Meloni: “Cambieremo il Green Deal” e chiede a Draghi energia più economica. Il Parlamento Ue incombe sui commissari scelti da von der Leyen. 13 potenziali investitori per l’ex Ilva, manifestazioni d’interesse entro domani. La rassegna Energia
“Cambieremo il Green Deal” promette Giorgia Meloni dal palco di Confindustria, raccogliendo l’assist del presidente dell’associazione Emanuele Orsini. Nel mirino della premier ci sono soprattutto lo stop alle auto endotermiche dal 2035, ma anche lo sviluppo del nucleare. Nel frattempo, Meloni ha incontrato anche Mario Draghi e ha esposto le sue richieste sull’energia, prima fra tutti far scendere il prezzo. Sul team di commissari scelti da Ursula von der Leyen incombe l’incognita del Parlamento Ue. Infatti, i parlamentari dovranno valutare uno ad uno i commissari e potrebbero dare il via a una battaglia tra ai partiti, secondo il Sole 24 Ore. La partita dell’ex Ilva è agli sgoccioli e in campo restano 13 potenziali investitori, che dovranno presentare la manifestazione di interesse per l’acquisto degli asset entro domani. Nella lista figurano Metinvest, Vulcan Grenn Steel, Steel Mont, Telco, Clleveland-Cliffs, Nippon Steel e Arvedi. La rassegna Energia.
ENERGIA, MELONI: “CAMBIEREMO IL GREEN DEAL”
“Orsini alza la palla: «Il Green Deal è impregnato di troppi errori, la decarbonizzazione inseguita al prezzo della deindustrializzazione è una debacle », dice il nuovo presidente di Confindustria, alla sua prima assemblea. Meloni è lì per schiacciarla: «Lo ringrazio per essere stato chiaro sui risultati disastrosi frutto di un approccio ideologico, siamo impegnati per correggere queste scelte», risponde qualche minuto dopo sul palco dell’Auditorium, in un intervento fiume applauditissimo dalla platea. Confindustria è sempre filogovernativa, ma la sintonia è coreografata ed evidente come mai in tempi recenti. Una consonanza quasi a tutto campo, che ha nell’opposizione alle politiche europee per la transizione il suo centro. Ed è con questa sponda industriale che ora Meloni vuole partire all’attacco del piano verde, simbolo della prima Commissione Von der Leyen”, si legge su La Repubblica.
“(…) Lo stesso rapporto Draghi raccomanda di conciliare decarbonizzazione e competitività: che finora non sia successo si vede soprattutto nel settore dell’auto, dove lo stop al motore termico nel 2035 si accompagna a vendite elettriche al palo e all’avanzata dei produttori cinesi, mettendo a rischio l’intera filiera. «La storia e il mercato europeo dell’auto elettrica che stiamo regalando alla Cina parlano da soli», ha detto Orsini, chiedendo quando verrà annunciato lo slittamento di quella fatidica data 2035. «Non possiamo aspettare il 2026», ha risposto, dando il rinvio per scontato. Ma avvertendo che capitoleranno anche cemento, metalli e carta se il sistema europeo per prezzare le emissioni non verrà modificato”, continua il giornale.
“Il primo banco di prova per l’assalto del governo al Green Deal sarà comunque l’auto. E a muovere sarà il ministro per le imprese Adolfo Urso, che ai colleghi Ue chiederà di aprire una discussione subito – e non nel 2026 come previsto dal regolamento – per rivedere tempi e modi del passaggio alle auto a batteria. Lunedì presenterà la proposta proprio a Confindustria e sindacati, poi la porterà in Europa il 26 al Consiglio competitività. Cosa chiede l’Italia? Rinviare il 2035. Ma si tratta dell’obiettivo grosso, e non è detto che il governo riesca a raggiungerlo, nonostante la crisi di produttori simbolo come Volkswagen renda il momento propizio. Von der Leyen infatti ha spiegato che, con tutti gli aggiustamenti del caso, il Green Deal resta un pilastro del suo programma e ha affidato il dossier alla vice presidente spagnola Teresa Ribera, ex ministra della Transizione del governo Sanchez, che appare poco propensa a concessioni. (…) «L’Europa confonde politiche ambientali autoreferenziali con politiche industriali per la crescita», ha detto Orsini. Nella sua relazione il presidente degli industriali ha evitato temi delicati come l’autonomia differenziata, su cui la base degli imprenditori è spaccata quanto il resto del Paese. Ha limitato al minimo le richieste in vista della legge di Bilancio: quella di «rendere permanente il taglio del cuneo fiscale» è quasi un pro forma, ben sapendo che i margini stretti permetteranno solo un altro rinnovo annuale. Ha insistito su un piano casa per i giovani lavoratori, su cui l’esecutivo ha già dato riscontri positivi, chiesto di accelerare lo sviluppo del nucleare, già in agenda, parlato di flussi migratori regolari da sostenere e di produttività da rilanciare. (…)». Rischio concreto: «Vediamoci da subito – ha detto la premier agli imprenditori – dobbiamo camminare mano nella mano». Prima tappa: riscrivere il Green Deal”, continua il giornale.
