamo scherzando e stiamo imbrogliando i cittadini”, ha concluso Gallo.

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