ENERGIA, LE RICHIESTE DI MELONI A DRAGHI
“Giorgia Meloni e Mario Draghi non si incontravano nell’ufficialità di Palazzo Chigi dal giorno del passaggio della campanella. Era il 23 ottobre di quasi due anni fa. La leader di Fratelli d’Italia, fresca vincitrice delle elezioni, prendeva il posto del premier tecnico di larghe intese, mandato a casa quell’estate da Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, nel tentativo di fermare l’emorragia di voti visibile nei sondaggi verso Fratelli d’Italia. L’iniziale sintonia e qualche telefonata di consigli utili lasciò rapidamente il passo alla freddezza. Draghi non prese bene le critiche all’impianto e alla gestione del Recovery Plan, della cui riforma si dovette poi fare carico Raffaele Fitto. L’incontro di ieri, per una naturale nemesi della politica, è servito alla premier per avere dall’ex banchiere centrale consigli utili a far superare a Fitto le forche caudine del Parlamento di Strasburgo e ottenere l’inevitabile proroga del piano di aiuti europei. Ma su questo arriveremo fra un momento”, si legge su La Stampa.
“Nella nota finale di Palazzo Chigi, i cui contenuti sono condivisi prima di essere diffusi, si evidenziano le convergenze. «Spunti diversi e importanti», secondo Meloni. Alcune sono battaglie che Meloni rivendica come proprie, ad esempio quella della «questione demografica». Ma anche «l’approvvigionamento delle materie prime critiche e il controllo delle catene di valore», «il rafforzamento dell’industria della difesa, e le doppie transizioni». Quella verde, e quella digitale. Queste le «priorità condivise», anche se non mancano le sfumature. In mattinata, di fronte alla platea di Confindustria, Meloni aveva ribadito con durezza il suo giudizio sull’approccio «ideologico» dell’Europa al tema ambientale che rischia di provocare «disastri». Draghi nel suo rapporto fa diverse considerazioni sui rischi e le contraddizioni di quell’approccio, che avvantaggia l’industria altrui (anzitutto quella dei pannelli solari cinesi) e non ha permesso di far scendere il prezzo dell’energia («due o tre volte superiore a Cina e Stati Uniti», ha ricordato davanti al Parlamento europeo)”, continua il giornale.
ENERGIA, SUI COMMISSARI INCOMBE IL PARLAMENTO UE
“All’indomani della presentazione del nuovo collegio dei commissari la parola passa al Parlamento europeo. Nelle prossime settimane i parlamentari saranno chiamati a valutare uno per uno i candidati-commissari, anche in base alle loro competenze. Si teme una battaglia tra i partiti, con bocciature e contro-bocciature, anche se la risicata maggioranza di cui gode il nuovo esecutivo comunitario dovrebbe indurre i deputati a una certa cautela. Il Trattato di Lisbona dà al Parlamento poteri significativi sul futuro di un candidato commissario”, si legge su Il Sole 24 Ore.
“(…) Successivamente il candidato è sentito dalla commissione parlamentare responsabile del portafoglio. Prima dell’audizione, la persona deve rispondere a una serie di domande scritte. La presentazione orale dura tre ore, con una introduzione da parte del candidato di 15 minuti. Alla fine dell’esame il presidente della commissione e i coordinatori politici si riuniscono a porte chiuse per prendere una decisione alla maggioranza dei due terzi. Se il candidato commissario non dovesse ottenere la maggioranza richiesta, la commissione parlamentare potrà porre nuove domande scritte, ed eventualmente organizzare una seconda audizione. In mancanza nuovamente di una maggioranza dei due terzi, la decisione verrà presa alla maggioranza semplice, poi confermata dai capigruppo”, continua il giornale.
“In passato, vi sono state bocciature e contro-bocciature. Vorranno i partiti che sostengono la Commissione von der Leyen II seguire nuovamente questa strada, come nel 2019? «I deputati sono stretti tra il desiderio di mostrare i denti, e la paura di creare tensioni», spiega un funzionario parlamentare. Bocciature sono possibili, ma serpeggia il sentimento che ai tre partiti che sostengono la Commissione (popolare, socialista e liberale) non convenga creare troppi scossoni, vista la fragilità della maggioranza. (…) A proposito delle molte sovrapposizioni fra le deleghe: numerose audizioni richiederanno la presenza di più commissioni (quella degli affari economici potrebbe dover sentire una manciata di commissari), complicando l’organizzazione, ma forse anche diluendo la severità dell’esame. Infine, sul calendario delle audizioni dominano i dubbi. Sulla carta c’è la possibilità di chiudere entro ottobre, permettendo l’entrata in carica del nuovo collegio fin dal 1° novembre, ma i tempi sono molto, forse troppo, stretti”, continua il giornale.
EX ILVA, 13 AZIENDE INTERESSATE
“È alle ultime battute il conto alla rovescia per la presentazione delle manifestazioni di interesse per l’acquisto degli asset di Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria. Domani a mezzanotte si chiudono i termini del primo step della procedura di gara lanciata, a fine luglio, dai commissari Giovanni Fiori, Giancarlo Quaranta e Davide Tabarelli. (…) I potenziali investitori, al momento 13, attenderanno oggi o domani per inviare la loro manifestazione. Gli investitori interessati devono delineare la loro idea di piano industriale (priorità, evidenzia il bando, è la decarbonizzazione della produzione) e di occupazione (premiato il mantenimento dei posti di lavoro per due anni).Ai nastri di partenza, in una posizione avanzata, ci sono gli ucraini di Metinvest dell’oligarca Rinat Akhmetov, gli indiani di Vulcan Green Steel (ramo cadetto della famiglia Jindal) insieme ai loro connazionali di Steel Mont e i canadesi di Stelco, a loro volta da poco acquisiti dagli americani di Cleveland-Cliffs. Questi tre sarebbero interessati a tutta la ex Ilva. Ma anche dopo la scadenza del passaggio di domani a mezzanotte, potrebbe entrare in corsa Nippon Steel (…) Lo stesso potrebbe capitare con Arvedi, il gruppo siderurgico cremonese che – dopo essere stato al centro di mille ragnatele in questi anni intorno all’ex Ilva – potrebbe non presentare alcuna manifestazione di interesse domani, per poi rientrare in gioco in un secondo momento”, si legge su Il Sole 24 Ore.
“C’è, poi, un numero nutrito di imprese interessate a rilevare pezzi dell’ex Ilva. Sia nella sua componente manifatturiera. Sia nelle sue attività di servizi. Peraltro, in una seconda fase, sarà possibile – dopo la prima scrematura operata dai tre commissari sulla solidità delle manifestazioni di interesse – costruire alleanze fra imprese e gruppi per pezzi singoli, per parti o per la totalità di Acciaierie d’Italia. Quindi, la situazione – in una operazione che, nella stima dei commissari, potrebbe comportare l’incasso di un miliardo e mezzo di euro – è fluida. E si arriverà al dunque – dopo che peraltro da sabato in avanti sarà possibile per le imprese interessate accedere alla data room finanziaria, che ancora non è stata disvelata – non prima di fine novembre, quando l’offerta diventerà vincolante e dovrà riportare il prezzo a cui l’investitore è disposto ad acquisire tutto il gruppo o una parte di esso. (…) A Marcegaglia potrebbero interessare gli impianti del Nord, Novi Ligure e Cornigliano, da integrare magari con l’acciaieria acquisita in Francia a Fos-sur-Mer. Sideralba guarda al piccolo impianto di Racconigi, dove lavorano nei tubifici 100 addetti in sinergia con i 600 colleghi di Novi Ligure, e a Salerno, micro sito anch’esso specializzato nei tubi. Sono interessati Eusider di Lecco, una società molto solida della famiglia Anghileri, dopo i Marcegaglia fra i maggiori centro servizio”, continua il giornale.